La calda estate del pianeta terra. Editoriale

bambini mondo pace

di Marco Pondrelli

La torrida estate è tale non solo per il clima ma anche per la tensione che si sta accumulando nei due principali fronti di guerra: l’Ucraina e il medioriente.

La novità sul primo fronte di guerra è rappresentato dall’attacco di Kiev all’oblast di Kursk in territorio russo. La domanda a cui tentare di rispondere è cosa ha motivato questa scelta? Non dobbiamo pensare che la decisione del governo sia insensata, alla base dell’attacco c’è un obiettivo razionale. Possiamo provare ad individuare queste motivazioni. L’Ucraina sta soffrendo l’avanzata russa a cui si somma una grossa difficoltà interna, mancano i soldati da mandare in prima linea e allo stesso tempo l’Occidente ha sempre meno armi per sostenere la guerra. Come abbiamo scritto in passato la proposta di pace russa che Zelensky e l’Occidente hanno rifiutato con sdegno fra qualche anno, o anche meno, potrebbe essere ricordata da Kiev con nostalgia, perché superata da condizioni sul terreno molto peggiori. Di fronte a questo scenario la sensazione è che l’Ucraina stia puntando sul terrorismo, si attacca la Russia sul proprio territorio (come fu per l’assassinio di Daria Dugina) sperando che questo terrorismo di Stato possa indurre il popolo russo a fare crollare il fronte interno. D’altra parte non si può credere che Kiev sia intenzionata a mantenere i territorio conquistati non essendo riuscita a mantenere i territorio entro i proprio confini. Inoltre per ottenere questa avanzata va sottolineato come le truppe migliori sono state tolte da altre fronti in cui la sofferenza è destinata ad aumentare. Il paragone più calzante è stato fatto da Gianandrea Gaiani che ha paragonato questa operazione a quella delle Ardenne del ’44. La storia non dovrebbe indurre gli ucraini all’ottimismo, quando la Russia è stata attaccata il popolo si è sempre unito, vedere armate straniere sul proprio territorio (cosa che non accadeva dalla Seconda Guerra mondiale) potrebbe avere l’effetto contrario a quello sperato.

Se il primo obiettivo ucraino è quello di colpire il fronte interno, il secondo è spingere ulteriormente al coinvolgimento l’Occidente. Anche in questo caso l’obiettivo sembra lontano, non solo il Ministro della Difesa italiana, Crosetto, ha timidamente espresso le sue perplessità ma non può passare inosservata, o tantomeno declassata a casualità, la scelta della magistratura tedesca di indagare un ucraino (il mandato di arresto è stato spiccato a giugno ma la notizia è arrivata alla stampa solo in questi giorni), residente in Polonia, per l’attentato al North Stream di cui Zelensky era informato. Il messaggio che, seppure con grande cautela, sta inviando Berlino è che non è disposta a seguire Kiev e Washington nella prossima escalation, anche perché i costi pagati fino a questo momento sono molto alti.

In questo quadro la pace rimane lontana. Le aperture del Presidente ucraino, che si era detto favorevole a coinvolgere la Russia nei colloqui di pace si sono rivelate un bluff. Molti, da entrambe le parti, aspettano con ansia le elezioni negli Stati Uniti di novembre, è però difficile ipotizzare che qualsiasi sia il risultato del voto esso possa portare verso la pace.

Anche il fronte mediorientale da segnali drammatici. L’attacco di Israele all’Iran, sul cui territorio è stato ucciso Haniyeh, non potrà rimanere senza risposta. Il terrorismo israeliano ha puntato a raggiungere un doppio obiettivo: da una parte si è colpito l’interlocutore naturale per intavolare trattative di pace, dall’altra lo si è fatto sul territorio iraniano per provocare la reazione di Teheran. Israele vuole che il conflitto si espanda in tutta la regione sia per colpire il cuore dell’asse sciita, sia, cosa ancora più grave, perché una guerra con l’Iran vorrebbe dire congiungere i due fronti di guerra. Se gli scenari peggiori non si sono ancora prodotti è stato grazie alla saggezza della guida iraniana, che ha lasciato cadere nel vuoto le provocazioni sioniste. La speranza è che anche questa volta la reazione sia una reazione misurata che non allarghi il conflitto. Israele si trova in difficoltà, non può abbandonare Gaza ma allo stesso tempo non ha sconfitto, e non può sconfiggere Hamas, ecco perché l’obiettivo è quello di portare l’Iran in guerra allargando il conflitto. In ballo non c’è solo il futuro personale di Netanyahu ma quello degli equilibri mediorientali. Da parte degli Stati Uniti, democratici o repubblicani poco cambia, c’è un sostegno incondizionato al terrorismo sionista con il rischio che la situazione precipiti.

In questo quadro il ruolo della Russia e della Cina diventa sempre più decisivo per il mantenimento della pace. Oramai dovrebbe essere chiaro a chiunque vinca le elezioni negli USA, che l’asse fra questi due Paesi è saldo. Le economie sono sempre più integrate ed entrambi vedono negli Stati Uniti il principale nemico per la pace. I Brics+ continuano a ricevere richieste di adesione e stanno divenendo un fattore di stabilizzazione mondiale. Oltre alla crescita economica negli ambienti atlantici si ammette che l’Occidente non riesce più a reggere la competizione tecnologica e militare con Russia e Cina. Le classe dirigenti devono guardare in faccia la realtà, il nostro interesse oggi è quello di proseguire la guerra o di aprire il dialogo? Il mondo unipolare è definitivamente tramontato, l’Occidente collettivo deve prenderne atto e avviare la de-escalation.

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