Il nuovo medio Oriente nasce sul sangue palestinese. Editoriale

di Marco Pondrelli

Il genocidio del popolo palestinese sta continuando, almeno guardando alla stampa italiana, nel disinteresse generale. Il segretario delle Nazioni Unite António Guterres ha affermato che Israele ha trasformato Gaza in un campo di sterminio, non sappiamo cosa pensino di queste affermazione la senatrice Segre o il Presidente Mattarella, il quale non ha avuto problemi nel proporre un inesistente parallelismo fra il Terzo Reich tedesco e la Russia ma che poco dice rispetto a quello che succede in Palestina.

I crimini e le atrocità contro la popolazione civile sono un macigno, che peserà su chiunque abbia assistito in silenzio a questo massacro. Abbiamo dato conto delle uccisione dei giornalisti palestinesi, morti che sembrano interessare poco alla stampa italiana, forse perché facevano il loro lavoro nella parte sbagliata del mondo. Si colpiscono i giornalisti perché non si deve conoscere quello che sta succedendo, solo così può passare la favola dell’esercito israeliano che non vuole colpire i civili ma è costretto a farlo perché i guerriglieri di Hamas si nascondono nei tunnel sotto gli ospedali.

Davanti a questa tragedia non si può seriamente pensare che tutto sia riconducibile al solo Netanyahu e alla sua disperata lotta per non entrare in carcere, la verità è che questa è una scelta politica di Israele, che vuole regolare i conti non solo con i palestinesi ma anche con l’Iran.

Nel recente vertice alla Casa Bianca con il Primo Ministro israeliano Trump ha ribadito l’idea di ricostruire Gaza secondo la logica dell’immobiliarista: resort di lusso e casinò. Delle differenze con Netanyahu sono emerse rispetto all’Iran, la Casa Bianca non sembra essere disponibile ad un conflitto e vuole una trattativa sul nucleare. Su questo punto va svolta una riflessione.

Nel suo primo mandato Trump non solo è uscito dall’accordo sul nucleare che Obama aveva firmato ma è stato anche responsabile dell’uccisione di Soleimani (festeggiata all’unisono dall’Isis e da Salvini). Inoltre la volontà dichiarata era quella di arrivare ad un riconoscimento fra Israele e Arabia Saudita. Cosa è cambiato? Sgombriamo il campo dalle facili illusioni, Trump non è un pacifista: se non vuole la guerra con l’Iran è perché la considera destabilizzante e perché sa che renderebbe impossibile il dialogo con i sauditi (importante per gli USA anche perché fondamentale per determinare il prezzo del petrolio). Rispetto a pochi anni fa i rapporto fra Arabia e Iran sono molto migliorati (grazie alla Cina), la sensazione è che una parte dell’Amministrazione USA capisca che dopo avere già duramente colpito l’asse della Resistenza (Palestina, Libano, Siria e Yemen) si può arrivare ad un accordo molto favorevole con l’Iran che sarebbe seguito da un riconoscimento fra Israele e Arabia Saudita.

Questa è la cifra strategica di Trump, mentre la politica statunitense fino ad Obama è sempre stata volta alla destabilizzazione il suo tentativo è quello contrario, stabilizzare la situazione ma costruendo un equilibrio favorevole agli Stati Uniti e a Israele. In questo quadro la grande assente è la Palestina, nelle idee di Trump l’unica possibilità per la nascita di uno Stato palestinese è che esso sia residuale (ovvero senza le colonie israeliane), sottomesso a Israele ed egemonizzato dai sauditi. Quello che verrebbe a nascere sarebbe un nuovo medio oriente che riporterebbe le lancette della storia indietro di cento anni. Perché questo progetto non prenda forma e perché dall’altra parte cessi il genocidio occorre che prenda forma un nuovo sistema multipolare, grazie alla Cina, l’unico Paese in grado di parlare con Iran, Arabia Saudita, Israele e Palestina, questo potrebbe essere possibile.

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