di Diana Murigoltik | da Megachip
In occasione del vertice NATO del 20 maggio scorso, si è svolto un “summit ombra” focalizzato sui diritti delle donne afgane. Il summit era ospitato da Amnesty International e suggerito dalla preoccupazione della nota associazione pacifista per … indovinate un po’ … per il ritiro della NATO dal paese centroasiatico. Proprio così, Amnesty International é preoccupatissima perché i massacratori atlantici si ritirano dalla loro non-conquista. La scusa è che le donne afgane perdano dei diritti mai acquisiti nonostante l’occupazione dei “liberatori”.
Siamo pur sempre nella Repubblica Islamica di Afghanistan a conduzione NATO, rispetto alla quale la Repubblica Islamica dell’Iran assomiglia alla Svizzera.
Anzi, bisognerebbe ricordare che uno dei punti su cui si scatenò la guerriglia contro i governi filosovietici fu proprio la concessione di ampi diritti alle donne, come quello di voto, d’istruzione, il divieto di indossare il burqa e quello di essere oggetto di scambio economico nei matrimoni combinati. Questa è storia.
Così come è storia che quella guerriglia fu organizzata e sostenuta dai democratici USA: era la trappola afgana antisovietica preparata da Zbigniew Brzezinski, in cui il popolo afgano e il diritto delle donne erano l’esca.
Per scongiurare il malaugurato evento di un Afghanistan senza truppe straniere, Amnesty International ha fatto stampare il manifesto che vedete, che recita “NATO: avanti con il progresso”.
Qualcuno si è chiesto su internet se Amnesty fosse impazzita. No, è il coerente sviluppo di una linea, come vedremo subito.
Ospite d’onore del summit ombra dell’associazione umanitaria è stata Madeleine Albright, la donna che quando era Segretario di Stato di Clinton affermò alla televisione che mezzo milione di bambini morti per l’embargo in Iraq erano “un prezzo giusto” (“the price is worth it”).
Il summit ombra ha inviato una lettera aperta ad Obama e Karzai, del tenore intuibile, firmata anche da Meryl Streep, denotata per l’occasione come “actress and human rights activist”. D’altra parte poco tempo fa il suo collega d’arte, di fascino e di progresso, George Clooney, aveva speso la propria immagine pubblica a favore dello spezzatino USA del Sudan. Sempre per motivi umanitari.
E’ la sinistra bellezza, uguale di qua e di là dell’Atlantico. Abbiamo infatti anche Joan Baez, Yoko Ono, Sting, tutti/e “artist and human rights activist”.
E ovviamente c’è la firma di Suzanne Nossel , Executive Director di Amnesty International USA. Una nostra giovane vecchia conoscenza.
La giovane Suzanne oltre ad essere rossa di capigliatura è la dimostrazione di cosa sia il far finta di essere rossi in politica, ovvero lo sport estremo della sinistra da qualche decennio a questa parte.
Infatti la Nossel è una funzionaria della gang Clinton, per la precisione della democratica Hillary che ogni giorno che passa rischia di farci rimpiangere la feroce Condoleeza Rice.
Prima di arrivare ai vertici di Amnesty nel novembre scorso, Suzanne Nossel è stata infatti Vice-assistente Segretaria di Stato, ovvero una sorta di sottosegretaria all’ombra della Clinton. Ma prima ancora era stata in Human Rights Watch, l’organizzazione sedicente umanitaria sostenuta dal noto speculatore finanziario George Soros, promotore con la National Endowment for Democracy (specchietto per le allodole dirittoumaniste della Cia), delle rivoluzioni colorate in mezzo mondo. D’altra parte la giovane e brillante Suzanne ha una buona dimestichezza con la finanza essendo anche stata Vicepresidente per la Strategia e le Operazioni del Wall Street Journal.
Inutile quindi straparlare di finanziarizzazione e di finanza criminale se poi non si riescono a vederne gli agganci con le guerre d’aggressione umanitaria dell’imperialismo. La rossa Suzanne è un esempio vivente di questo punto di convergenza e snodo tra finanza, diritti umani e imperialismo.
Non a caso sta da tempo perorando l’intervento militare in Siria, rilanciato a gran voce dopo la strage di Hula.
C’è del marcio nella CIA, come aveva “rivelato” il famoso film “I tre giorni del condor”. Subito dopo la strage il portavoce ONU aveva parlato di responsabilità dei terroristi “ribelli”. Logica conclusione dato che le vittime sono state uccise con colpi a bruciapelo o a coltellate e non riportano i segni di chi ha subito un bombardamento. Anche il Manifesto riportava in tal modo la notizia per essere subito dopo fustigato da qualche sue lettore col cervello embedded.
Il capo degli osservatori ONU però decide che comunque è colpa di Assad, anche se è costretto successivamente a correggersi in videoconferenza col Consiglio di Sicurezza.
Ma ormai il guasto è fatto. Tutti i media parleranno della responsabilità del regime di Assad (che nel bel mezzo della missione ONU uccide bambini all’arma bianca per lasciare che subito dopo i ribelli li possano mostrare come vittime dei bombardamenti dell’esercito regolare – perché questa sarebbe né più né meno la fantasiosa logica) e la Russia al consiglio di sicurezza fa fatica a tenere il punto.
Il trucco c’è, si vede benissimo, ma non gliene frega niente a nessuno.
Non gliene frega niente alle diplomazie internazionali perché lì, come spiegò una volta un consigliere neocons di Bush jr, c’entrano solo gli interessi strategici.
Ma non gliene frega nulla nemmeno ai disastrati della sinistra mondiale. Con Joan Baez protestavamo contro la guerra in Vietnam negli anni Sessanta. Qualcuno dovrebbe allora spiegarci perché il Vietnam no e l’Afghanistan sì, la Libia sì, la Siria sì e l’Iran sì. Alternativamente qualcuno dovrebbe spiegarci se è l’imperialismo che è diventato troppo intelligente o è la sinistra che è diventata troppo idiota.
Oppure ha semplicemente riscoperto le sue antiche tradizioni: votare i crediti di guerra e sparare a Rosa Luxemburg.Il summit ombra ha inviato una lettera aperta ad Obama e Karzai, del tenore intuibile, firmata anche da Meryl Streep, denotata per l’occasione come “actress and human rights activist”. D’altra parte poco tempo fa il suo collega d’arte, di fascino e di progresso, George Clooney, aveva speso la propria immagine pubblica a favore dello spezzatino USA del Sudan. Sempre per motivi umanitari.
E’ la sinistra bellezza, uguale di qua e di là dell’Atlantico. Abbiamo infatti anche Joan Baez, Yoko Ono, Sting, tutti/e “artist and human rights activist”.
E ovviamente c’è la firma di Suzanne Nossel , Executive Director di Amnesty International USA. Una nostra giovane vecchia conoscenza.
La giovane Suzanne oltre ad essere rossa di capigliatura è la dimostrazione di cosa sia il far finta di essere rossi in politica, ovvero lo sport estremo della sinistra da qualche decennio a questa parte.
Infatti la Nossel è una funzionaria della gang Clinton, per la precisione della democratica Hillary che ogni giorno che passa rischia di farci rimpiangere la feroce Condoleeza Rice.
Prima di arrivare ai vertici di Amnesty nel novembre scorso, Suzanne Nossel è stata infatti Vice-assistente Segretaria di Stato, ovvero una sorta di sottosegretaria all’ombra della Clinton. Ma prima ancora era stata in Human Rights Watch, l’organizzazione sedicente umanitaria sostenuta dal noto speculatore finanziario George Soros, promotore con la National Endowment for Democracy (specchietto per le allodole dirittoumaniste della Cia), delle rivoluzioni colorate in mezzo mondo. D’altra parte la giovane e brillante Suzanne ha una buona dimestichezza con la finanza essendo anche stata Vicepresidente per la Strategia e le Operazioni del Wall Street Journal.
Inutile quindi straparlare di finanziarizzazione e di finanza criminale se poi non si riescono a vederne gli agganci con le guerre d’aggressione umanitaria dell’imperialismo. La rossa Suzanne è un esempio vivente di questo punto di convergenza e snodo tra finanza, diritti umani e imperialismo.
Non a caso sta da tempo perorando l’intervento militare in Siria, rilanciato a gran voce dopo la strage di Hula.
C’è del marcio nella CIA, come aveva “rivelato” il famoso film “I tre giorni del condor”. Subito dopo la strage il portavoce ONU aveva parlato di responsabilità dei terroristi “ribelli”. Logica conclusione dato che le vittime sono state uccise con colpi a bruciapelo o a coltellate e non riportano i segni di chi ha subito un bombardamento. Anche il Manifesto riportava in tal modo la notizia per essere subito dopo fustigato da qualche sue lettore col cervello embedded.
Il capo degli osservatori ONU però decide che comunque è colpa di Assad, anche se è costretto successivamente a correggersi in videoconferenza col Consiglio di Sicurezza.
Ma ormai il guasto è fatto. Tutti i media parleranno della responsabilità del regime di Assad (che nel bel mezzo della missione ONU uccide bambini all’arma bianca per lasciare che subito dopo i ribelli li possano mostrare come vittime dei bombardamenti dell’esercito regolare – perché questa sarebbe né più né meno la fantasiosa logica) e la Russia al consiglio di sicurezza fa fatica a tenere il punto.
Il trucco c’è, si vede benissimo, ma non gliene frega niente a nessuno.
Non gliene frega niente alle diplomazie internazionali perché lì, come spiegò una volta un consigliere neocons di Bush jr, c’entrano solo gli interessi strategici.
Ma non gliene frega nulla nemmeno ai disastrati della sinistra mondiale. Con Joan Baez protestavamo contro la guerra in Vietnam negli anni Sessanta. Qualcuno dovrebbe allora spiegarci perché il Vietnam no e l’Afghanistan sì, la Libia sì, la Siria sì e l’Iran sì. Alternativamente qualcuno dovrebbe spiegarci se è l’imperialismo che è diventato troppo intelligente o è la sinistra che è diventata troppo idiota.
Oppure ha semplicemente riscoperto le sue antiche tradizioni: votare i crediti di guerra e sparare a Rosa Luxemburg.