di Marco Pondrelli
L’attacco al cuore di Mosca rappresenta un evidente tentativo di escalation. Se la stampa italiana e la politica non fossero troppo distratte dall’insediamento del nuovo ambasciatore statunitense dovrebbero ricordare quello che è successo qualche mese fa, quando il Presidente ucraino mentì al mondo sostenendo che fosse stato un missile russo ad uccidere due cittadini polacchi. Il governo ucraino e alcuni politici italiani soffiarono colpevolmente sul fuoco consci (o forse inconsapevoli) che le loro parole avrebbero potuto scatenare un conflitto di proporzioni imprevedibili.
L’attacco diretto al Cremlino nell’evidente tentativo di assassinare il Presidente russo (cosa che qualche organo d’informazione italiano auspicava) è un ulteriore tentativo di alzare il livello del conflitto. L’Occidente che continua ad armare l’Ucraina allontana qualsiasi ipotesi di dialogo e la protervia di Stoltenberg, ventriloquo dei voleri di Washington, non fa che esacerbare gli animi. Evidentemente la Nato sa che rischia di perdere, sa che si sta aprendo un’alternativa multipolare in cui i desideri del sovrano a stelle e strisce non saranno più i doveri del resto del mondo, proprio per questo come una belva ferita mostra il suo volto più feroce.
In questo contesto in Italia continua la divaricazione fra Paese reale e Paese legale, a fronte di una maggioranza di italiani che chiede di intraprendere la via diplomatica, che vuole il dialogo con Mosca e che è contraria all’invio di armi, il Governo e la grande maggioranza del Parlamento continuano a finanziare la guerra. Mentre Giorgia Meloni con una mano promette la ricostruzione con l’altra finanza la distruzione. Con che soldi stiamo armando Kiev? Potrebbe sembrare una domanda retorica ma in realtà essa pone un problema politico reale, la recente inondazione in Emilia-Romagna dimostra quanto il nostro territorio avrebbe bisogno di manutenzione e quindi di investimenti strutturali, perché i soldi per le armi si trovano e quelli per l’ambiente no? Questo è solo un esempio, si potrebbe parlare anche della sanità. L’ex Ministro Speranza aveva promesso assunzioni di medici e infermieri all’epoca del Covid, dobbiamo tristemente constatare che i tanti operatori (bravissimi) che ci hanno curato durante la pandemia sono spesso e volentieri finiti in mezzo a una strada. Siamo sicuri che finanziare la consegna di armi ai nazisti del battaglione Azov sia il modo migliore per impiegare il ‘salvifico’ PNRR?
La risposta più efficace a questo stato di cose sono le firme per i referendum. Abbiamo appreso con soddisfazione dell’unità d’azione dei due comitati, invitiamo quindi a firmare per raggiungere per i quesiti proposti da entrambi i comitati, auspicando una raccolta unitaria, che renda possibile più agevolmente il traguardo delle 500 mila firme. Sappiamo che sarà una lotta difficile nell’indifferenza dei grandi mezzi d’informazione (con poche lodevoli eccezioni come ‘il fatto quotidiano’) ma è l’unico modo per dare voce alla maggioranza del popolo italiano. Sappiamo inoltre che il vaglio della Corte Costituzionale sarà molto delicato ma siamo convinti che, non solo questo quesito è ammissibile (non si parla di un trattato internazionale) ma che anzi esso è coerente con il dettato costituzionale, è mandare armi a Kiev che tradisce la Costituzione.
Il lavoro che dal 22 aprile è partito in tutta Italia sta facendo crescere la mobilitazione contro la partecipazione dell’Italia alla guerra, il 25 aprile abbiamo visto come nei cortei e nelle manifestazioni ci siano state risposte popolari di massa alla provocazioni dei soliti noti: sinistrati, residui di quello che rimane di ‘+ Europa’ e dell’ectoplasma calendiano. Queste risposte dimostrano che c’è stata una presa di coscienza e che gli italiani non sono così stupidi come molti politici pensano.
Uno dei due comitati referendari ha presentato un referendum in difesa della sanità pubblica, ci sentiamo di sostenere anche questo quesito perché coglie il rapporto che si crea fra aumento delle spese militari e taglio delle spese sociali. Questa è la parola d’ordine che deve guidare la nostra azione politica, no alla guerra vuole anche dire sì allo Stato Sociale. In questi anni ci hanno dimostrato che quando vogliono i soldi li trovano, li hanno trovato per le banche e oggi li trovano per le armi, noi diciamo che non vogliamo armi ma servizi sociali e con noi lo dicono e lo diranno milioni di italiani.
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