Nessun aiuto farà vincere Kiev

di Fabio Mini

da il fatto quotidiano 6 aprile 2022

una lucida analisi della situazione in Ucraina

L’esercito di Putin è 4 volte quello di Zelensky. Solo l’intervento Usa-nato può battere Mosca, ma l’ue tornerebbe all’età della pietra

Leggendo i giornali si hanno descrizioni catastrofiche sulla situazione dei russi in Ucraina. Ci si può chiedere da dove vengano e quanto siano attendibili. Una fonte ufficiale che fornisce dati a tutti i parlamentari dell’unione europea (Eprs) durante le prime fasi della guerra rendeva noto che: con 900mila uomini le forze armate russe sono più di quattro volte più numerose delle forze ucraine, che nel 2021 erano composte da 196mila uomini. L’esercito russo può schierare 280mila truppe. Si stima che ci siano attualmente 150mila soldati russi presenti in Ucraina, mentre circa 20mila rimangono pronti in riserva. Prima dell’invasione, la Russia disponeva di 15.857 veicoli corazzati da combattimento, in confronto ai 3.309 dell’ucraina – quasi cinque volte di più, così come oltre dieci volte il numero di aerei (1.391) rispetto agli ucraini (132). Nel gennaio 2022 l’ucraina ha riorganizzato le sue Forze di Difesa Territoriale (Tdf) con una nuova forza di riserva, che a metà febbraio 2022 avrebbe puntato a raggiungere 1,5-2 milioni di membri. Il numero effettivo di soldati Tdf è sconosciuto.

DAVIDE E GOLIA? LE 4 DIRETTRICI DELLE MANOVRE MILITARI

In pratica si trattava del classico Davide contro il filisteo Golia e la sassata della resistenza ucraina avrebbe colpito il gigante in mezzo agli occhi facendolo crollare. È curioso il ruolo delle sassate nella storia delle potenze: da Davide a Balilla e alle intifada dei palestinesi (eredi dei Filistei), o nelle piccole cronache nostrane come quelle tirate da pseudopacifisti alla fregata Carabiniere della nostra Marina a Taranto e nell’anima religiosa con i cinque “sassi” (tanti quanto quelli di Davide) che la Madonna di Medjugorje ha indicato ai suoi fedeli. La sassata è un simbolo potente del debole verso il potente, del suddito verso il dominatore, dell’arcaico contro il tecnologico, della fede contro il demonio e del disperato contro il tracotante. Ma, se il simbolo si applica alla situazione in Ucraina, i conti del rapporto presentato ai parlamentari europei non tornano. Considerando che le operazioni speciali della Russia si sono sviluppate a cavaliere di 4 assi di penetrazione, l’invasione russa sarebbe stata condotta da meno di 40 mila uomini per direttrice che, calcolato 3:1 il rapporto tra forze di sostegno e forze combattenti (ma in Iraq gli anglo-americani avevano un rapporto di 7:1), si avrebbero meno di 10 mila uomini impiegati in combattimento per ogni asse. A queste forze d’attacco si sarebbero contrapposte 196mila uomini, di cui 60mila combattenti e quindi 15 mila soldati per ogni direttrice. Senza contare almeno mezzo milione dei 2 milioni di milizie territoriali, tra cui le formazioni dei “nazisti perbene” concentrate nei centri urbani. Considerando infine che l’attacco, per poter sopraffare un avversario in difesa, deve almeno raggiungere una superiorità di 3:1, risulterebbe che per un attacco contro 15mila avrebbe dovuto avere 45mila uomini per ogni direttrice e non 10mila. In effetti l’ucraina in difesa sin dall’inizio avrebbe avuto un rapporto di forze vantaggioso di 4,5:1. Con questi numeri i russi non avrebbero nemmeno potuto attraversare il confine, figurarsi se avrebbero potuto invadere tutta l’ucraina o mirato alla totale estinzione del popolo ucraino. Nessun esercito avrebbe potuto conquistare tutto il territorio acquisito dai russi in venti giorni. E, se le forze ucraine schierate a Sud nella pianificata rioccupazione della Crimea, fossero in grado di costituire una minaccia e i russi fossero in ritirata, non avrebbero ripreso le operazioni fino a Odessa e non ci sarebbero migliaia di truppe ucraine circondate nella sacca tra Donetsk e Dnipro. I conti non tornano. A meno di non ammettere che, nonostante la schiacciante superiorità numerica a tavolino le forze ucraine abbiano sbagliato tutto.

QUELLI CHE “FINIAMOLA UNA VOLTA PER TUTTE”

È un fatto però che i russi si siano ritirati dall’assedio di Kiev, che in realtà non è mai cominciato. Lo spostamento di truppe corazzate dispiegate come strumento di pressione strategico-politica è un buon segnale soltanto se l’obiettivo strategico di quella operazione è stato raggiunto e non sappiamo ancora cosa i russi ritengono di aver raggiunto. Ma potrebbe anche essere un brutto segnale: se i russi valutassero inutile la pressione su Kiev perché inefficace, il riposizionamento individuerebbe una nuova fase e le truppe di terra potrebbero fare spazio alla sistematica eliminazione di Kiev dall’alto. È immaginabile la frustrazione delle forze strategiche russe di fronte a una battaglia terrestre a obiettivi limitati dalla quale sono state escluse. Finora.

Anche tra le forze armate russe, come in quelle americane ed europee, ci sono i fautori della guerra alla “finiamola una volta per tutte” predicata dagli oligarchi statunitensi che assecondano le mire di Biden sul cambio di regime al Cremlino e da quelli russi che vorrebbero lo stesso a Kiev. Ma è tutta gente che non sa fare i conti né politici né militari. Nei fatti, le pretese di questi falchi tralasciano di considerare che il cambio di regime con la forza in questo caso significa l’innalzamento dello scontro militare e il suo ampliamento a livello continentale. Questa escalation non è evitabile con nessuno dei provvedimenti in atto. Che, anzi, la accelerano.

PERCHÈ ZELENSKY HA CHIESTO QUEI VECCHI CARRI ARMATI

Il Pentagono invierà centinaia di vecchi carri armati sovietici in Ucraina. Probabilmente sono gli avanzi degli armamenti di cui la Polonia, l’ungheria e altri Paesi dell’ex-urss avrebbero dovuto disfarsi da vent’anni a questa parte dopo l’ingresso nella Nato per essere sostituiti da carri americani e tedeschi. Si può dubitare sull’efficienza di carri dismessi e cannibalizzati, ma al presidente Zelensky, che li sta chiedendo a gran voce, va bene così. Secondo i dati dell’eprs, l’ucraina prima della guerra disponeva di 3.309 carri armati anche di più recente fabbricazione. Le perdite subite in un mese di guerra non sono note. Ma se vengono chieste a gran voce delle carcasse come rinforzi, non dovrebbero essere in condizioni di fare quei miracolosi contrattacchi pubblicizzati dallo stesso presidente. Zelensky ha chiesto anche altri aerei, ammettendo implicitamente che i 132 aerei ucraini sono stati decimati. Non pretende molto, ma insiste sugli aerei sovietici e americani dismessi dalla Nato. Ora, se è vero che le forze aeree russe impiegate nell’invasione ammontano a 1.391 aerei da combattimento e che hanno il controllo dell’aria, quanti aerei sarebbero necessari per riconquistare il controllo dell’aria? E cosa fare dei rimanenti 3mila aerei (inclusi i bombardieri strategici) che la Russia possiede? È evidente che nessun aiuto all’ucraina può garantirle la vittoria militare e che l’escalation prevista dal cambio di regime a Mosca porta al tanto richiesto intervento militare della Nato nel suo complesso e degli Stati Uniti in un conflitto continentale, come minimo. Un conflitto che Mosca non può che perdere, di fronte ai numeri, ma che potremmo perdere tutti noi europei se soltanto facessimo bene i conti. Non c’è bisogno di essere catastrofisti per immaginare uno scenario nel quale dopo questo conflitto torneremo alle sassate. Ma anche a essere ottimisti e a pensare vicina la vittoria dell’ucraina grazie all’enorme aiuto che le forniamo, la sperata liberazione dalla minaccia russa non sarà a costo zero né per noi né per il martoriato popolo ucraino.

La guerra in Ucraina costerà al Paese il 10% del Pil quest’anno. E in caso di stallo, con uno scenario di Siria o Yemen, il crollo del Pil potrebbe arrivare al 35%. La produzione di ricchezza sarà dimezzata (Fmi): 2-18 mesi di guerra potrebbero spazzare via 18 anni di progressi (Undp). Il premier ucraino Denys Shmyhal dice che l’ucraina avrà bisogno di almeno 565 miliardi di dollari per la prima ricostruzione e 22 miliardi solo per il Donbass. Questi soldi dovrebbero pagarli i russi. Nel frattempo l’ue ha già erogato 600 milioni del miliardo e 200milioni concessi per l’assistenza. La Banca mondiale ha già fissato un prestito integrativo di 350 milioni e una garanzia per altri 139 milioni. Il Fmi ha in programma uno stanziamento di 2,2 miliardi. Nella corsa alla ricostruzione sono già in prima fila Polonia, Germania e Francia. Ma l’inventario delle ricostruzioni potrebbe durare anni. Così come sarà lungo e difficile lo sdoganamento in Europa di un governo che si regga sulle componenti più estremiste e ultranazionaliste. L’ucraina è già un paese in capitolazione demografica con una decrescita costante del 7 per mille e una forte emigrazione: quella “liberata” si appresta a essere uno Stato fallito e afflitto dai debiti nelle mani di una troika che non farà sconti a nessuno (Grecia docet) a prescindere dalle sofferenze inflitte alla popolazione o ai massacri che ha dovuto subire, sempre ammesso che molta della propaganda di guerra non venga smentita dagli accertamenti post-bellici.

L’ORRORE DI BUCHA, NON TUTTO È ANCORA CHIARO

Molte cose elaborate dalla macchina dell’informazione europea a sostegno dell’ucraina fanno già acqua e anche per il presunto genocidio di Bucha non tutto è chiaro. Non si hanno dati certi, ma da ciò che si vede e non si vede ci sono alcune similarità con quanto accaduto a Racak. Una coincidenza, forse. Nel frattempo sembra che i dubbi li abbiano gli stessi che gridano al genocidio. Il cancelliere Scholz, nel richiedere una immediata inchiesta “indipendente”, di fatto non si fida dei dati ucraini (gli unici disponibili), e avvertendo che “non si faranno sconti a nessuno” sembra più riferirsi agli ucraini, che hanno già avuto sconti enormi, che alla Russia che finora non ne ha avuto nessuno. Bisognerà fare i conti anche in questo campo. E farli bene.

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