Armi chimiche, è scontro

di Michele Giorgio | da il Manifesto del 7 maggio 2013

Carla del Ponte è finita sotto accusa, “colpevole” di puntare l’indice nella direzione “sbagliata”: contro i ribelli e non verso il «regime brutale» del dittatore Bashar Assad. L’ex procuratore del Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia dal 1999 al 2007 e membro della commissione d’inchiesta Onu per le violazioni dei diritti umani in Siria, domenica aveva detto alla Radio Svizzera Italiana che «stando alle testimonianze raccolte i ribelli hanno usato armi chimiche, facendo ricorso al gas sarin». A oltrepassare la “linea rossa” posta dal presidente Usa Barack Obama, aveva aggiunto Del Ponte, sono stati «i ribelli, l’opposizione, non le autorità del governo siriano». Versione contraria alla posizione degli Stati Uniti che sulla storia del presunto uso delle armi chimiche da parte del regime di Assad stanno costruendo le condizioni per un loro intervento militare in Siria. «Non abbiamo alcuna informazione che suggerisca che i ribelli siriani siano in grado di usare il sarin o abbiano intenzione di farlo», ha dichiarato una fonte dell’amministrazione Obama.

Subito dopo sono intervenuti gli stessi investigatori dell’Onu con un comunicato: «La Commissione desidera chiarire di non aver trovato prove conclusive sull’uso di armi chimiche nel conflitto siriano né dall’una né dall’altra parte… Al momento non siamo nella posizione di fare ulteriori valutazioni sulle accuse avanzate». Del Ponte è stata trattata come una “visionaria” e, peggio, un’amica del regime di Assad.

La vicenda del presunto utilizzo delle armi chimiche è riesplosa mentre resta alta la tensione per l’ultimo raid aereo lanciato da Israele, nella notte tra sabato e domenica, e che ha preso di mira la periferia di Damasco. La Siria ha fatto sapere, per bocca dello stesso Bashar Assad, intervistato dal quotidiano del Kuwait Al Rai, che sceglierà il momento giusto per la sua rappresaglia. Un funzionario governativo ha aggiunto che «La Siria risponderà all’aggressione israeliana ma sceglierà il momento giusto per farlo. Non accadrà immediatamente poiché Israele è in stato di allerta. Aspetteremo ma risponderemo». Almeno quindici soldati sono morti e decine risultano dispersi negli attacchi israeliani. Secondo le autorità di governo, gli aerei hanno colpito postazioni delle forze armate siriane a nord est di Jamraya, a Mayssalun e all’aeroporto di Damasco. Altre fonti precisano che i raid ha preso di mira un centro di ricerche scientifiche, già colpito a fine gennaio, e due obiettivi militari: un deposito di munizioni e una unità della difesa anti-aerea. Per Israele, anche in questo ultimo caso, sarebbe stato preso di mira un carico di missili terra-terra Fateh 110, di fabbricazione iraniana, in transito per la Siria e destinato ai combattenti di Hezbollah in Libano. L’attacco avrebbe avuto lo scopo di mandare un «segnale preciso» al movimento sciita e all’Iran.

Dopo aver ordinato lo stato di allerta nel nord del paese di fronte a una possibile reazione siriana, ieri il governo Netanyahu (il premier continua regolarmente la sua visita in Cina) ha gettato acqua sul fuoco. Secondo il quotidiano Yediot Ahronot, Tel Aviv avrebbe fatto arrivare «attraverso canali diplomatici» un messaggio ad Assad, garantendogli di «non voler essere coinvolto nella guerra civile in Siria». Il deputato Tzachi Hanegbi, vicino a Netanyahu, ha precisatto che le “iniziative militari” di Israele sono soltanto contro Hezbollah e non contro Assad.

Ben diversa è la lettura che Mosca, alleata di Damasco, offre dei raid israeliani. «Siamo seriamente preoccupati dai segnali di preparazione dell’opinione pubblica mondiale per un possibile intervento armato nel lungo conflitto interno siriano», ha detto il portavoce del ministero degli esteri russi Aleksandr Lukashevich commentando le notizie sugli attacchi israeliani. La Russia invita con forza a «non politicizzare» la questione «estremamente seria» delle armi chimiche. Ne discuteranno oggi a Mosca il Segretario di stato John Kerry e il presidente russo Vladimir Putin. Usa e Russia sono sempre più distanti da una soluzione politica condivisa della guerra civile in Siria, con Washington decisa a intervenire militarmente, anche se non con propri soldati.