di Gian Paolo Calchi Novati | da Il Manifesto
La guerra fredda ha avuto anche passaggi caldi, per lo più fuori dell’Europa. In Europa, dove correva la cortina di ferro, il «confine» per eccellenza, mai varcato dal 1945 in poi, la guerra fu combattuta e vinta dall’Occidente con i mezzi virtuali del soft power.
Il teorema di Fukuyama sulla «fine della storia» è stato oggetto di critiche e scherni ma stando allo scenario europeo – lo stesso in cui Hobsbawm colloca il suo «secolo breve» – allora si concluse effettivamente l’epopea del conflitto di classe, fra capitale e lavoro, legata alla rottura del 1917 e alle vicende dell’Urss come espressione delle forze anti-sistema.
La storia come dialettica fra una tesi e un’antitesi sarebbe ovviamente continuata, ma nel più vasto teatro dell’extra-Europa, all’insegna dello scontro nazionale fra l’egemonismo del Centro e l’autodeterminazione dei popoli della Periferia passati attraverso la soggezione al colonialismo e all’universalismo eurocentrico.