Il mito della guerra nucleare e il destino del pianeta. Editoriale

di Francesco Galofaro, UNITO

Nel mio ultimo intervento ho sostenuto che nella nostra cultura si è già superata una soglia molto pericolosa: l’idea che in alcuni casi sia ammissibile, legittimo, forse perfino doveroso un attacco nucleare “tattico”, limitato, che non dia via all’escalation. Ritorno sull’argomento a motivo della recente caduta di un missile ucraino in territorio polacco. Come ha scritto il direttore di Marx21, abbiamo corso il rischio di un conflitto nucleare. Non ha alcuna importanza che il missile in realtà non fosse russo; dal punto di vista della comunicazione e della propaganda, si è trattato del pretesto ideale: in altri termini, i Paesi NATO avrebbero potuto attaccare. La buona notizia è che la parte della NATO che conta non ha voluto farlo, almeno per il momento. Purtroppo, si è anche evidenziata nettamente una frazione, costituita dai Paesi Baltici, pronti a immolare se stessi e il mondo in un tecno-Ragnarok pur di pervenire a un’epica resa dei conti col nemico russo.

Non scomodo per caso la mitologia norrena a proposito della guerra nucleare. Il “crepuscolo degli dei” è un mito apocalittico che narra la resa dei conti tra forze della luce e delle tenebre. Dalla distruzione del cosmo scaturisce una palingenesi dell’umanità. Questo mito conosce diverse incarnazioni nell’immaginario occidentale e nella cultura popolare contemporanea. In molti film di fantascienza l’alieno viene sconfitto grazie a una devastante esplosione nucleare – si veda Alien e i suoi svariati sequel; nella variante Predator, è l’alieno sconfitto a ricorrere alla bomba come extrema ratio. Le bombe atomiche si rivelano utili per distruggere l’asteroide che minaccia la terra in Armageddon, film di fanta-azione con Bruce Willis, e in una serie di film simili. In tutti questi casi, l’eroe o gli eroi devono essere pronti al sacrificio personale che, talvolta, mettono effettivamente in atto pur di ottenere il risultato. Il senso di questo genere di racconti è evidente: la bomba non distruggerà il mondo; al contrario, lo salverà o lo rigenererà – ma bisogna essere disposti a sacrificare tutto perché ciò possa avvenire.

A scanso di equivoci, qui non intendo dare alla parola “mito” una connotazione negativa, ma un senso squisitamente tecnico. I miti hanno diverse funzioni: risolvono una contraddizione presente nella cultura spiegando, ad esempio, la genesi del cosmo oppure fondando l’identità di un popolo e delle sue istituzioni. A proposito della bomba atomica, registriamo (fortunatamente) anche un contro-mito di origine tecnico-scientifica. Diversi film in passato hanno raccontato la distruzione reciproca dell’umanità: il Dottor Stranamore, di Stanley Kubrik, o The day after, di Nicholas Meyer. Tuttavia, questo genere di prodotti sembra oggi essere scomparso dal mercato. Dopo il crollo dell’Unione sovietica, dopo l’ottimistica fine della storia raccontata dal professor Fukuyama, la coscienza infelice di Hollywood ha preferito immaginare la catastrofe come l’esito di un evento cosmico, di una pandemia oppure del cambiamento climatico. Ricercando sulle principali piattaforme streaming è oggi difficile, se non impossibile, imbattersi nei film sulla bomba. Peccato: si tratta di operazioni pedagogiche rese urgenti dalla guerra. Fortunatamente, a riportare in vita questo contro-mito ha pensato un commentatore competente come il generale Fabio Mini, autore di un interessante approfondimento sul numero 1 di Heavy Metal, rivista diretta da due decani del fumetto d’autore come Daniele Brolli e Francesco Coniglio. In sei pagine Mini ricostruisce con acribia i diversi scenari che possono portare alla fine del mondo partendo dai piani e dalle strategie dei Paesi NATO, da quelli classici della Guerra fredda a quelli contemporanei, parzialmente automatizzati, che coinvolgono l’AUKUS (l’alleanza tra Australia, Gran Bretagna, e Stati Uniti in funzione anti-russa e anti-cinese, più agile della NATO).

Il generale Mini si sofferma anche sui rischi legati alla guerra in Ucraina. Kiev ha tutte le intenzioni di vincere la propria guerra sul campo, ma le armi convenzionali fornite dai Paesi occidentali non le consentono di rovesciare a tal punto i rapporti di forza. Armi nucleari tattiche possono tuttavia pervenire all’Ucraina con molta facilità, occultate tra le altre che generosamente i Paesi NATO inviano all’Ucraina nel nome della pace. Possono essere montate su missili, ma anche adattarsi a obici e lanciarazzi. A questo punto, scrive Mini, “basta un missile a testata nucleare sulla base russa di Sebastopoli in Crimea o quella di Kaliningrad nel baltico da parte dell’Ucraina, o chi per essa, e saltano una decina di depositi e basi americane in Europa a partire da quelle in Italia e nel Baltico”. La mossa russa dà il via a un’escalation di avvertimenti e contrattacchi che terminano inevitabilmente con la fine del mondo. Chi pensa che questa ricostruzione sia esagerata mediti sull’incidente della settimana scorsa: esso dimostra che gli scenari di escalation sono molti e molto banali. L’Ucraina non ha nemmeno bisogno di ricorrere a un’atomica vera e propria; il bombardamento di Zaporizhzhia col pretesto di colpire presunti Russi nascosti nella centrale fornisce all’Ucraina la più pericolosa delle bombe sporche. È vero che le superpotenze in conflitto hanno più volte concordato sulla necessità di scongiurare una guerra nucleare, ma, come scrive Mini, la deterrenza implica la razionalità degli attori in conflitto. Al contrario, come ho scritto sopra, la propaganda e la comunicazione di guerra presuppongono una mitologia a carattere religioso, basata su un’ideologia manichea per cui lo scontro tra bene e male non ammette compromessi, mediazioni o sintesi, e il trionfo dell’avversario va impedito a qualsiasi prezzo. Anche a quello, carissimo, di immolare sull’altare del conflitto un’umanità in larga parte innocente che desidera esclusivamente la pace.

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