di Daniele Cardetta | da www.tribunodelpopolo.it
Da quando, negli ultimi tempi, i ribelli siriani sembrano perdere terreno, gli Usa hanno alzato i toni mostrandosi pronti a un’intervento militare. E torna l’espediente delle armi chimiche per creare un casus belli.
Quando nel 1898 gli Stati Uniti avevano rivolto i loro appetiti verso Cuba e i possedimenti spagnoli in America centrale, i vertici statunitensi pensarono bene di fabbricare un casus belli per dichiarare guerra a Madrid. Per questo venne fatto saltare in aria l’incrociatore americano Maine, incolpando del misfatto proprio gli spagnoli. Serviva un pretesto infatti peraggirare il divieto previsto dalla Costituzione americana di aggredire per primi uno stato estero. Unico organo competente negli Stati Uniti per dichiarare guerra è il Congresso, da qui la necessità per le amministrazioni di creare un casus belli che le faccia apparire davanti alla nazione come il legittimo strumento per il ripristino dell’ordine. E così fu. L’11 settembre 2001 non ci sono ancora ammissioni ufficiali, ma forse un giorno verrà consegnato ai libri di storia un meccanismo analogo, così come nel caso dell’Iraq, con la fabbricazione di prove false sul possesso da parte di Baghdad di armi di distruzione di massa poi mai pervenute.
Ora sembra essere il turno della Siria. Dopo due anni e mezzo di massacri interminabili con estremisti islamici provenienti da mezzo mondo armati e inviati in Siria contro il governo di Damasco, le forze armate di Assad stanno finalmente vincendo sul campo, liberando villaggio dopo villaggio. Da qui il panico nell’Occidente, soprattutto dopo la battaglia di Qusayr, dove i fedelissimi di Assad hanno assestato un colpo devastante ai ribelli, ponendo le premesse per la liberazione di Aleppo, ultima roccaforte dei ribelli. Guardacaso da quando i ribelli stanno perdendo terreno, gli Usa sono tornati a fare la voce grossa, minacciando un intervento militare. E per farlo si torna al meccanismo delle prove false, del casus belli, delle armi chimiche che, fino a prova contraria, sono sicuramente state già usate da parte dei ribelli, come peraltro certificato dal rapporto Onu di Carla Del Ponte. Ora l’amministrazione Obama, fidando nella persuasione garantita dalla propria potenza mediatica, rilancia lo stesso argomento :”Il regime di Bashar al Assad ha superato la linea rossa imposta dal presidente Barack Obama e gli Stati Uniti si preparano a intervenire in maniera più consistente e diretta anche dal punto di vista militare nel conflitto siriano“. E’ la stessa amministrazione a “certificare” l’utilizzo di armi chimiche contro i ribelli dell’opposizione. Dell’esito delle “indagini” è stato ufficialmente informato anche il Congresso. Parlando in conferenza stampa subito dopo l’annuncio, il vice consulente di Obama per la sicurezza nazionale, Ben Rodhes, ha spiegato che tra le armi chimiche impiegate ci sarebbe il gas sarin, una forma di gas nervino. Utilizzate “diverse volte in piccola scala”, le armi chimiche avrebbero ucciso circa 150 persone.
“Sono solo una piccola parte rispetto al catastrofico numero di vittime ma è una violazione delle leggi internazionali e della linea rossa che avevamo imposto”. Proprio ieri l’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani ha fatto sapere che il numero dei morti dall’inizio del conflitto, nel 2011, è salito a 93.000, di cui 6.500 sono bambini. Inutile dire che la Siria non avrebbe avuto alcun motivo per utilizzare il gas Sarin visto e considerato che mezzo mondo non aspettava che un pretesto per autorizzare un intervento militare contro di lei. Disponendo di Mig, missili, armi moderne e tecnologiche, per quale motivo Damasco avrebbe dovuto usare armi chimiche attirandosi così gli strali della comunità internazionale? Semplice, si tratta di un pretesto creato ad hoc per dare respiro ai ribelli, e infatti Rodhes ha annunciato che verrà fornito “sostegno diretto sia dal punto di vista militare che politico“, che “verranno incrementati gli aiuti già dati” e che allo stesso tempo ne verranno forniti di “nuovi“. E intanto i media americani parlano dell’imminenza di una “no-fly zone” sul territorio siriano, la stessa misura che era stata adottata in Libia contro Gheddafi, peccato che la Siria disponga di armi russe, e non sarà così facile applicarla. Oseranno gli Stati Uniti aprire il fronte siriano intervenendo contro un intero popolo che, per due anni, è stato costretto a combattere contro bande di islamici radicali foraggiati dall’Occidente, sfidando in questo modo apertamente Mosca?
Daniele Cardetta