Editoriale di Vermelho, portale web del Partito Comunista del Brasile (PCdoB)
da www.vermelho.org.br | Traduzione di Marx21.it
L’elezione del presidente Hassan Rohani, nella Repubblica Islamica dell’Iran, è stata accolta come un punto di svolta, e con una qualche timida “speranza” in ragione della “moderazione” che viene attribuita alle posizioni del nuovo capo di Stato. I media internazionali, analisti politici e accademici di vari istituti preconizzano un miglioramento delle relazioni tra il paese persiano e gli Stati Uniti, che, tuttavia, sono riluttanti a lasciare da parte i toni minacciosi.
L’editoriale del portale iraniano HispanTV sembra stemperare il cauto ottimismo che, fino ad ora, i media statunitensi e, sorprendentemente, quelli israeliani hanno trasmesso. L’aspettativa è quella di una “riconciliazione politica” tra Iran e Stati Uniti, che dal 1979 hanno sancito e allargato quasi ogni anno sanzioni contro i persiani.
E’ stato l’anno, quello della Rivoluzione Islamica, che ha scosso l’investimento politico nordamericano al regime autocratico fino allora vigente in quel paese di grande importanza geostrategica e collocato in un contesto di immenso interesse per gli Stati Uniti, come ha riaffermato lo stesso presidente statunitense Barack Obama, nel suo discorso arrogante e imperialista all’Assemblea Generale dell’ONU.
Rohani ha già dimostrato la sua disponibilità a migliorare le relazioni con i membri dell’ONU e, nello specifico, con gli USA. Ciò non significa, tuttavia, concessioni in merito al diritto del paese persiano di continuare a sviluppare il proprio programma nucleare, con fini civili (medici ed energetici), sebbene questa sia la principale fonte di pretesti da parte delle potenze occidentali per conservare ed espandere sanzioni economiche, commerciali e finanziarie contro l’Iran.
Le sanzioni comprendono misure contro il commercio e la produzione di petrolio, una delle principali fonti di introiti di questo paese del Golfo Persico, e contro le transazioni del sistema bancario. A livello mondiale, le sanzioni si sono rafforzate quando hanno iniziato ad essere applicate, attraverso risoluzioni, dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) nel 2006 e, in seguito dall’Unione Europea.
Lo status di membro dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA), di firmatario del Trattato di Non Proliferazione (dal decennio del 1970, mentre gli USA e i vicini ostili come Israele ancora oggi non hanno ratificato il Trattato) e il decreto religioso (fatwa) che proibisce lo sviluppo di armi nucleari nel paese sono elementi messi invano in risalto da anni dal governo iraniano per difendersi dalle accuse di propensione bellicista.
Premuti da Israele, che viene percepito come il principale obiettivo dell’immaginario programma nucleare militare iraniano, e con a cuore i propri interessi politici e geostrategici, gli USA, come d’abitudine, mantengono le accuse e le minacce contro l’Iran. Tuttavia, l’elezione e la dimostrazione di disponibilità al compromesso diplomatico di Rohani hanno abbassato il tono della retorica più minacciosa e dato spazio a manifestazioni di ottimismo su un avvicinamento tra i due paesi, possibilità a cui Israele guarda con stupore.
Gli USA hanno dichiarato la disponibilità a riannodare relazioni diplomatiche con l’Iran, e anche il capo della diplomazia europea, Catherine Ashton, ha ribadito l’impegno a negoziati con l’Iran sul suo programma nucleare, nel contesto di colloqui tra questo paese e il Gruppo 5+1 (Stati Uniti, Russia, Francia, Cina e Regno Unito, membri del Consiglio di Sicurezza, più la Germania).
Inoltre, nel discorso pronunciato all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Rohani ha ribadito che il suo paese non rappresenta una minaccia alla pace, ma non ha mancato di criticare la “propaganda” contro l’Islam e contro l’Iran in quanto “nuove minacce alla stabilità mondiale e alla sicurezza del genere umano”.
Il presidente ha definito le sanzioni imposte al suo paese come simboli della violenza che colpisce direttamente il suo popolo, ma le sue dichiarazioni sono state respinte da Israele, il cui governo è arrivato a chiamare Rohani “cinico” e “ipocrita”, mostrando totale mancanza di disponibilità a qualsiasi dialogo politico, o alla diplomazia.
In ogni caso, il processo di riavvicinamento e le previsioni di un incontro bilaterale continuano ad essere accompagnati da ottimismo, sebbene la possibilità di una riunione tra i presidenti iraniano e statunitense, durante l’Assemblea Generale dell’ONU, sia stata accantonata.