La guerra fredda degli USA come antidoto alla penetrazione cinese

di Diego Angelo Bertozzi per Marx21.it

china usn xlargeA metà giugno la New York University annunciò la fine della borsa di studio concessa al dissidente cinese Chen Guangcheng per consentirgli di proseguire gli studi giuridici. La reazione dell’interessato alla decisione (per le autorità universitarie si trattava pure di un sostegno assai oneroso) fu assai scomposta: l’università che lo ospitava fu accusata di essere sotto il ricatto dei comunisti cinesi che, a suo dire, si erano infiltrati nei circoli accademici statunitensi per diffondere una sorta di virus totalitario.

Toni da guerra fredda, quasi da caccia alle streghe, degni di un Truman in piena forma, che non sono solamente frutto di una rabbiosa posizione personale. La convinzione di trovarsi di fronte ad una nuova forma di “infiltrazione bolscevica” – dopo la scomparsa di quella sovietica – condotta scientificamente dai comunisti cinesi è patrimonio di circoli politici e think tank statunitensi.

Tra questi ultimi c’è Project 2049 Institute di Arlington (Virginia) che ha recentemente rilasciato il rapporto The People’s Liberation Army. General Political Department. Political Warfare with Chinese Characteristics, un vero e proprio atto di accusa nei confronti delle operazioni politiche segrete attuate da Pechino per influenzare le politiche statunitensi e l’opinione pubblica nei confronti della Cina popolare. Una rete di organismi collegati e coordinati dal Dipartimento Politico Generale dell’Esercito di Liberazione Popolare sarebbe, quindi, da tempo all’opera per contrastare la minaccia alla legittimità del partito comunista proveniente dai sistemi liberali e democratici, dai valori universali e dalla cultura occidentale” e, contemporaneamente, diffondere a livello internazionale “il modello autoritario cinese e le regole anti-democratiche come alternativa alla democrazia occidentale. Il nome dell’Istituto è di per sé chiarificatore sulla natura della sua attività: se per la dirigenza di Pechino il 2049 – anno del centenario della nascita della Repubblica popolare cinese – rappresenta il punto di arrivo per la creazione di una democrazia socialista moderna e prospera, per gli estensori del rapporto, invece, è il limite temporale della trasformazione democratica della Cina e dell’Asia.

Ad essere sotto accusa è la politica di dialogo tra Stati Uniti e Cina ed ogni forma di cooperazione politica e culturale nei più diversi ambiti, perché ogni disponibilità in questo senso sarebbe sfruttata da Pechino per mettere in pratica i propri obiettivi politici, influenzare politici e generali statunitensi e indebolire la capacità di resistenza americana. Obiettivi cercati con il dispiegamento di una serie di iniziative di facciata – “Iniziativa Sanya” – che vedono coinvolti organismi come il China Association for International Friendly Contact o il China-US Exchange Foundation che trovano impegnati ex militari o funzionari civili statunitensi che poi – individua il rapporto – opererebbero per convincere il Pentagono o il Congresso che la Cina popolare non costituisce una minaccia. Scopo principale della “rete” sarebbe quello di mettere in crisi il “Pivot to Asia” dell’amministrazione Obama, ma soprattutto modificare la percezione statunitense su Taiwan: per decenni – spiega Mark Stokes, uno degli estensori – il Dipartimento politico generale del PLA ha gestito scambi con alti ufficiali militari stranieri in pensione in un’ampia operazione di manipolazione delle politiche dei governi stranieri […] e di fatto condizionato l’opinione pubblica straniera nell’accettazione dell’interpretazione restrittiva della politica di una sola Cina”.

Posizioni isolate? Può anche darsi, ma la recente decisione – poi fortunatamente ritirata di fronte alla sollevazione di parte della comunità scientifica – della Nasa di vietare a tutti gli scienziati cinesi di partecipare ad un convegno scientifico internazionale getta più di un ombra sulla nuova ventata di “guerra fredda”.