Dalla Russia senza amore

di Andrew Levine* | da www.rebelion.org Fonte www.counterpunch.org
Traduzione di Sandro Scardigli per Marx21.it

obama sguardobassoIl deus ex machina che ha salvato Obama e il mondo

Nei drammi dell’antichità greca e romana, i drammaturghi che scoprivano di aver portato i loro personaggi a situazioni senza uscita ricorrevano talvolta ad un colpo a effetto drammatico chiamato Deus ex Machina. Apparendo dal nulla, un Dio entrava in scena calando da una macchina simile a una gru e risolveva il problema.

Nè Vladimir Putin nè Sergei Lavrov (ministro degli Esteri russo) assomigliano molto alle divinità greche (nonostante la vanità di Putin) ma Barack Obama, essendosi cacciato in una situazione disperata simile a quelle dei personaggi tragici di Euripide, adesso farebbe bene ad offrire a entrambi uno o due sacrifici non tanto per gratitudine (visto che lo hanno fatto passare da fesso), ma perché lo hanno tirato fuori, come facevano gli dei delle tragedie, da una situazione apparentemente disperata, salvando il mondo da una sorte peggiore.


Ovviamente la soluzione prospettata da Putin e Lavrov potrebbe fallire; non dovremmo mai “mal-sottostimare”, per citare George Bush, l’inettitudine della diplomazia statunitense Clinton-Kerry. Ma forse (e ripetiamo forse) Obama non verserà altra benzina sulle fiamme dell’incendio siriano.

L’uso di gas nervini in guerra è vietato dal diritto internazionale ed è giusto che sia così. Anche le numerose orribili armi apparse dopo la Prima Guerra Mondiale – bombardieri, missili da crociera, prodotti chimici che bruciano la pelle umana, proiettili all’uranio impoverito, droni armati, ecc. – dovrebbero venire proibite.

Ci sono inoltre le armi nucleari, armi di distruzione di massa per antonomasia, di gran lunga più orribili di tutte le altre messe assieme.

Trasformare in un feticcio un divieto in vigore da quasi un secolo e cercare di fermare il progresso morale su questo punto è, a dir poco, singolare. Ma non importa: a differenza dell’indignazione morale simulata, trarre le conseguenze logiche e morali non è il punto forte del nostro Presidente.

Le prove addotte a dimostrazione della presunta violazione, da parte del governo siriano, del divieto di usare armi chimiche in guerra non dimostrano niente. Ne esistono anche a carico dei gruppi ribelli che combattono il governo, ma anche queste non sono schiaccianti. Vale la pena notare che l’Amministrazione di Obama ha molto da guadagnare se il mondo, o per lo meno l’opinione pubblica statunitense ed europea, pensano che Washington abbia le mani pulite e che il vero colpevole sia Assad.

Il piano di Obama era in ogni caso quello di scatenare una guerra non provocata e non dichiarata contro la Siria, uno Stato sovrano.

Secondo il Codice di Norimberga sui crimini di guerra, iniziare una guerra d’aggressione è “il supremo crimine internazionale, che si differenzia dagli altri crimini di guerra in quanto ne è la precondizione e li comprende tutti”.

In altre parole, Obama vorrebbe punire un ipotetico crimine di guerra commettendone uno molto più grave.

L’incoerenza di questa posizione fa addirittura passare in secondo piano quanto sia ridicola l’idea che proprio gli USA, fra tutti i Paesi, godano del prestigio necessario per imporre il rispetto del diritto internazionale.

Obama se ne rende conto? Forse si perché, a differenza del suo predecessore, non è un ignorante e nemmeno stupido od ottuso. Ma non c’è traccia di questa consapevolezza nel suo discorso televisivo del 10 settembre, pronunciato nella Sala Est della Casa Bianca.

Va quindi detto che la palese insostenibilità della sua posizione non ha niente a che vedere con il suo benvenuto voltafaccia, operato approfittando dell’opportunità. È quasi certo che le ragioni di questa mossa siano state più banali.

Forse temeva che i pretesti addotti a giustificazione dell’attacco potessero avere un effetto boomerang, magari non subito, ma abbastanza presto da danneggiare la sua politica e il resto del suo mandato presidenziale. Quel che successe a G. W. Bush potrebbe accadere anche a lui.

Forse temeva l’opposizione della gran parte dell’opinione pubblica. Senza dubbio lui e i suoi accoliti disprezzano l’opinione pubblica al pari dei capitalisti dei quali fanno gli interessi. Ma a tutto c’è un limite.

E deve averlo preoccupato anche il fatto che, dopo aver chiesto l’approvazione del Congresso, ci sarebbe voluto molto tempo ad ottenerne il voto favorevole. Doveva quindi accettare, o affrontare una crisi costituzionale.

Dal momento che l’unico motivo che lui e l’impero che dirige avevano per minacciare la Siria era la salvaguardia del loro prestigio, l’accettazione della proposta russa non è stata una scelta piacevole. L’alternativa però dev’essere certamente apparsa molto peggiore ad un politico che si nutre dell’adulazione delle anime belle liberal, volutamente cieche.

Quando Lavrov ha esposto la sua proposta è apparso chiaro a quasi tutti che la guerra aveva a che vedere con la “credibilità” e niente altro. Nessuno, al di fuori della ristretta cerchia di stupidi interventisti umanitari che circonda Obama, era così sciocco da credere che il vero obiettivo fosse aiutare il popolo siriano o, almeno, di far rispettare il diritto internazionale.

Nessuna delle parole pronunciate martedì sera da Obama nella Sala Est può servire a far cambiare opinione a chicchessia su ciò che è assolutamente ovvio.

Possiamo solo fare ipotesi su quel che è successo dietro le quinte. Non lo sapremo con certezza finché non verranno scritte le memorie o fino a quando il buon esempio di Edward Snowden non sarà seguito da qualcuno che ha accesso a documenti riservati che interessino l’opinione pubblica. Tutto quel che possiamo dire per il momento è che Obama si è visto miracolosamente offrire una scappatoia dal vicolo cieco in cui si era cacciato da solo.

Ora non ha altra scelta che approfittarne.

La diplomazia russa si sta dimostrando in questo frangente ad un livello molto più alto della nostra. Sa cogliere le opportunità che le si presentano, stabilire dei punti fermi, usare l’astuzia. I nostri dirigenti sanno solo commettere errori. Se rimangono a galla è solo fortuna.

I russi sono un gradino sopra di noi anche nel rispetto dei diritti e dei doveri internazionalmente riconosciuti. Sicuramente il motivo per cui un arrabbiatissimo Obama ha ostentatamente rifiutato i precedenti sforzi di Mosca per trovare una soluzione diplomatica alla situazione da lui creata, (quando parlò di una “linea rossa” che Assad non doveva azzardarsi ad oltrepassare) è stata la concessione da parte della Russia dell’asilo umanitario a Snowden .

Le informazioni fornite da Snowden hanno evidenziato quanto lo spionaggio e il controllo sociale siano dilagati nell’Era di Obama. Ma c’è di più: hanno messo in imbarazzo il regime di Obama, o “Amministrazione”, come i nostri ideologi e lacchè si ostinano a chiamarla.

Dal punto di vista del Presidente è una cosa imperdonabile. Pertanto qualsiasi Stato si rifiuti di consegnare Snowden alla “giustizia” statunitense dev’essere indotto a sottomettersi con le minacce o, se queste si dimostrano inutili, deve essere messo all’indice, come ha fatto esplicitamente con la Russia, Stato che si è dimostrato all’altezza delle circostanze.

Ma la condotta ipocrita e insinuante di Obama costituisce un ennesimo esempio della sua inettitudine che ha vanificato, ancora una volta, i suoi sforzi. Venendo in aiuto a lui e al mondo, i russi hanno finora dimostrato un tatto impressionante. Si tratta, insieme ad altri aspetti dell’arte della diplomazia, di una virtù sconosciuta al Dipartimento di Stato Clinton-Kerry.

I professionisti del pregiudizio e gli sponsors mediatici di Obama stanno lavorando duramente per far passare lo sconsiderato passo falso di John Kerry – oggetto di molte battute sarcastiche dietro le quinte – come un’apertura verso una soluzione.

Sostengono, come ha fatto lo stesso Obama, che il regime di Assad ha accettato (di distruggere il suo arsenale di armi chimiche, ndt) soltanto grazie alla ferma determinazione degli USA di ricorrere alla forza. Sono perfino arrivati a dire che la loro intenzione era questa fin dal principio. La loro mancanza di senso del ridicolo non ha limiti.

Il Cremlino li ha per ora lasciati dire le loro insensatezze ed ha dichiarato che la proposta di porre le armi chimiche siriane sotto il controllo internazionale per poi distruggerle è nata durante la recente riunione del G20 a San Pietroburgo (nei colloqui Obama-Putin e negli incontri Kerry –Lavrov precedenti e successivi al vertice).

Probabilmente è andata così, ma certamente non è mai stata presa in considerazione da parte del nostro Presidente, intento a sguinzagliare i suoi droni, un uomo al quale non importa un fico secco di salvare i bambini o di far rispettare il diritto internazionale. Per Obama si tratta di mantenere la credibilità. Questo è tutto. Il resto è chiacchiericcio buono per le pubbliche relazioni.

Dal momento che i russi capiscono perfettamente che se Obama non salva la faccia tutto è perduto, perchè non lo hanno lasciato rivendicare meriti che non ha? Se è quel che serve per prevenire tutti i disastri che deriverebbero dall’attacco militare “limitato” alla Siria che stava per sferrare…che così sia. Lasciategli il suo momento di gloria da “Missione Compiuta”: nessuno gli crederà in ogni caso.

Putin ha vinto questo round e gli apologeti di Obama possono girare la frittata come vogliono ma il loro uomo ha perso e alla grande.

Magari la prossima volta che Washington riterrà urgente rimodellare la geografia politica del Medio Oriente gli istigatori, neocons, interventisti umanitari, politici militaristi, imperialisti al suo servizio, ci penseranno due volte. Se ciò avvenisse, qualcosa di buono sarebbe venuto da questo deplorevole episodio.

*Andrew Levine è Senior Scholar nel Institute for Policy Studies. Autore di The American Ideology (Routledge) e Political Key Words (Blackwell), così come di molti altri libri di filosofia politica. Il suo libro più recente è In Bad Faith: What’s Wrong With the Opium of the People . E’ stato professore di Filosofia della University of Wisconsin-Madison e professore ricercatore de filosofia nella Università del Maryland-College Park. Ha collaborato a Hopeless: Barack Obama and the Politics of Illusion (AK Press).