Intervista a cura di Kourosh Ziabari | Traduzione dal francese di Massimo Marcori per Marx21.it
Questa intervista è stata prima pubblicata in inglese in Counterpunch ed è stata ripresa in Investig’Action
Pubblichiamo l’intervista a Jean Bricmont, figura di rilievo del movimento per la pace mondiale e autore di numerose pubblicazioni tradotte in diverse lingue, come contributo alla discussione sulle prospettive e i compiti del movimento antimperialista e per la pace, pur non condividendone alcuni giudizi in merito alla possibile coincidenza, sul piano della lotta contro le guerre di aggressione, tra sinistra antimperialista e destra, un terreno che consideriamo insidioso e assolutamente non percorribile, suscettibile di generare solo ambigui e pericolosi connubi. Come pure in larga parte non condividiamo il giudizio sulle cause strutturali che generano l’aggressività di alcune grandi potenze, in questa fase della storia. In ogni caso, il nostro dissenso su questi pur non irrilevanti elementi dell’analisi di Bricmont non ci autorizza a censurare il suo contributo e non inficia il valore di altri aspetti delle sue riflessioni, che toccano un nervo scoperto della sinistra occidentale (anche di quella “anti-liberista”), che è oggi, salvo alcune lodevoli eccezioni, complessivamente silente (e anche attraversata da ambiguità sconcertanti nell’individuazione delle responsabilità) di fronte alle permanenti minacce di guerra che sconvolgono il nostro pianeta.
(la redazione)
“Il fatto che un’idea, che è sostanzialmente laica e liberale, quella dei diritti dell’uomo, sia stata trasformata in uno dei principali mezzi per rinfocolare l’isteria di guerra in Occidente è una crudele ironia. Ma è la realtà del nostro tempo, ed è urgente ed importante cambiarla.”
Nel vostro articolo, “The case for a Non-Interventionist Foreign Policy” [http://www.counterpunch.org/2012/02/20/the-case-for-a-non-inteventionist-foreign-policy/], parlate delle giustificazioni che le potenze imperiali utilizzano per razionalizzare le loro spedizioni militari nel mondo. Una politica estera bellicista costituisce un vantaggio per i politici occidentali, in particolare negli Stati Uniti, per attrarre i voti e il sostegno popolare? Gli americani possono eleggere un presidente pacifista che si impegna apertamente a terminare le guerre statunitensi e ad astenersi dall’iniziarne di nuove?
Non sono così sicuro che questo attragga voti. Sicuramente non in Europa. I politici più bellicisti, Blair e Sarkozy, sono stati popolari nel lungo termine, a causa delle loro politiche estere. In Germania, la popolazione è sistematicamente a favore di una politica estera di pace. Come rilevava il pacifista americano A. J. Muste, il problema in ogni guerra si trova tra i vincitori – essi pensano che la violenza paghi. I vinti, come la Germania, e per certi versi il resto d’Europa, sanno che la guerra non è tutta rose.Tuttavia, penso che, ad eccezione dei tempi di crisi, come in occasione delle guerre del Vietnam e d’Algeria, quando queste hanno preso una brutta piega per gli Stati Uniti e la Francia, la maggioranza delle persone non sono veramente interessate dalla politica estera, cosa che è comprensibile, stanti i loro problemi quotidiani, e perché questa sembra essere fuori della portata della maggioranza dei cittadini.
Invece, ogni candidato all’elezione presidenziale degli Stati Uniti deve fare dichiarazioni patriottiche, “siamo i migliori”, “un faro in cima alla collina”, un “difensore dei diritti dell’uomo”, ecc. Evidentemente, questo è vero per tutti i sistemi di potere, la sola cosa che varia sono i “valori” ai quali ci si riferisce (essere un buon cristiano, un buon musulmano o anche un difensore del socialismo, ecc.).
Ed è vero che, per attrarre consensi, occorre avere il sostegno della stampa e delle potenze finanziarie. Ciò permette un’enorme scappatoia in favore del militarismo e del sostegno ad Israele.
Le potenze imperiali, come avete indicato nei vostri scritti, conducono guerre, uccidono innocenti, saccheggiano le risorse naturali dei paesi più deboli sotto il pretesto di portare la democrazia. Chi deve dunque incaricarsi dei principi del diritto internazionale, dell’integrità territoriale e della sovranità? Attaccare altri paesi in tutti i sensi e uccidere indiscriminatamente civili indifesi sono fatti di flagrante illegalità. E’ possibile riportare queste potenze alla ragione e renderle responsabili di ciò che fanno?
Penso che l’evoluzione del mondo stia andando nella direzione del rispetto per i principi del diritto internazionale, dell’integrità territoriale e della sovranità. Come ho detto, i popoli europei sono piuttosto pacifici sia all’interno dell’Europa sia nei confronti del resto del mondo, almeno rispetto al passato. Alcuni loro dirigenti non sono pacifici e vi è una forte pressione a favore della guerra da parte della strana alleanza tra gli interventisti dei diritti umani e i neoconservatori, che sono molto influenti nei media e negli ambienti intellettuali, ma queste non sono le uniche voci autorizzate ed esse sono piuttosto impopolari tra la popolazione..
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, essi attraversano una profonda crisi, non soltanto economica, ma anche diplomatica. Hanno perso da molto tempo il controllo dell’Asia, e stanno perdendo quello dell’America Latina e, attualmente, anche del Medio Oriente. L’Africa si volge sempre più verso la Cina.
Dunque il mondo sta diventando multipolare, che si voglia o no. Là intravedo perlomeno due pericoli: che il declino degli Stati Uniti non produca reazioni “folli”, che conducono ad una guerra globale, o anche che il crollo dell’impero americano non crei un caos generalizzato, un po’ come è avvenuto in occasione del crollo dell’impero romano. E’ responsabilità del movimento dei paesi non allineati e dei BRICS assicurare una transizione ordinata verso un autentico nuovo ordine mondiale.
Ciò che pare ipocrita nell’atteggiamento delle potenze occidentali nei confronti del concetto dei diritti dell’uomo è che queste condannano incessantemente le violazioni dei diritti dell’uomo nei paesi con i quali sono in conflitto, ma rimangono intenzionalmente silenti al riguardo delle violazioni nei paesi loro alleati. Ad esempio, sapete sicuramente come si maltrattano e torturano i prigionieri politici in Arabia Saudita, l’alleato principale di Washington tra i paesi arabi. Perché non si protesta e non si condannano queste violazioni?
Conoscete un qualunque potere che non sia ipocrita? Mi pare che il potere funzioni così dappertutto e in ogni epoca. Ad esempio, nel 1815, alla caduta di Napoleone, lo zar di Russia, l’imperatore d’Austria e il re di Prussia si sono uniti in quella che è stata denominata la Santa Alleanza. Essi pretendevano di basare la loro linea di condotta sulle “sublimi verità contenute nella religione eterna del Cristo salvatore”, come sui principi “della loro santa religione, precetti di giustizia, carità e pace” e hanno giurato di comportarsi nei confronti dei loro soggetti “come un padre verso i suoi figli”.
Durante la guerra dei Boeri, il primo ministro inglese, Lord Salisbury, dichiarò che era “una guerra per la democrazia” e che “noi non miriamo né alle miniere né al territorio”. Bertrand Russel, che cita queste note, aggiunge che “cinici stranieri” non hanno potuto evitare di far notare “che abbiamo nondimeno ottenuto sia le miniere sia il territorio”.
Nel momento cruciale della guerra del Vietnam, lo storico americano Arthur Schlesinger descriveva la politica degli Stati Uniti come facente parte del “nostro programma globale di buona volontà internazionale”. Al termine di questa guerra, un giornalista liberale scriveva sul New York Times che: “Durante un quarto di secolo, gli Stati Uniti hanno provato a fare il bene, ad incoraggiare la libertà politica e a promuovere la giustizia sociale nel Terzo Mondo”.
In questo senso le cose non sono cambiate. Le persone a volte pensano che, poiché il nostro sistema è più democratico, le cose debbano cambiare. Ma ciò suppone che le popolazioni siano ben informate, cosa non vera per le numerose falsità contenute nei media, e suppone anche che queste partecipino attivamente alla formazione della politica estera, cosa che non è altrettanto vera, salvo che in tempo di crisi. La formazione della politica estera rimane affare elitario e poco democratico.
L’attacco o l’invasione di altri paesi con il pretesto di un intervento umanitario può essere legalizzato e ammesso con l’unanimità dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza. Se questi votano tutti a favore di un attacco militare, questo si produrrà. Ma non pensate che il fatto stesso che solo 5 paesi possano prendere decisioni su 193 membri delle Nazioni Unite, e che questa maggioranza considerevole non possa dire nulla sul corso degli avvenimenti internazionali, sia un insulto a tutte queste nazioni e al loro diritto all’autodeterminazione?
Certamente. Ma adesso che la Cina e la Russia sembrano avere posizioni indipendenti nei confronti dell’Occidente, non è così chiaro che nuove guerre saranno legali. L’attuale situazione in seno al Consiglio di Sicurezza non è soddisfacente, penso però che, nel complesso, le Nazioni Unite siano una buona cosa; queste forniscono principi che si oppongono all’ingerenza e un quadro per l’ordine internazionale, la loro esistenza offre la possibilità a diversi paesi di incontrarsi e discutere, ciò è meglio di niente.
Sicuramente, riformare le Nazioni Unite sarà questione complicata, perché questo non si può fare senza il consenso dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, e vi sono poche possibilità che questi siano entusiasti di fronte alla prospettiva di perdere parte del loro potere.
Quello che conterà in fin dei conti sarà l’evoluzione dei rapporti di forza, e questa non avviene in favore di coloro che attualmente pensano di controllare il mondo.
Parliamo di alcune questioni d’attualità. Nei vostri articoli, avete parlato della guerra in Congo. E’ stato uno choc per me apprendere che la seconda guerra del Congo è stata la più micidiale nella storia dell’Africa con 5 milioni di morti innocenti, ma i media dominati dagli Stati Uniti hanno nascosto questo, perché uno dei belligeranti, l’esercito ruandese, era uno stretto alleato di Washington. Qual è la vostra posizione al riguardo?
Non sono un esperto di questa regione del mondo. Ma la tragedia ruandese del 1994 è spesso utilizzata come argomento a favore di interventi stranieri che, si dice, avrebbero potuto fermare la carneficina, mentre la tragedia del Congo dovrebbe essere considerata come un argomento contro l’intervento straniero e per il rispetto del diritto internazionale, poiché essa è in larga misura dovuta all’intervento del Ruanda e dell’Uganda in Congo.Il fatto che quest’ultimo argomento non sia mai invocato dimostra una volta di più a che punto il discorso sull’intervento umanitario sia falsato a favore dei poteri in campo, che vogliono attribuirsi il diritto di intervenire quando gli fa comodo.
Qualche giorno fa, il segretario generale dell’ONU, Ban Ki Moon, condannava i dirigenti iraniani per i loro propositi incendiari e astiosi nei confronti di Israele. Tuttavia, non ricordo che egli abbia condannato gli ufficiali israeliani per le loro ripetute minacce di guerra contro l’Iran. Qual è la ragione di tale ipocrisia?
Come sapete, l’ipocrisia in Occidente nei confronti di Israele raggiunge livelli inauditi e Ban Ki Moon, benché sia il segretario generale dell’ONU è su posizioni molto “filo-occidentali”. Benché dubiti della saggezza della retorica iraniana su Israele, penso però che le minacce di azioni militari di Israele contro l’Iran siano di gran lunga più serie e dovrebbero essere considerate illegali dal punto di vista del diritto internazionale. Penso anche che le sanzioni unilaterali contro l’Iran, prese dagli Stati Uniti e dai loro alleati, per compiacere Israele siano vergognose. E, sebbene le persone che si dicono antirazziste in Occidente non denuncino mai queste politiche, ritengo invece che esse siano profondamente razziste, perché sono accettate unicamente per il fatto che dei paesi sedicenti civilizzati, Israele e i suoi alleati, esercitano questa minaccia e queste sanzioni contro un paese “non civilizzato”, l’Iran. Nel futuro, ci si ricorderà di questo nello stesso modo in cui si ricorda oggi la schiavitù.
Ci sono persone come voi che si oppongono al militarismo degli Stati Uniti, alla sua menzogna e ipocrisia in merito ai diritti dell’uomo e al loro tentativo di divorare il Medio Oriente ricco di petrolio, ma devo dire che voi siete una minoranza. E’ il Congresso dominato da Israele e i “think tanks” bellicisti come il Council on Foreign Relations e il National Endowment for Democracy che dirigono gli Stati Uniti, e non i pensatori contro la guerra, progressisti, a favore della pace, come voi. Qual è il livello d’influenza che hanno i pensatori progressisti e i media di sinistra sulle politiche decise negli Stati Uniti?
Penso che si debba fare una distinzione tra il sostegno ad Israele e il desiderio di “divorare” il petrolio. Le due politiche non sono le stesse e infatti sono contraddittorie. Come hanno mostrato, ritengo, Mearsheimer e Walt, le politiche filo-israeliane degli Stati Uniti sono in larga misura dovute alla lobby filo-israeliana ed esse non aiutano né la loro economia né i loro interessi geostrategici. Ad esempio, per quanto ne so, nulla impedirebbe alle nostre compagnie petrolifere di trivellare in Iran, se non ci fossero sanzioni imposte a questo paese; ma queste sanzioni sono legate all’ostilità di Israele nei confronti dell’Iran, non al desiderio di controllare il petrolio.
La seconda osservazione è che le persone che sono contro la guerra non sono necessariamente di sinistra. E’ vero che gran parte della destra è divenuta neoconservatrice, ma c’è anche una gran parte della sinistra che è influenzata dall’ideologia dell’intervento umanitario.
Negli Stati Uniti, esiste una destra libertaria, Ron Paul ad esempio, che è risolutamente contro la guerra, e vi sono anche alcune tracce di una sinistra pacifista o antimperialista.
Notate che ciò si è sempre ripetuto (anche in epoca coloniale): la divisione tra filo e anti-imperialisti non coincide con la divisione sinistra-destra, se questa è compresa in termini socio-economici o in termini “morali” (ad esempio sul matrimonio omosessuale).
E’ vero che abbiamo troppa poca influenza, e questo è dovuto in parte al fatto che siamo divisi tra una sinistra pacifista e una destra pacifista. Ritengo che la maggioranza della popolazione si opponga a queste interminabili e costosissime guerre, soprattutto in Europa, a causa delle lezioni della seconda guerra mondiale, o a causa delle disfatte nelle guerre coloniali e, negli Stati Uniti,, a causa di una certa stanchezza nei confronti della guerra, dopo l’Afghanistan e l’Iraq.
Quello che ci occorre è un forte movimento pacifista; affinché questo si formi, bisognerebbe concentrarsi sulla guerra stessa e unire le diverse opposizioni (di sinistra e di destra). Ma se i movimenti si possono costruire attorno a questioni come l’aborto o il matrimonio omosessuale, che mettono ai margini problemi socio-economici e le questioni di classe, perché no?
Benché un tale movimento ancora non esista, le sue prospettive non sono totalmente disperate: se la crisi economica peggiora, e se l’opposizione mondiale alle politiche degli Stati Uniti cresce in ampiezza, i cittadini di diverso colore politico potrebbero unirsi per tentare di costruire alternative al militarismo.
Qual è il vostro punto di vista per quanto riguarda la guerra di sanzioni, embargo, assassini di scienziati e operazioni psicologiche che conducono gli Stati Uniti e il loro alleati nei confronti dell’Iran? L’Iran subisce praticamente un attacco multilaterale degli Stati Uniti, di Israele, e dei loro servili accoliti europei. Esiste un qualunque modo per l’Iran per uscire da tale situazione e per resistere alla pressione? Avete mai sentito parlare della sua cultura e civiltà, di cui i media dominanti non parlano mai?
Non conosco bene l’Iran, ma non penso di aver bisogno di saperne di più su questo paese, anche se sicuramente mi piacerebbe farlo, per oppormi alle politiche che avete menzionato. Ero anche contrario all’intervento occidentale nell’ex Yugoslavia e in Libia.
Alcuni pensano che vi sono interventi buoni e altri cattivi. Ma la questione principale rimane: chi interviene? In realtà in occidente non sono mai i “cittadini” o la “società civile”, o anche soltanto i paesi europei, senza l’appoggio degli Stati Uniti, che intervengono. E’ sempre l’esercito americano, in particolare le sue forze aeree.
Ora, si può certamente difendere l’idea che occorre ignorare il diritto internazionale e che la difesa dei diritti dell’uomo debba toccare alla Air Force americana. Ma molte persone che sostengono i “buoni” interventi non dicono questo. In genere, dicono che “noi” dobbiamo fare qualcosa per “salvare le vittime” in questa o quella particolare situazione. Ciò che coloro che difendono questo punto di vista dimenticano, è che il “noi” che si suppone intervenire, non fa riferimento a quelli che sostengono questo discorso, ma soltanto all’esercito americano.
Di conseguenza, il sostegno a qualunque intervento non fa che rafforzare l’arbitrio del potere americano che certamente lo esercita come meglio ritiene e non, in generale, secondo gli auspici di quelli che sostengono i “buoni” interventi.
Per concludere, potete darci un’idea di come i grandi media servano gli interessi delle potenze imperiali? Come funzionano? E’ moralmente giustificabile utilizzare la propaganda dei media per raggiungere obiettivi politici e coloniali?
Il legame tra i “grandi media” e la propaganda di guerra è complesso, come lo è il rapporto tra il capitalismo e la guerra. La maggior parte delle persone di sinistra pensa che il capitalismo abbia bisogno della guerra o la guidi. Ma la verità, a mio avviso, è molto più articolata. I capitalisti americani fanno fortuna in Cina e in Vietnam adesso che c’è la pace tra gli Stati Uniti e l’est asiatico (per i lavoratori americani, evidentemente, è un’altra storia).
Non c’è alcun motivo per cui le compagnie petrolifere o di altre società capitalistiche occidentali non abbiano rapporti commerciali con l’Iran (almeno, dal punto di vista di queste compagnie) e, se ci fosse una pace stabile in questa regione, i capitalisti si precipiterebbero su di essa come avvoltoi per sfruttarvi una mano d’opera a buon mercato e relativamente qualificata.
Questo non vuol dire che i capitalisti siano gentili, né che essi non possano essere individualmente a favore della guerra, ma che la guerra non è, generalmente, nel loro interesse, e che essi non costituiscono necessariamente la forza principale che preme per la guerra.
I popoli sono indotti a fare la guerra tra loro da conflitti ideologici e religiosi, soprattutto quando queste ideologie assumono forme fanatiche – ad esempio, quando si crede che un certo appezzamento di terra è stato offerto da Dio, o che il vostro paese è investito da una missione speciale, come esportare i diritti dell’uomo e la democrazia (secondo la volontà divina, per Mitt Romney), preferibilmente con missili da crociera e droni.
Il fatto che un’idea fondamentalmente laica e liberale come quella dei diritti dell’uomo, sia stata trasformata in uno dei principali mezzi per attizzare l’isteria bellica in occidente è una crudele ironia. Ma è la realtà del nostro tempo ed è urgente ed importante cambiarla.
Kourosh Ziabari è un giornalista iraniano, corrispondente stampa e militante per la pace. E’ membro della World Student Community for Sustainable Development. Può essere contattato all’indirizzo [email protected]
Jean Bricmont è professore di fisica teorica all’Università di Louvain (Belgio) e figura rappresentativa del movimento europeo per la pace
1. Bertrand Russel, Freedom and Organization, 1814-1914, Londra, Routledge, 2001.
2. The New York Times, 6 febbraio 1966.
3. William V. Shannon, The New York Times, 28 settembre 1974. Citato da noam Chomsky su “Human Rights” and Foreign American Policy, Nottingham, Spokesman Books, 1978, p. 2-3. Disponibile su: book-case.kroupnov.ru/
4. Si veda il loro libro Le lobby pro-israélien et la politique étrangère américaine, Editions La Dècouverte, 2009.