di Manlio Dinucci | da il Manifesto
La Nato ha un «partner unico ed essenziale»: l’Unione europea. Lo dichiara il Summit di Chicago, giurando di volere «una difesa europea più forte e più capace». A condizione, naturalmente, che essa sia in mano alla Nato e che la Nato resti sotto comando Usa. Quale «difesa» essa assicura all’Europa? Anzitutto, dei 27 paesi della Ue, 22 sono membri di un’alleanza nella quale il «comandante supremo in Europa» è sempre statunitense, nominato dal presidente degli Usa.
E, conferma il summit, «la porta della Nato resta aperta a tutte le democrazie europee che ne condividono i valori». In altre parole, dopo aver inglobato nove paesi dell’ex patto di Varsavia (di cui tre dell’ex Urss) e tre della ex Jugoslavia, la Nato si espande ancora più ad est, a ridosso della Russia. Conferma infatti che «la Georgia diverrà membro della Nato» e che «la regione del Mar Nero continua ad essere importante per la sicurezza euro-atlantica».
Per questo le sue navi da guerra sono sempre più presenti nel Mar Nero, dove in luglio effettueranno l’esercitazione Sea Breeze con la marina ucraina. Ancora più intensa l’attività militare Nato, sempre sotto comando Usa, nelle repubbliche ex sovietiche Estonia, Lettonia e Lituania: terminata il 25 maggio l’esercitazione navale Open Spirit, inizia il 4 giugno la Baltops con 30 navi da guerra, seguita l’11 giugno da quella aerea Saber Strike.
Al summit di Chicago è stato annunciato che la «Missione di polizia aerea» negli stati baltici continuerà, ossia che saranno permanentemente dislocate nella base lituana Zokniai forze aeree Nato a duplice capacità convenzionale e nucleare. L’anno prossimo si terrà nella regione baltica la grande esercitazione Steadfast Jazz della «Forza di risposta Nato», che accrescerà la capacità delle forze armate dell’Alleanza di «effettuare più ampie operazioni congiunte di gestione delle crisi».
E mentre gli Stati uniti continuano ad ammodernare le proprie forze nucleari, mantenendole anche in Europa insieme a quelle francesi e britanniche, il summit Nato si dichiara «profondamente preoccupato per la proliferazione delle armi nucleari e dei loro vettori». Annuncia quindi la prima fase del «sistema di difesa missilistica», ossia l’estensione all’Europa dello «scudo» Usa: inizialmente, un radar in Turchia, missili intercettori in Romania e Polonia, navi Aegis nel Mediterraneo. A Washington assicurano che lo «scudo» non è diretto contro la Russia, ma serve a fronteggiare la minaccia dei missili iraniani.
A Mosca lo considerano invece un tentativo di acquisire un vantaggio strategico sulla Russia. Il piano prevede la dislocazione di missili a ridosso del territorio russo e, poiché saranno gli Usa a controllarli, nessuno potrà sapere se sono intercettori o missili per l’attacco nucleare. La Russia avverte che prenderà delle contromisure, tra cui l’installazione di un radar e di missili mobili Iskander nell’enclave di Kaliningrad. Indipendentemente dalla sua reale efficacia, lo «scudo» dunque già funziona: serve a creare nuove tensioni, giustificando un ulteriore rafforzamento della leadership e della presenza militare Usa in Europa. Ossia il predominio del partner transatlantico sull’Europa. Se fosse un matrimonio, ci sarebbero gli estremi per il divorzio.