di Gianmarco Pisa
Potrebbe lasciare interdetti il recente annuncio del neo-ministro degli esteri, Emma Bonino, del neo-governo tecnocratico e presidenziale, di Enrico Letta, di volere effettuare la sua prima visita ministeriale all’estero in Serbia (e Kosovo); se non fosse per l’assoluto rilievo diplomatico che la regione e la Serbia soprattutto vengono ad assumere, in particolare, in questo momento storico, contrassegnato da una grande quantità di evoluzioni, che potrebbero cambiare, forse in meglio, lo scenario politico dell’Europa sud-orientale.
Lo scorso 19 Aprile la Serbia e l’auto-governo kosovaro hanno siglato un accordo di massima in quindici punti per la normalizzazione delle relazioni bilaterali e sono ora impegnate in un complesso negoziato per l’implementazione dell’accordo.
Il prossimo mese di Giugno potrebbe essere pertanto, con la riunione del Consiglio Esteri dell’Unione Europea, decisivo per formulare, finalmente, una data ufficiale per l’inizio delle trattative con la Serbia per il suo ingresso nell’Unione Europea, dopo che la Croazia già si accinge ad entrare, quale Paese Membro Numero 28, dal prossimo 1° Luglio. Intanto, lo scorso 11 Maggio, è stato riconosciuto dalle autorità serbe all’ambasciatore italiano in Serbia, Armando Varricchio, il premio quale miglior cittadino europeo, nella categoria dedicata ai cittadini stranieri per la propria attività svolta nella stessa Serbia.
Ottimi presupposti, dunque, per la missione ministeriale di Emma Bonino nei Balcani. Senza i quali, va detto, il suo annuncio, più che una rivelazione, rischiava di assumere i tratti di una, vera e propria, provocazione. Il pregiudizio balcanico, la foga anti-serba e le consolidate e reiterate posizioni atlantiche e guerrafondaie hanno sempre accompagnato e continueranno, si teme, ad accompagnare la neo-ministra, connotandone il profilo politico e punteggiandone, ormai, una quantità sterminata tra dichiarazioni e prese di posizione. Senza andare lontano, basta prendere visione della rassegna stampa ospitata nel suo sito.
Ai tempi della storica mobilitazione (internazionale) contro la guerra in Iraq e i progetti dell’imperialismo nord-americano, la nostra neo-ministra degli esteri perse un’ottima occasione per manifestare sensibilità democratica e attenzione alle istanze del mondo della pace, della giustizia e dei diritti umani, dichiarando che «le piazze pacifiste saranno vendute da Al Jazeera, nel mondo arabo, come manifestazioni anti-americane e pro-Saddam». Nonché: «la nostra testimonianza … vuole essere il segno opposto: è il segno del sostegno alle democrazie. È il segno dell’appoggio all’impegno per un Iraq libero e democratico, l’inizio, speriamo, di un’epidemia democratica in tutto il Medio Oriente e – di conseguenza – in tutto il mondo arabo».
Nel corso degli anni Novanta, quando tanti osservatori e analisti si interrogavano intorno al profilo di legittimità e di legalità dei cosiddetti Tribunali Penali ad hoc, la nostra neo-ministra perse un’altra molto buona occasione per mostrare attenzione e sensibilità verso le questioni della legalità e della giustizia internazionale: «Ci è consentito il lusso di essere scettici? […] Non credo sia tempo per stare a guardare, limitarsi ad esprimere riserve e in fondo rassegnarsi al fallimento di questo Tribunale. Bisogna battersi. Occorre mobilitare le coscienze per impedire il fallimento, da tanti auspicato, del Tribunale sui crimini commessi in ex Jugoslavia e per istituzionalizzare questo strumento di sanzione dei crimini contro l’umanità».
Di lì alla damnatio memoriae dei vinti e all’assenza perfino di umana pietà verso la morte (in carcere) dell’imputato, il passo è breve: «La morte di Slobodan Milosevic nel carcere di Scheveningen non consentirà alla giustizia penale internazionale – nata proprio a seguito del conflitto scaturito dalla sua politica pan-serba – di terminare il processo a suo carico per crimini di guerra e contro l’umanità. Sono state le garanzie processuali inserite nei regolamenti del Tribunale ad hoc per la ex Jugoslavia a fornire a Milosevic la possibilità di difendersi con ogni mezzo a disposizione. Questo ha portato, anche per via delle cattive condizioni di salute dell’imputato, a una dilazione continua delle diverse fasi del processo fino alla conclusione odierna. Se questa conclusione lascia l’amaro in bocca perché non consentirà una sentenza definitiva sull’operato di Milosevic durante tutti gli anni Novanta e sulla sua responsabilità nella morte di centinaia di migliaia di croati, bosniaci, kosovari … vittime di uno scellerato disegno di pulizia etnica che in Europa si può apparentare solo all’esperienza nazista (sic), il giudizio della storia, credo, sia stato già dato … I radicali hanno il merito … di avere individuato in Milosevic, non la soluzione, ma “il” problema della ex Jugoslavia, avviando una campagna per la sua incriminazione e ammonendo che lo scenario bosniaco si sarebbe ripetuto contro gli albanesi del Kosovo». Ciò, peraltro, in perfetta coerenza con tutti gli auspici e gli appelli, formulati dall’attuale neo-ministra, nel corso della sua ormai pluridecennale carriera politica, per “guerre democratiche” e guerre “giuste” e “umanitarie” (dalla Bosnia al Kosovo, dalla Libia alla Siria) ai quattro angoli del pianeta.
Il fatto che la AOI, Associazione delle ONG Italiane (che raccoglie sigle in prima linea nell’impegno inter-nazionale e umanitario, che spaziano dalla Legambiente ad IPSIA-ACLI passando per ARCS-ARCI), si sia addirittura “congratulata” con il premier Letta per la scelta della Bonino alla Farnesina, la dice davvero lunga sullo stato in cui versa tanta parte dell’associazionismo e della cooperazione non-governativa del nostro Paese.