Sulla crisi e la possibile scomparsa dell’ordine internazionale liberale

cina bandiera connessionidi Fabio Massimo Parenti

Pubblicato sul Global Times il 18 aprile 2018

Riceviamo dal professor Parenti e volentieri pubblichiamo un suo articolo per il cinese “Global Times”

La Cina sta sovvertendo l’ordine mondiale? La Cina è in procinto di governare il mondo? La Cina e gli Stati Uniti entreranno in conflitto diretto per la leadership mondiale? Ogni volta che studiosi, politici e giornalisti discutono della trasformazione del sistema internazionale – almeno negli ultimi 20 anni – l’attenzione si concentra sulle relazioni tra USA e Cina e sulla loro competizione in termini di confronto bilaterale. Questo è solo parzialmente corretto.

L’evoluzione storica del cosiddetto “sistema capitalista liberale” internazionale si è sempre caratterizzata da una leadership egemonica di un impero o di una nazione, periodicamente sostituita da un’altra emergente. Pertanto, gli osservatori continuano ad utilizzare queste lenti interpretative per analizzare l’attuale competizione tra i due paesi. Le scuole realiste americane dei neoconservatori sostengono che la Cina e gli Stati Uniti si scontreranno per la leadership mondiale, mentre altri sostengono che stiamo assistendo a uno spostamento globale nella distribuzione del potere, caratterizzato da una configurazione multi-polare emergente dell’ordine internazionale. Questa seconda interpretazione è più presente in Europa che negli Stati Uniti, politicamente e accademicamente.

Tuttavia, è necessario gettare luce su molteplici fattori per valutare le relazioni bilaterali: i sistemi di alleanze e le partnership messe in atto da ogni grande potenza, l’entità delle influenze che esse hanno in diversi campi di attività e il dinamismo delle trasformazioni interregionali, con l’emergere ad esempio di nuove organizzazioni regionali. In altre parole, un’analisi multi-scalare – non solo bilaterale a livello nazionale – consentirebbe una valutazione più corretta di come ciascun paese esercita la propria presenza / potenza in diverse regioni del mondo. Da questo tipo di analisi, potremmo ottenere una migliore comprensione non solo della concorrenza industriale, tecnologica, commerciale e dei flussi di investimenti – dove la Cina sta dimostrando un primato – ma anche del grado di legittimità culturale e politica – quanto sono accettati, respinti o tollerati.

Ufficialmente, la Cina non vuole mettere in discussione l’ordine esistente, anche se, di fatto, si è impegnata a riformarlo. Diversi movimenti tettonici, economicamente e politicamente, stanno modificando le reti dei flussi commerciali e di capitali. Solo due esempi. Nel 1995 la quota mondiale del traffico di merci tra Asia e Europa era pari al 27%, mentre quella transpacifica 53%; nel 2015 la prima sale al 42% e la seconda scende al 44%. Nel 2001 l’area Mediterranea assorbiva il 34% del traffico di merci provenienti da Suez, un dato che sale al 54% nel 2016. Questi sono movimenti tettonici al livello tanto geo-economico quanto geopolitico. In tutto ciò il perno, il motore e la fonte è la Cina.

La Cina ha già iniziato a riformare l’ordine internazionale, non unilateralmente, ma attraverso un consenso regionale e, in una certa misura, internazionale. Dalla Shanghai Cooperation Organization all’iniziativa Belt and Road, dal G20 alle nuove banche multinazionali e fondi statali, dalla politica energetica al petro-oro-yuan ecc. Sta riformando l’ordine internazionale in base alle esigenze interne e al suo nuovo peso internazionale, cercando anche di fornire risposte a questioni internazionali irrisolte – ecologiche, politiche ed economiche – in modo consensuale. Non sta sovvertendo l’ordine stabilito, ma sta contribuendo a risolvere i problemi di un ordine ancora insicuro e squilibrato.

L’insicurezza internazionale è in aumento, come dimostrano le dinamiche geopolitiche ed economiche degli ultimi 25 anni. Se dopo il crollo dell’Unione Sovietica sono state create condizioni favorevoli per un’ulteriore espansione delle forze capitaliste in nuove regioni del mondo, è anche vero che gli ultimi decenni non rappresentano affatto l’affermazione definitiva delle democrazie liberali e della pace globale. Nuovi conflitti e processi di destabilizzazione politica, attraverso strumenti finanziari e militari, hanno segnato il periodo successivo alla guerra fredda e, come molti dicono, il punto di svolta è rinvenibile nella disaggregazione della ex Jugoslavia nel corso degli anni ’90.

La rinnovata belligeranza internazionale deve essere attribuita alle dinamiche competitive per il controllo di aree strategiche messe in opera dal sistema di alleanze costruito dagli Stati Uniti. Invece di perseguire nuove relazioni cooperative est-ovest, la NATO di fatto ha avviato un processo, ancora in corso, di chiara espansione verso sud ed est, operando a livello globale e intervenendo con l’obiettivo ultimo di riprodurre e consolidare la supremazia degli Stati Uniti rispetto alla possibilità dell’emergere di una nuova egemonia: vale a dire, la Repubblica popolare cinese e i suoi maggiori partner asiatici, la Russia e l’Iran, come chiaramente affermato nell’ultimo rapporto strategico della Casa Bianca.

Alla luce degli interventi USA-NATO finalizzati ai cambiamenti di regime di intere nazioni e alle correlato controazioni in Eurasia, messe in opera da Cina, Russia e Iran al fine di controbilanciare l’espansione della NATO, si può affermare che il mondo post-bipolare sta diventando più insicuro e ancora intrappolato in una mentalità da Guerra Fredda.

L’azione della Cina all’estero non si basa sulla forza militare ed è sostanzialmente pacifica: alcuni in Occidente non vogliono accettarlo o, peggio, evitano di vederlo. In una certa misura, potremmo anche sostenere che lo scontro Cina-USA si sta già verificando, ma indirettamente e unilateralmente. Dove? Nelle zone di guerra, come il Medio Oriente e l’Ucraina, e in altre aree strategiche, come l’Asia-Pacifico.

Dal 2014 alcune voci autorevoli in Europa hanno sottolineato l’irrazionalità della campagna anti-russa. Romano Prodi, ex primo ministro italiano e presidente della Commissione europea, ha dichiarato ad esempio che “le sanzioni sono un suicidio collettivo”. Ha anche aggiunto che sono contro l’Europa e la Russia, mentre gli Stati Uniti sono l’unica parte che ne beneficerebbe. Gerhard Schroeder, ex cancelliere tedesco, e rappresentanti industriali della Germania hanno criticato l’interferenza americana in Ucraina. Più recentemente, e in un altro contesto strategico caldo, molte voci stanno sorgendo contro la volontà americana, francese e britannica di aumentare ulteriormente l’occupazione illegale della Siria.

In Europa e negli Stati Uniti, molti studiosi stanno attribuendo la fine dell’ordine liberale internazionale, guidato dall’Occidente, alle politiche “isolazioniste”, “antiglobaliste” e “populiste” della nuova amministrazione Trump. Credo che questo non sia corretto. Il processo di ristrutturazione dell’ordine internazionale è più lungo, più profondo e strutturale, e risale agli anni ’90.