Un nuovo ordine mondiale sta già nascendo

di Marco Pondrelli

La mediazione cinese che ha consentito la riapertura del dialogo fra Iran e Arabia Saudita sta iniziando a dare i suoi frutti. Oltre alla riapertura dei canali diplomatici si iniziano a prospettare collaborazioni e cooperazione in vari campi, probabilmente non siamo ancora in grado di percepire i forti cambiamenti che stanno nascendo.

Il primo dato di fatto è un raffreddamento del fronte yemenita, una guerra dimenticata che però sta facendo, anche con armi italiane, molti morti fra i civili. Lo Yemen è uno dei fronti dello scontro fra Iran e Arabia Saudita che segna tutta la regione del cosiddetto medioriente. L’Iran ha costruito assieme al Libano, alla Siria e all’Iraq la mezzaluna sciita, a cui si contrappongono gli stati del Golfo guidati dall’Arabia Saudita. Questa scontro non è, come normalmente di vuole far credere, religioso, uno scontro fra sunniti (i sauditi e i loro alleati del Golfo) e sciiti, esso è prima di tutto politico.

Se le riapertura diplomatiche e il raffreddamento della guerra in Yemen sono i primi tangibili passi avanti le prospettive sono ancora più interessanti. Il Libano nel quale Hezbollah ha un ruolo centrale, potrebbe essere il prossimo passo. Il Paese è da tempo attraversato da una profonda crisi economica e sociale, alla quale non sono estranee le scelte saudite che volevano colpire un importante alleato di Teheran. Il riassesto economico del Libano porterebbe ad una stabilizzazione anche sociale, in alternativa alla quale si palesa il rischio dell’esplosione di una conflittualità anche armata.

Anche in Siria si iniziano a cogliere segnali positivi, l’alleanza fra Russia, Iran e gli Hezbollah a sostegno del legittimo governo siriano ha sconfitto il terrorismo dell’Isis sostenuto dagli Stati Uniti e finanziato da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Il ritorno di Assad nella Lega araba segna non solo una sua personale vittoria ma anche la riconciliazione del mondo arabo.

Più si guarda il quadro generale di tutta la regione più si nota che il ruolo della Cina ha contribuito a stabilizzare la situazione. La politica statunitense degli ultimi vent’anni ha perseguito l’obiettivo contrario ovverosia quello della destabilizzazione, grazie alla quale si poteva minare la crescita cinese arrivando anche a tentativi di destabilizzazione dello Xinjiang e allo stesso tempo si poteva fomentare il terrorismo caucasico anti-russo. Questa politica è stata favorita da un profondo cambio dell’approvvigionamento energetico statunitense, il Paese è infatti divenuto da paese importatore paese esportatore di energia. Questo ha portato ad un diverso approccio verso l’Arabia Saudita, il compromesso petrolio in cambio di sicurezza è cambiato, oggi l’interesse USA è legato soprattutto al ruolo che i sauditi svolgono all’interno dell’Opec per fissare il prezzo del petrolio. La politica statunitense è fallita, non solo perché la Cina sta stabilizzando l’area ma anche perché l’Arabia Saudita ha stretto un saldo rapporto con la Russia volto a sostenere i prezzi dell’energia, ricordiamoci di come i costi energetici furono usati in passato per colpire prima l’URSS e poi la Russia. Un fallimento totale per la guerra infinita statunitense.

È interessante capire come la Cina sia riuscita a produrre questi cambiamenti. Se i rapporti con Teheran sono, anche attraverso la cooperazione che avviene nello SCO, molto stretti, con i sauditi c’è stato l’incontro di due interessi. L’Arabia Saudita con la sua Vision 2030 vuole liberarsi dalla dipendenza del petrolio per sviluppare la media e la piccola impresa, dall’altra parte Pechino ha bisogno di energia è può offrire un valido aiuto alle imprese saudite. Si è scritta un’altra pagina della guerra che contrappone gli Stati Uniti alla Cina che viene combattuta con armi diverse, da una parte militare dall’altra commerciale. Se guardiamo agli investimenti cinesi in medioriente osserviamo che sono enormemente superiori a quelli statunitensi, evidentemente i governi dell’area, a differenza di quelli europei, hanno deciso che è meglio sviluppare la propria economia che fare la guerra.

Le dinamiche mediorientali hanno spesso anticipato quelle mondiali, il 1979 è stato emblematico. Tre fatti cambiarono in profondità la geografia della regione ponendo le basi per le successive trasformazioni mondiali: l’intervento sovietico in Afghanistan, la rottura di Saddam Hussein con l’Unione Sovietica e la rivoluzione in Iran. Allo stesso modo i fatti dei quali oggi stiamo vedendo il principio sono destinati a cambiare la regione e a segnare il primo passo del nuovo mondo multipolare.

Per concludere non si può parlare di stabilizzazione senza affrontare la questione palestinese. È un tema che potrà trovare una risposta. Lo Stato d’Israele fa affidamento sulle divisioni del campo avverso, gli accordi di Abramo promossi dall’amministrazione Trump e confermati da Biden avevano l’obiettivo dichiarato di arrivare al reciproco riconoscimento fra Arabia Saudita e Israele. L’idea di Tel Aviv, qualunque sia il suo governo, è sostenere una delle parti del campo avverso senza però permetterle di diventare egemone, questa instabilità è considerata vitale. Un dialogo fra i due grandi (ex)nemici è un problema, non per l’esistenza di Israele ma per le sue politiche di apartheid verso i palestinesi. Un mondo arabo compatto potrebbe porre la questione della risoluzione della quesitone palestinese, se da una parte si riconoscesse Israele dall’altra si potrebbe dare finalmente attuazione alle risoluzioni delle Nazioni Unite. Tutto questo oggi può sembrare fantapolitica ma la storia ci insegna che i grandi cambiamenti possono avvenire anche in modo imprevisto.

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