di Francesco Galofaro – università IULM di Milano
Lo stallo. Così il segretario generale dell’alleanza atlantica Jens Stoltenberg ha definito lo stato del conflitto in Ucraina alla riunione congiunta tra NATO e Ucraina tenutasi a Bruxelles il 29 novembre scorso. Negli scacchi lo stallo porta alla patta: una beffa per il giocatore che aspira alla vittoria. Per questo motivo il ministro della difesa ucraino Dmitro Kuleba lo ha smentito recisamente. Inoltre, a conferma delle pressioni di alcuni Paesi NATO sull’Ucraina per una soluzione politica del conflitto, Kuleba ha dichiarato: “è sempre facile consigliare altri di mollare e fare concessioni. Prima dovrebbero farlo loro”.
Passioni tristi. Certo è che la mancanza di progressi non fa bene all’umore degli Ucraini e dei loro alleati. Secondo sondaggi d’opinione citati da Bloomberg, in Ucraina sempre più persone pensano che le concessioni territoriali alla Russia siano un “prezzo inevitabile per la pace”. Al vertice, Stoltenberg ha confermato le valutazioni della stampa internazionale degli ultimi giorni: “un sostanzioso sostegno militare da parte degli alleati Nato non è riuscito a spostare la linea del fronte: questo riflette il fatto che non dovremmo mai sottovalutare la Russia”. Nonostante le rivendicazioni in termini di obiettivi militari sbandierate da Kuleba, i progressi possono essere descritti soltanto come un tentativo di incutere rispetto nel nemico russo.
Dio non è con noi. È relativamente semplice giustificare le guerre con motivi etici; vincerle è più difficile. Se n’è accorto anche Stoltenberg, il quale ha smesso i consueti toni belluini e ha adottato la figura retorica della litote: “Kiev colpisce duro ma non sfonda”. Le espressioni di Stoltenberg ricordano il tifoso che deve giustificare un pareggio (abbiamo giocato bene ma avevamo contro il fattore campo). Ha presentato quella dell’Ucraina come una vittoria morale: Kiev “ha riconquistato il 50% del territorio che la Russia ha ceduto, l’Ucraina ha prevalso come nazione indipendente e sovrana”. La domanda, implicita, è: possiamo accontentarci?
Il problema è il mercato. Secondo il rappresentante Joseph Borrell: il 40% delle munizioni prodotte in Europa non è diretto all’Ucraina ma è esportato verso altri Paesi. Il milione di munizioni promesso agli ucraini per marzo non è un obiettivo realizzabile: fin qui ne sono state consegnate solo 300.000. Secondo Bloomberg, inoltre, le economie europee e quella americana non riescono a far fronte alla richiesta di munizioni, anche a causa della nuova crisi israeliana. Al contrario, ha sottolineato Stoltenberg, l’industria militare russa è in modalità bellica: “sono in grado di rifornire le loro forze con munizioni e capacità” e hanno ricevuto “una quantità notevole di munizioni dalla Corea del Nord”.
Verso un’economia di guerra? Per uscire dallo stallo, Stoltenberg suggerisce una transizione da un’economia di mercato a un’economia di guerra, incaricando gli esperti di creare o di ripensare le catene di produzione. Quel che non dice è che occorrerebbe imporre ulteriori sacrifici a un’opinione pubblica già in gran parte scettica o contraria alla guerra. È in crescita il numero di Paesi apertamente ostili al coinvolgimento europeo: all’Ungheria e alla Slovacchia potrebbe aggiungersi il governo olandese, guidato dal leader della destra radicale Geert Wilders. Anche la Polonia va incontro a gravi difficoltà, a causa del blocco delle frontiere che, dal 6 novembre, i camionisti e i contadini polacchi attuano contro la concorrenza sleale dei vicini ucraini. A causa del blocco, gli esportatori ucraini perdono un milione di UAH al giorno. La manifestazione è un chiaro giudizio sul processo di integrazione dell’Ucraina nell’Unione.
Le elezioni USA. La situazione è delicata anche negli Stati uniti: lo scetticismo sul conflitto è diffuso, specie tra i conservatori: a novembre, il 41% degli americani riteneva che il proprio governo stesse facendo troppo per l’Ucraina, rispetto al 29% di giugno. Inoltre, i pronostici danno Trump vincente contro Biden con un distacco tra i 4 e i 6 punti percentuale, mentre si avvicinano le presidenziali del 2024. Questo spiega la difficoltà di far passare i finanziamenti all’Ucraina attraverso il congresso. Lo stesso Zelensky vorrebbe incontrare Trump per discutere i suoi progetti di pace per l’Ucraina.
I rapporti di forza. Sul piano discorsivo, dunque, si registra uno spostamento dal piano militare a quello morale; inoltre, la Russia è descritta come un avversario da non sottovalutare. Un ulteriore nodo cruciale nel discorso di Stoltemberg è l’opposizione tra aiutare l’Ucraina e prevenire l’escalation: fin qui gli alleati atlantici hanno alimentato l’escalation senza remore, fornendo all’Ucraina missili a lungo raggio, proiettili all’uranio impoverito, bombe a grappolo, mine antiuomo e tutta una serie di altri ordigni infernali; nel nuovo discorso di Stoltemberg è Mosca a potersi permettersi l’escalation, dato che le economie occidentali hanno raggiunto il limite delle proprie capacità produttive.
Scenari negativi. Le conclusioni del vertice sembrano dichiarazioni volte a rassicurare l’opinione pubblica, il cui obiettivo è ridefinire lo stallo attuale come una vittoria sul piano morale. In linea con diversi think tank, Stoltemberg sembra volersi concentrare meno sul piano militare e più sull’obiettivo di far rientrare l’Ucraina (integra o meno) in orbita NATO; un risultato niente affatto scontato, come provano le difficoltà di aspiranti membri come la Svezia, la Georgia e la Bosnia-Erzegovina. Peraltro, nello stesso giorno il ministro degli esteri ungherese Peter Szijjarto ha escluso un ingresso dell’Ucraina nella NATO per il 2024. Al contempo, Stoltenberg chiede ai leader europei un cambio di passo verso l’economia di guerra; pur ribadendo che l’integrità dell’Ucraina rimane l’obiettivo finale, si suggerisce a Kiev un atteggiamento meno intransigente e più possibilista. Anche il ritratto di Putin è ambivalente: si presta tanto a giustificare la prosecuzione del conflitto, quanto un eventuale negoziato, dato che, nel prossimo futuro, i rapporti di forza paiono favorire la Russia. In questo contesto, gli scenari sembrano tutti negativi per Kiev. Si direbbe che Zelensky debba scegliere tra negoziare da una posizione di debolezza o proseguire nella guerra di posizione, col rischio che una nuova offensiva russa in primavera vanifichi tutti gli sforzi effettuati fin qui.
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