Il Pentagono elimina interi popoli

di David Swanson, da www.counterpunch.org | Traduzione di Sandro Scardigli per Marx21.it

soldati filospinatoQuando pensiamo a tutto ciò che riguarda il progetto di spopolamento militare anelato dal nostro Governo, di solito ci viene a mente la sorte toccata agli indigeni statunitensi, che vennero trasferiti in nuovi insediamenti durante l’espansione continentale degli USA verso Ovest.

Soltanto qualcuno fra noi, qui in Virginia, ha una vaga coscienza del fatto che, anche durante la Grande Depressione, i poveri vennero espulsi dalle loro terre poi trasformate in parchi nazionali. Ma l’idea che questi fatti siano profondamente sepolti nel passato ce lo fa dimenticare e ci riconforta.

Ogni tanto ci giunge notizia che le calamità ambientali stanno lasciando senza un tetto persone per lo più povere ed emarginate, ma questi disastri ci appaiono più un danno collaterale che una pulizia etnica intenzionale.


Se siamo al corrente dell’esistenza di circa mille basi militari statunitensi all’estero attualmente attive in circa 175 paesi del mondo, dobbiamo renderci conto che il territorio da queste occupato potrebbe invece servire a scopi riguardanti la vita dei popoli di quei Paesi. Ma quelle popolazioni stanno sempre lì e vivono – forse un po’ scomodamente – in quelle terre.

È tuttavia un dato di fatto che i militari statunitensi hanno espulso e continuano ad espellere intere popolazioni da villaggi e isole, negando loro il diritto al ritorno, in flagrante violazione del diritto internazionale, dei basilari principi di decenza umana e di quelli che vorremmo far credere che noi rappresentiamo.

La questione in questo caso non sono gli attentati o l’incendio di interi villaggi, che naturalmente gli Stati Uniti commettono nelle loro guerre e “non guerre”. Non stiamo parlando nemmeno dei milioni di rifugiati a causa di conflitti come quello dell’Iraq o dell’Afganistan o di droni e aerei da guerra senza pilota che vengono utilizzati, per esempio, in Pakistan. Tratteremo diversi casi di espulsione intenzionale di determinate popolazioni, deportate perché si trovavano sul territorio individuato per la costruzione di una base e costrette a trasformarsi in masse di profughi.

Gli USA costruirono basi nelle terre delle Filippine appartenenti ai popoli indigeni Aetas, che “finirono a rovistare nei rifiuti militari per sopravvivere”.

La Marina statunitense si impadronì durante la Seconda Guerra Mondiale della piccola isola hawaiana di Koho’alawe per effettuarvi una serie di test di armamenti e ordinò ai suoi abitanti di andarsene. L’isola venne devastata.

Sempre la Marina, nel 1942, espulse gli abitanti delle Isole Aleutine.

Il Presidente Harry Truman decise che i 170 abitanti indigeni dell’atollo di Bikini non avevano diritto a rimanere nella loro isola e li espulse tra il febbraio e il marzo del 1946. Si rifugiarono in altre isole senza che fossero loro messi a disposizione mezzi di sussistenza o strutture sociali. Negli anni seguenti gli USA sloggiarono 147 persone dall’atollo Enewetak Atoll e tutti gli abitanti dell’isola di Lib. I test di bombe atomiche e all’idrogeno condotti dai nordamericani hanno lasciato come risultato lo spopolamento delle isole (che prima degli esperimenti erano abitate) e hanno causato ulteriori trasferimenti. Negli anni ’60 i militari statunitensi espulsero centinaia di persone dall’atollo Kwajalein. Sorse così un ghetto sovrappopolato a Ebeye.

La Us Navy, tra il 1941 e il 1947, cacciò migliaia di abitanti da Vieques, una delle isole di Porto Rico e annunciò di voler espellere gli altri 8.000 entro il 1961, ma fu costretta a desistere da questo proposito e, nel 2003, dovette porre fine alle esercitazioni con ordigni esplosivi sull’isola.

Sempre la Marina, tra il 1948 e il 1950, espulse migliaia di abitanti dalla vicina isola di Culebra e, negli anni ’70, cercò di terminare l’opera con coloro che erano rimasti.

Adesso la Us Navy sta guardando all’isola di Pagan come a una possibile sostituta di Vieques. La popolazione è già stata evacuata a causa di un’eruzione vulcanica. È chiaro che le possibilità di un ritorno in queste condizioni sono assai scarse.

I militari statunitensi, a partire dalla Seconda Guerra Mondiale e per tutti gli anni ’50, espulsero dalla loro terra 250.000 abitanti di Okinawa, ossia la metà della popolazione, obbligandoli a rifugiarsi in campi profughi e deportando migliaia di loro in Bolivia, con la promessa non mantenuta di terre e denaro.

Gli USA si accordarono nel 1954 con la Danimarca per mandare via 150 persone di origine inughuit da Thule, in Groenlandia, dando loro quattro giorni di tempo per andarsene o in caso contrario vedersela con i bulldozers. Viene loro negato il diritto al ritorno.

Diego Garcia

La storia di Diego Garcia viene magnificamente esposta nel libro “Island of shame” (Isola della Vergogna, ndt), di David Vine.

Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna esiliarono, tra il 1968 e il 1973, tra i 1.500 e i 2.000 abitanti di quest’isola dell’Oceano Indiano. Gli inglesi, su ordine e con finanziamenti USA, stiparono all’inverosimile la gente in barche e la abbandonarono sui moli di Maurizio e delle Seycelles, luoghi poco accoglienti per questa popolazione indigena, che aveva abitato per secoli a Diego Garcia. Documenti statunitensi descrivono tutto ciò come un modo per “spazzare” e “bonificare” l’isola.

I responsabili della deportazione degli abitanti di Diego Garcia erano pienamente consapevoli del fatto che quel che stavano facendo era universalmente considerato incivile e illegale. Vennero pensate “coperture logiche” per giustificare il misfatto. Convinsero il sempre compiacente Wasghigton Post a insabbiare la storia, idem la Regina d’Inghilterra, il suo Consiglio Privato e il Parlamento britannico. Il Pentagono mentì al Congresso, nascondendogli i pagamenti effettuati ai britannici con fondi del Congresso stesso. Gli artefici dei detti piani mentirono perfino a loro stessi. Avevano originariamente previsto l’installazione di una stazione per comunicazioni, ma poi arrivarono alla conclusione che i progressi tecnologici l’avevano resa inutile. E così i manipolatori della Marina decisero che una stazione per rifornire di combustibile le navi avrebbe potuto offrire una “giustificazione adeguata” alla costruzione di una base, che era in realtà una contraddizione in termini. Ma il Pentagono tagliò la testa al toro, spiegando a un Congresso riluttante che la base sarebbe stata una stazione per comunicazioni, consapevole che così facendo avrebbe ottenuto l’approvazione dei congressisti.

I pianificatori dell’espulsione degli abitanti di Diego Garcia montarono la menzogna secondo la quale si sarebbe trattato di lavoratori migranti e non di indigeni di Diego Garcia. Sir Paul Gore-Booth, sottosegretario permanente del Ministero degli Affari Esteri britannico, squalificò la gente dell’Isola definendola come “pochi Tarzan o Venerdì (il “buon selvaggio” fra i principali personaggi del romanzo Robinson Crusoe, ndt) dalle oscure origini”. Ciò contrastava con il rispetto e la protezione accordata ad altre isole che non erano state scelte come basi a causa della presenza di piante, uccelli e animali rari.

Il 24 gennaio 1971 venne detto ai restanti abitanti di Diego Garcia che o se ne andavano o sarebbero stati fucilati. Gli fu permesso di portarsi dietro una piccola cassetta con i loro averi, ma dovettero lasciare la casa, l’orto, gli animali, le terre e la loro comunità. I cani vennero sottratti ai proprietari mentre questi stavano aspettando di essere caricati su una nave per partire e furono assassinati davanti ai loro occhi in una camera a gas. I deportati, quando arrivarono nell’isola di Maurizio, vennero alloggiati in una prigione. La loro situazione non è migliorata molto da allora. David Vine li descrive come molto indulgenti rispetto a quel che hanno dovuto subire e desiderosi soltanto di ottenere il permesso di tornare.

Diego Garcia è esclusivamente una base militare e, per alcuni aspetti, una zona al di sopra della legge più di quanto lo sia Guantanamo. Gli Stati Uniti vi hanno mantenuto – e può darsi che lo stiano ancora facendo – dei reclusi, sull’isola o in imbarcazioni ormeggiate nel porto. La Croce Rossa e i giornalisti non possono visitare il luogo. Gli USA esercitano un controllo di fatto su Diego Garcia, mentre la Gran Bretagna ne è formalmente la “proprietaria”. Il Pentagono non è interessato a permettere che la popolazione dell’isola faccia ritorno.

Isola di Jeju

Il Governo della Corea del Sud, su richiesta della Marina USA è in procinto di devastare un villaggio, la sua costa e 130 acri di terra coltivabile nell’isola di Jeju, al fine di installare una base militare. Questa storia viene raccontata meglio nel nuovo film di Regis Tremblay, I fantasmi di Jeju. Non stiamo parlando di una tragedia del passato alla quale dobbiamo porre rimedio, ma di una imminente che dobbiamo fermare prima che abbia inizio. Possiamo dare il nostro contributo. Il film di Tremblay esamina la storia di decenni di abusi contro la gente di Jeju e del movimento di resistenza, che attualmente si ispira ad altre iniziative di lotta contro le basi in tutto il mondo. La pellicola inizia cupamente e termina infondendo gioia. Raccomando calorosamente di organizzare la proiezione del film e un’iniziativa sull’argomento.

Palestina

Non possiamo dimenticare di segnalare qui che gli Stati Uniti finanziano, armano e proteggono il Governo di Israele, che continua ad attuare una politica di sistematica espulsione dei palestinesi e nega loro il diritto al ritorno.

“Il passato non muore mai. E non passa nemmeno”, scrisse William Faulkner.

*David Swanson è autore di War is a lie (La guerra è una menzogna, ndt) e vive in Virginia.