Il Premio Nobel va alla guerra

di Diego Angelo Bertozzi per Marx21.it

 

siria usaMentre le macerie della Libia fumano ancora per l’aggressione della Nato e mercenari – puntualmente presentati dalla stampa occidentale come disertori – mettono a ferro e fuoco la Siria per preparare il terreno ad una nuova missione umanitaria, la consegna dei Nobel per la pace si conferma occasione mondana per richiamare all’ordine i nemici della pace, coloro che mettono a rischio un mondo altrimenti votato alla tranquilla convivenza.

 

Lo scorso 10 dicembre durante la cerimonia di consegna del premio alle tre donne vincitrici – Ellen Johnson Sirleaf, Leymah Gbowee e Tawakkol Karman – il presidente della Commissione norvegese Thorbjoern Jaglan ha voluto ricordare al presedente Assad che “non riuscirà a resistere alla richiesta di libertà e diritti umani delle persone” e che “nessun dittatore potrà alla lunga trovare rifugio contro il vento della Storia” [1]. Questo mentre fonti dell’Fbi rivelano che truppe statunitensi e della Nato stanno addestrando milizie dell’opposizione siriana al presidente Bashar al-Assad nella città di Hakkari, nel sud est della Turchia, vicino al confine siriano. Il cosiddetto “Esercito siriano libero” pare proprio essere una creatura in mani straniere, tanto che Washington provvede anche a fornire un supporto finanziario ai ribelli impegnati a rovesciare l’attuale regime di Damasco [2].

 

Ma la Siria non è l’unico bersaglio dei Nobel per la Pace. Mentre gli Usa si preparano a riattivare la base militare di Darwin in Australia in funzione anti-cinese e dichiarano apertis verbis che il Pacifico deve restare sotto il loro controllo, un gruppo di premi Nobel – l’arcivescovo Desmond Tutu, Shirin Ebadi, Jody Williams, Mairead Maguire e Betty Williams – ha pensato bene di chiedere alla Cina la liberazione del loro collega di premiazione Liu Xiaobo: “La comunità internazionale sembra aver dimenticato che, un anno dopo la cerimonia di premiazione, Liu Xiaobo rimane in carcere in Cina e in condizioni difficili”[3].

 

Occorre a questo punto fare un piccolo passo indietro e riportare alcune considerazioni del premio Nobel che sarebbe vittima della repressione cinese. Già fiero sostenitore della guerra di Bush all’Iraq e della protezione Usa ad Israele, nel 2006 Liu Xiaobo ha chiarito che la “modernizzazione significa in sostanza occidentalizzazione, la scelta di una vita umana coincide con la scelta del modo di vita occidentale. La differenza tra un sistema di governo occidentale e quello cinese è quella tra l’umano e l’inumano, non c’è una via di mezzo ” e che “l’occidentalizzazione non è una scelta di una nazione ma una scelta per il genere umano”. In una intervista del 1988 comparsa sul “South China Morning Post”, è passato sopra la più che secolare sofferenza del proprio popolo dichiarando che “ci vorrebbero 300 anni di colonialismo” perché “in 100 anni di colonialismo, Hong Kong diventato quello che vediamo oggi”. Dunque “vista la grandezza della Cina, certamente ci vorrebbero 300 anni perché una colonia sia in grado di trasformarsi come la Hong Kong di oggi” [4].

 

Martedì 13 dicembre proprio per una audizione su Liu Xiaobo, si è riunita la Commissione Esecutiva del Congresso Usa sulla Cina (CECC). Il messaggio, anche in questo caso è chiaro: il Partito comunista cinese non garantisce lo sviluppo dei diritti umani in Cina e gli Usa non possono permettersi di attendere che la liberalizzazione economica porti alla libertà a Pechino. Se consideriamo il fatto che tra i partecipanti alla riunione figurava anche Carl Gershman, presidente del National Endowment for Democracy (NED), tutto è molto chiaro: la “rivoluzione colorata” deve superare la muraglia cinese [5].

 

Insomma pare che il premio Nobel per la pace sia sempre più una vetrina salottiera per la teoria del “regime change” .

 

NOTE

 

1 Nobel per la pace: a Oslo premiate tre donne, www.agi.it, 10 dicembre 2011

2 Siria: fonte Fbi, Usa e Nato addestrano milizie contro Assad, www.adnkronos.com, 9 dicembre 2011

3 China: Nobel Winners Demand Release of Imprisoned Dissident, www.nytimes.com, 9 dicembre 2011

4 Per le dichiarazioni si veda La riabilitazione del colonialismo come “nuova via democratica” di D.A. Bertozzi, www.marx21.it

5 Per la discussione si veda US Congress fights China on all fronts, Benjamin A Shobert, www.atimes.com, 16 dicembre 2011.