Dichiarazione di Ornella Bertorotta, Portavoce del M5S al Senato

trump firmeda Facebook

Il M5S è stato tra i primi a denunciare il massacro in Yemen, la destabilizzazione della Libia, l’attacco alla Siria, l’ascesa dell’ISIS in Iraq, le ingerenze straniere in Somalia, la situazione di conflitto in Sudan e la guerra fredda tra Israele e I’Iran.

In quasi tutti questi casi, gli Stati Uniti hanno agito militarmente, colpendo anche migliaia di civili, sotto Bush, ma anche sotto la presidenza del Nobel per la Pace Obama, provocando milioni di profughi e la distruzione di interi sistemi economici.

In otto anni di presidenza Obama, sono state poche le voci levatesi a critica delle azioni di aggressione militare, anzi ovunque i leader europei hanno manifestato grande adesione a quelle azioni.

E’ giusto ricordare che Gran Bretagna, Francia e Italia, ma anche altri Paesi, hanno fatto affari in questa situazione, vendendo armi e servizi per quei paesi in guerra.

C’è poi la questione del muro di separazione con il Messico. I media rispolverano la retorica sul muro di Berlino, ma in tutti questi anni, sono state davvero poche le critiche a Israele per il muro di separazione che ha incarcerato i palestinesi.

Non possiamo dimenticare nemmeno l’accordo UE Turchia, con il quale di fatto, i profughi di guerra siriani, afghani e iracheni sono stati bloccati prima di arrivare alle frontiere dell’UE, mentre quelli che sono arrivati alle frontiere, sono stati trattati peggio delle bestie, soprattutto dai Paesi dell’est Europa.

Trump potrà piacere o anche no, ma è e rimane il presidente degli Stati Uniti appena insediato, la carica più alta di quello Stato, con un mandato che viene direttamente dai cittadini.

L’ondata di antiamericanismo istituzionale e mediatico che sta colpendo il nuovo presidente, ha poco a che fare con la solidarietà ai migranti e molto invece con il conflitto politico in atto negli USA.

E’ davvero un peccato constatare come chi oggi manifesta per il diritto di ingresso dei migranti negli USA ( sospeso per 3 mesi), ieri non lo ha fatto per le guerre contro la maggior parte dei paesi colpiti oggi dall’ordine esecutivo del nuovo presidente.

Molti tra questi non avvertono alcun imbarazzo a manifestare dalla stessa parte di chi ieri ha sganciato bombe ovunque, pur di sostenere il complesso militare industriale che gli aveva pagato la campagna elettorale.

Sono certa però che se siriani, yemeniti, libici, somali, sudanesi, iracheni e tanti altri potessero scegliere tra l’ingresso negli Stati Uniti e la fine dei bombardamenti nei loro paesi di origine, preferirebbero sicuramente la seconda opzione.