di Marco Pondrelli
Dopo l’avvio dell’Operazione Militare Speciale l’Occidente oltre al militarismo aveva riscoperto l’orgoglio; sui giornali si poteva leggere che la Nato non solo era unita ma il suo ruolo era stato rilanciato, l’ONU aveva votato con una maggioranza mai vista prima (in realtà vista nei voti che ogni anno chiedono la fine del blocco contro Cuba) la condanna (che tale non era) della Russia.
Diradatesi le nebbie della prima reazione demagogica si è potuto vedere che le cose stavano diversamente e che l’Occidente globale era ed è piccola parte della comunità internazionale. Purtroppo questo non incide sulla sicurezza dei nostri leader, è difficile non dare ragione a Marco Travaglio quando scrive ‘i Buoni non sbagliano mai, e se il resto del mondo li odia è perché è cattivo, dunque non esiste‘, in effetti il presupposto è che la nostra è una civiltà superiore (ricorda qualcosa?) e chi non si è ancora convertito alla liberaldemocrazia o è in cattiva fede o è arretrato, c’è poi la casistica di coloro che abbandonano il campo occidentale, questa è ultimamente la cosa più interessante del panorama internazionale.
Il primo campanello d’allarme arriva dalla Slovacchia e dalla vittoria di Robert Fico ottenuta con un dura polemica contro l’invio delle armi all’Ucraina, subito i socialisti europei hanno minacciato l’espulsione dal gruppo, cosa che non hanno fatto quando Fico e il suo partito furono coinvolti nelle indagini per l’assassinio del giornalista Ján Kuciak e della sua fidanzata Martina Kušnírová o per le ripetute dichiarazioni islamofobe, tutto può essere tollerato ma non si possono avere dubbi sulla guerra e sul ‘vincere e vinceremo’. La vera macchia nera per chiunque è l’accusa di putinismo, che addirittura Zelensky è riuscito a ribaltare sulla Polonia, quando dal palco delle Nazione Unite l’ha accusata di favorire la Russia. Prima ancora dei dubbi espressi dal popolo slovacco la Polonia aveva iniziato a deflettere dal suo incondizionato sostegno all’Ucraina. I nodi del contendere fra Varsavia e Kiev non sono pochi, innanzitutto c’è il grano ucraino che ben lungi dall’aiutare i paesi poveri, in larga parte viene esportato in Europa colpendo gli agricoltori polacchi che sono parte fondamentale del blocco sociale che sostiene il Partito di governo, a questo si aggiungono le rivendicazioni territoriali polacche su parte dei territorio dell’Ucraina occidentale, senza contare i giudizi diametralmente opposti che vengono dati sulla figura di Bandera (e che sono alla base delle proteste polacche per la presenza di un collaborazionista nazista al Parlamento canadese). Non è casuale che proprio in questi giorni la Polonia abbia reso pubbliche le conclusioni sull’incidente di Przewodów nel quale morirono due cittadini polacchi e del quale Zelensky incolpò (mentendo e sapendo di mentire) la Russia. Le conclusioni polacche affermano che sono stati gli ucraini a provocare quelle morti, questo rapporto viene reso pubblico nel momento di massima crisi nei rapporti fra i due paesi.
Slovacchia e Polonia, con buona pace di Borrell che ha dichiarato che ‘l’unione europea resta unita nel suo sostegno all’Ucraina’, non sono gli unici due tasselli che incrinano il falso unanimismo occidentale. La stampa italiana dovrebbe allungare la lista dei putiniani fino a ricomprendere il Congresso statunitense colpevole di avere bloccato i finanziamenti a Kiev per evitare il cosiddetto shutdown. Da parte di Biden fare pressione per evitare l’accordo sarebbe stato folle, spiegare che si chiudono gli uffici pubblici perché non si possono spendere soldi per Kiev sarebbe stato il suicidio politico della sua amministrazione, il problema si ripresenterà in vista del 17 novembre quando si dovrà cercare un nuovo accordo in Congresso, con l’ala trumpiana del Partito Repubblicano molto più forte e intenzionata a non concedere altri assegni a Zelensky.
A fronte di queste difficoltà le retoriche affermazioni di sostegno a Kiev lasciano il tempo che trovano, anche perché come si può notare dalla mappa apparsa su ‘il fatto quotidiano’ la contro offensiva ucraina al momento vede complessivamente un’avanzata della Russia, che potrebbe essere tentata in futuro di avanzare ulteriormente e, magari, completare la conquista completa delle regioni che sono considerate territorio russo. L’economia russa regge e cresce mentre i paesi europei iniziano ad annaspare, una futura crisi tedesca potrebbe avere ripercussioni di tale portata che oggi difficilmente possiamo ipotizzare.
È con di fronte questo scenario che anche nel governo Meloni iniziano a emergere le prime crepe, dopo le dichiarazioni bellicose del Ministro degli Esteri il suo collega alla Difesa ha dichiarato ‘di un eventuale nuovo pacchetto di armi da inviare in Ucraina c’è già tantissima gente che ne parla non avendone competenza […] Se ci sarà un nuovo invio di armi da parte dell’Italia all’Ucraina non lo posso dire […]. I pacchetti si costruiscono sulla base di richieste e dell’opportunità di soddisfarle. Ora stiamo valutando le richieste […] Il problema è che non abbiamo risorse illimitate […] Non penso sia possibile militarmente arrivare al ripristino dell’ucraina‘. La sensazione che si ha è che anche nel Governo italiano il sostegno a Kiev sia sempre più difficile da sostenere, questo non perché il centro-destra sia stato colto da un improvviso fervore pacifista o antimperialista ma semplicemente perché se la crisi dovesse trasformarsi in recessione loro sarebbero i primi a rischiare il posto di lavoro.
Il malessere popolare sta crescendo in Italia è altrove, Fico non ha vinto le elezioni grazie alla Wagner o agli Hacker russi ma con il sostegno popolare di chi è stanco di continuare a pagare per combattere una guerra che se l’Occidente avesse voluto non sarebbe mai scoppiata. C’è un moto popolare che chiede la pace è per questo che la democrazia viene sempre meno tollerata dai nostri governanti, come spiegava Barbara Spinelli su il fatto quotidiano del 5 ottobre citando il senatore Monti, che affermò ai tempi del Covid: ‘bisogna trovare modalità meno democratiche nella somministrazione (sic) dell’informazione. (…) In una situazione di guerra si devono accettare delle limitazioni alle libertà‘. Siamo arrivati al paradosso per cui la democrazia liberale per perpetuare sé stessa si nega, negando la propria (falsa) retorica democratica. Un non rimpianto ex Presidente del Consiglio disse che di fronte alla guerra gli italiani dovevano scegliere fra la pace e i condizionatori, oggi gli italiani hanno finalmente capito che la scelta è fra la guerra e la democrazia.
Unisciti al nostro canale telegram