di Stephen Karganovic
Traduzione di Marco Pondrelli per Marx21.it
Mentre il 24 marzo è passato in gran parte inosservato in Occidente, dove avrebbe dovuto evocare enormi manifestazioni di vergogna e pentimento, a Mosca è stato ricordato da Maria Zakharova che lo ha giustamente definito “una macchia indelebile sulla reputazione della NATO”. Quel giorno del 1999, invocando come pretesto l’urgente necessità di proteggere dalla persecuzione la minoranza albanese del Kosovo, l’alleanza NATO, sotto la guida coordinata dei principali paesi occidentali, iniziò la sua guerra lampo contro la Repubblica federale di Jugoslavia.
Inizialmente modellata sulla rapida strategia di Hitler per vincere la guerra, l’offensiva della NATO non doveva durare più di tre o quattro giorni prima che la Jugoslavia cedesse. In realtà, è durata più di settanta giorni, con un finale militare e politico sul campo che non è stato tra i momenti più brillanti negli annali della NATO. Nei giorni finali della lotta impari per sottomettere una nazione coraggiosa che combatteva con solo una frazione delle risorse dell’aggressore, è stato praticamente come se Hitler fosse stato costretto a chiedere la pace a una delle sue vittime designate. Oltre ad essere insensatamente distruttiva delle infrastrutture civili, scuole, ospedali, uffici postali e ponti, e dopo aver ucciso diverse migliaia di civili, l’offensiva della NATO non stava portando da nessuna parte. Castigati dal loro fallimento a tutto campo nell’intaccare le difese di terra serbe, i generali della NATO rimandarono ripetutamente e infine scartarono l’opzione di un’invasione di terra che, nella loro stima probabilmente corretta, avrebbe portato a una carneficina politicamente inaccettabile delle loro truppe.
Ciò che rimaneva da fare era raddoppiare lo sforzo per vendicarsi e sistematicamente, dalla sicura altitudine di 30.000 piedi, radere al suolo i mezzi del paese-vittima per qualsiasi parvenza di vita civile. Era un’applicazione pratica nel cuore dell’Europa (non che non sarebbe stato giustificato altrove) del ritornello neandertaliano dei pianificatori militari del “mondo libero” a cui questo o quel paese deve obbedire o essere “bombardato e fatto tornare all’età della pietra”. ” I neanderthal erano, ovviamente, sistemati al sicuro nei loro uffici del Pentagono e di Bruxelles mentre i loro accoliti stavano conducendo incursioni omicide da altezze che erano in gran parte irraggiungibili per le difese aeree della Jugoslavia. La costante distruzione dei beni della Jugoslavia stava facendo il suo corso mentre l’immensa mobilitazione popolare per le strade d’Europa e d’America contro la barbarie che si stava svolgendo rappresentava una dura sfida politica per i governi europei vassalli e cominciava a mettere a dura prova il tessuto stesso dell’alleanza NATO.
Alla fine la NATO era pronta per quasi qualsiasi tipo di pace salva-faccia. Parallelamente all’intensificazione dei bombardamenti, ha giocato la sua ultima carta nella persona di un corrotto politico finlandese, Martti Ahtisaari, che ha convinto il presidente Slobodan Milosevic ad adottare una posizione più “flessibile” minacciando di bombardare Belgrado a tappeto, un chiaro crimine di guerra anche se non effettivamente messo in atto e usato solo come strumento di perversa diplomazia neanderthaliana. Il presidente Milosevic ha accettato, a torto o a ragione, e ha deciso, in cambio di una tregua necessaria, di dare alla malvagia alleanza la salvezza di facciata di cui aveva bisogno, portando a termine la sua aggressione con qualcosa di simile ad una pace “onorevole”.
Il prezzo politico per il cessate il fuoco che la Jugoslavia pretese fu formidabile, almeno in termini puramente teorici. Era la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che stabiliva che le province di Kosovo e Metochia erano inalienabilmente territorio jugoslavo (e con la successiva dissoluzione della Jugoslavia, dello stato successore della Serbia) e che sotto gli auspici dell’ONU le truppe della NATO sarebbero state autorizzate ad entrarvi solo allo scopo di mantenere la pace e garantire la sicurezza di tutti i gruppi etnici residenti, in attesa di una risoluzione negoziata delle questioni in sospeso. Considerando la grossolana sproporzione di forze tra le parti, per i serbi questa era di per sé una vittoria morale e politica epica, anche se la NATO non aveva la minima intenzione di onorare i termini dell’accordo che aveva firmato. Per non farsi mancare nulla, sotto gli occhi di tutto il mondo l’esercito serbo si è ritirato dal Kosovo praticamente intatto e in perfetto ordine dopo oltre due mesi di bombardamenti che hanno mancato quasi completamente il bersaglio.
Ciò che rimase, tuttavia, furono tonnellate di munizioni illegali di uranio tossico con un’emivita[*] di diversi milioni di anni per contaminare il suolo e rovinare la salute delle generazioni a venire. Ma questo era il prezzo prevedibile della “liberazione” della NATO.
La conseguenza di gran lunga più storica e chiaramente non voluta dell’avventura della NATO in Kosovo è ciò che è successo dopo, qualcosa che l’Alleanza e la leadership politica occidentale rimpiangeranno fino alla morte. Come notato nel Tweet dell’ambasciata russa a Washington, “per la prima volta dalla seconda guerra mondiale è stata commessa un’aggressione contro una nazione europea sovrana, un partecipante attivo nella coalizione anti-Hitler, uno dei fondatori delle Nazioni Unite”. Le implicazioni di questi fatti cupi non passarono senza essere colte a fondo a Mosca. Infatti, furono colte con fermezza e in tempo reale dal primo ministro Evgeny Primakov che si stava recando a Washington quando iniziò l’aggressione e ordinò immediatamente al suo aereo, senza ulteriori indugi, di fare un’inversione a U in pieno Atlantico e tornare a casa. Questa illuminante esperienza ha inaugurato una nuova era nella geopolitica e non è necessaria un’ulteriore elaborazione su questo punto.
Chi scrive, che nel 2004 stava vedendo il signor Primakov per un’altra questione, su richiesta specifica di sua madre e a nome del popolo serbo ed ha avuto lo straordinario onore di ringraziare lo statista russo per il suo gesto coraggioso e stimolante che – ora, in prospettiva, possiamo concludere con fiducia – ha veramente cambiato il mondo.
Nota:
* Negli elementi chimici radioattivi, il tempo in cui decade metà della massa iniziale dell’elemento stesso