Imperialismo USA: cambio di direzione?

us statualiberta grungedi Zoltan Zigedy
zzs-blg.blogspot.it

Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

Gli sviluppi delle ultime settimane rimuovono la nebbia che oscurava gli obiettivi di politica estera della classe dominante USA. Una serie di eventi apparentemente non correlati fanno luce sulle finalità dei responsabili politici in un’era di intensificazione delle rivalità internazionali. Più oltre, sta diventando chiaro che il Presidente Trump sta ora parametrando la politica estera al consenso della classe dirigente; il suo allontanarsi dalla linea è stato sostanzialmente posto sotto controllo.

In febbraio scrissi sulle implicazioni del cambiamento largamente ignorato dello status degli USA, da paese in cerca di energia ed importatore di petrolio, a paese esportatore netto e commerciante in tutte le risorse energetiche.

Gli USA hanno ancora una posizione significativa, ma in contrazione, nell’esportazione internazionale del carbone. Naturalmente, l’uso del carbone è sia terzo in importanza tra gli idrocarburi, sia in contrazione (la produzione del carbone ha avuto la caduta internazionale con la percentuale più alta nelle statistiche del 2016). Tuttavia, le importazioni di petrolio sono diventate essenziali per rifornire i critici bisogni di trasporto degli USA, così come la massiccia macchina militare nella metà del ventesimo secolo.

Dopo la crisi petrolifera degli anni 70, la dipendenza dalle importazioni di petrolio divenne più acuta ed anche un fattore vitale nell’impostazione della politica estera USA.

Spesso, e per buone ragioni, la sinistra è stata rapida nell’associare la sete di risorse energetiche alle provocazioni di guerra ed agli intrighi neo-coloniali.

Ma le questioni stanno rapidamente cambiando, anche se molti cercano di oscurare od ignorare la nuova realtà. Come argomentai in febbraio: Le cose hanno iniziato a cambiare nell’ultimo decennio, con la produzione domestica di petrolio USA che è raddoppiata tra il 2010 e il 2014. Negli ultimi anni, la produzione di petrolio USA ha raggiunto livelli in linea coi maggiori produttori mondiali, Arabia Saudita e Russia. Per la prima volta dopo decenni, gli USA stanno di nuovo esportando prodotti energetici estrattivi. Infatti, molti esperti credono che gli USA diventeranno un esportatore netto di energia nel prossimo decennio.

La prova di ciò è venuta in luce dagli ultimi conti di febbraio. Nonostante i bassi prezzi del petrolio, i trivellatori USA stanno estraendo e producendo come se non ci fosse un domani. Dal loro punto più basso a metà del 2016, i ricavi delle trivelle sono quasi raddoppiati nel North Dakota. Come ha riferito il Wall Street Journal il 19 giugno, le grandi compagnie, Chevron, Royal Dutch Sell ed Exxon Mobil stanno investendo decine di miliardi nella regione Permiana degli USA sudoccidentali. Le megamultinazionali, i produttori dei monopoli capitalistici stanno riuscendo dove i piccoli produttori avevano fallito a causa dei costi e della limitatezza del loro capitale. Stanno progettando di portare la produzione Permiana a 4 milioni di barili al giorno in un decennio, più o meno la produzione di oggi nell’Iraq. La Chevron da sola prevede un aumento quadruplo della sua produzione Permiana in un decennio. Exxon è intenzionata a spendere nei prossimi tre anni la metà o più dei suoi massicci investimenti nella produzione di petrolio nordamericano.

Dove andrà questo petrolio?

In un articolo dll’8 giugno, la penna del Wall Street Journal Lynn Cook ha affermato senza tanti giri di parole: “le esportazioni americane [USA] di petrolio stanno emergendo come una nuova forza di disturbo nel mercato globale”. Da gennaio ad aprile, i fornitori USA hanno esportato 110 milioni di barili verso l’estero, per la maggior parte India, Hong Kong e Danimarca. I compratori asiatici contano per il 39% delle vendite, con la Cina, ovviamente, quale maggior compratore.

Con l’arrivo in linea dei massicci aumenti di produzione, c’è forse ancora qualche dubbio che i produttori USA gareggeranno furiosamente coll’OPEC e cogli altri tradizionali esportatori per i mercati esistenti e nuovi? Non dovremmo forse aspettarci che la politica estera e le operazioni militari – coperte e non –  saranno il riflesso di questa crescente competizione?

Similmente, gli USA stanno diventando un esportatore sempre più importante di gas naturale. Nel momento in cui le nuove tecnologie di liquefazione e trasporto del gas vengono implementate, la competizione per i mercati sta diventando sempre più spietata.

Il gas naturale liquido estratto dal mare conta oggi per il 40% del mercato. Tra i leaders mondiali nella produzione di gas naturale, insieme alla Russia, gli Stati Uniti hanno un grande interesse nell’esportazione di gas naturale e nell’acquisizione di nuovi mercati. Tra gli esportatori di gas naturale liquido (LNG), il Qatar è il leader mondiale, con ogni intenzione di mantenere la propria posizione, avendo recentemente inaugurato i giacimenti del Nord, ritenuta la più grande riserva di gas naturale al mondo.

Implicazioni geopolitiche

Il lungo e incoraggiato modello che vede gli interessi imperialistici USA serviti dal mettere in sicurezza e proteggere da parte degli stessi USA il proprio accesso alle fonti di energia, garantendo l’energia per i suoi alleati della Guerra Fredda è oggi in cerca di un nuova fisionomia. Oggi, gli interessi degli USA consistono nella ricerca di nuovi mercati all’interno dell’economia globale, in competizione con altri fornitori di energia, e creando favorevoli condizioni politiche ed economiche ai fornitori USA.  Petrolio, gas ed energia rimangono centrali per l’impresa imperialista, ma i ruoli stanno cambiando in modo importante con importanti implicazioni.

Ho cercato di definire più chiaramente questo ruolo in febbraio, quando ho scritto: Dovrebbe essere chiaro, allora, che l’approssimarsi dell’autonomia petrolifera degli USA, il mutamento del ruolo degli USA da consumatori a produttori, e l’attenzione ai mercati per il petrolio, piuttosto che alle sorgenti del petrolio, influenzano profondamente le politiche strategiche degli USA, incluso l’indebolimento o l’inasprimento delle relazioni con gli altri maggiori produttori di petrolio come l’Arabia Saudita e la Russia.

I fatti han solo rafforzato tale visione. La rabbiosa e crudele intensificazione delle ostilità verso la Russia, la rinnovata demonizzazione dell’Iran, lo strano e bizzarro isolamento del Qatar, e l’accresciuta aggressività nelle numerose guerre di destabilizzazione nel Medio Oriente sottolineano l’evoluzione di un’emergente politica estera, consistente nell’assicurarsi nuovi mercati dell’energia.

L’introduzione e l’espansione delle forze militari USA in punti caldi come la Siria, l’Iraq e l’Afghanistan promettono minore risoluzione dei conflitti, ma garantiscono ulteriore instabilità delle fonti energetiche e del flusso degli idrocarburi. La vendita di vaste scorte di armamenti militari assicura l’intensificazione ed il perdurare delle incursioni saudite nello Yemen.

L’inaspettata ostilità verso il Qatar mostrata dagli altri stati del Golfo all’inizio della recente volgare performance di Trump in Riyadh (Arabia saudita) è probabilmente diretta contro la leadership globale del Qatar nell’esportazione di gas liquido naturale, il mercato che gli USA sperano di penetrare ulteriormente. Non è un caso che i giacimenti di gas del Qatar sono posseduti in comune con l’Iran ed entrambi i paesi hanno cooperato nello sfruttamento dei giacimenti e nella produzione del gas naturale. Allo stesso tempo, i sauditi si sono arresi nella guerra dei prezzi con i trivellatori delle argille americane.

Con la ricchezza del regno che si è ristretta per i costi della guerra ed i bassi prezzi del petrolio, i sauditi sono più interessati nel trovare il miglior momento per rendere la ARAMCO pubblica, per svendere porzioni della compagnia petrolifera nazionale e rinfrescare le casse del regno. Il re e la sua corte sono contenti di servire fedelmente gli USA nella loro missione globale per la direzione dei mercati dell’energia. La leadership saudita dell’OPEC nella sua lotta per le quote di mercato con i produttori USA di petrolio si è dimostrata disastrosa. Il taglio della produzione dei sauditi alla guida dell’OPEC “è stata ritenuta un fallimento dell’OPEC ed una vittoria della produzione USA”, secondo Tony Hendricks del CHS Hedging, come citato dal WSJ (21/06/17).

Le ultime sanzioni statunitensi contro la Russia (15/06/17) sono chiaramente dirette ai mercati ed al gas naturale russo. Il Senato ha votato il provvedimento 98-2 per “ampliare le sanzioni sul settore dell’energia russo”, come riferito dal Wall Street Journal. Mentre il messaggio può essere andato perduto sui media mainstream, i quali si crogiolano nel neomaccartismo, e mentre lo stesso messaggio non è stato decodificato da una sinistra distratta, non è andato perduto per gli europei. Lo hanno immediatamente visto come un attacco al progetto del gasdotto North Stream 2 che dovrebbe portare il gas russo in Germania, Austria ed altre nazioni europee. E lo hanno visto per quello che era; La Germania e l’Austria immediatamente hanno sferzato con una dichiarazione congiunta: “Non possiamo accettare una minaccia di sanzioni extraterritoriali, illegali per il diritto internazionale, contro le compagnie europee che partecipano allo sviluppo delle forniture europee di energia”.

Hanno aggressivamente aggiunto: “La fornitura di energia all’Europa è affare dell’Europa, non degli Stati Uniti d’America” e “il fine odierno [di tali sanzioni] è quello di procurare lavoro per l’industria del gas e del petrolio americana…”

E così è. Il crudo riconoscimento che le azioni americane contro la Russia sono sottili e nascoste operazioni di copertura in favore degli scopi imperialisti degli USA.

Per evitare che qualcuno pretenda che l’imperialismo USA con un passo nuovo sia esclusivamente un prodotto di Trump, si dovrebbe notare come la votazione al Senato della 98-2 non è stata un’aberrazione. Scrivendo sul Washington Post (08/06/17), David Gordon e Michael O’Hanlon – due insiders solidamente connessi con Washington –  hanno indicato “diversi segni di speranza” nella politica estera di Trump. Hanno lodato la squadra della sicurezza nazionale del Presidente e il suo atteggiamento nel Medio Oriente. Sono stati in modo particolare entusiasti per la sua continua belligeranza contro la Russia.

L’incauta politica estera dell’Amministrazione Trump ancora oggi devia qualche volta dalla linea della classe dominante espressa negli editoriali del New York Times o del Washington Post. Ma ancor di più diventa incauta perché si conforma a tale linea. La guerra senza fine e l’escalation in quelle guerre senza fine non si sono scontrate con l’impazienza della classe dominante, ma appaiono piuttosto essere la nuova linea globale.

La destabilizzazione dei paesi e la promozione del settarismo appaiono essere meno conseguenze non volute e più risultati delle tattiche deliberatamente calcolate di un potere imperialista che trae beneficio dal caos.

Come nell’era classica della spericolata competizione imperialista ante I Guerra mondiale, l’imperialismo degli USA sta aggressivamente facendo avanzare la propria agenda economica contro i rivali, inclusi i recenti “alleati”. I pericoli posti da queste rivalità in intensificazione minacciano di far scoppiare conflitti più devastanti e guerre ancor più estese.