Russia e Cina, una solida coppia di fronte al contrattacco dell’impero

putin xijinpingIntervista di Philippe Stroot a Bruno Drweski

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Traduzione di Massimo Marcori per Marx21.it

Di fronte all’espansione senza limiti della NATO che continua ad avvicinarsi alle sue frontiere, alla campagna di sistematica denigrazione di Vladimir Putin sui media occidentali unite ad un’isteria antirussa senza precedenti anche rispetto all’epoca della guerra fredda e che non ha praticamente più nulla d’ideologico, la Russia cerca e trova altri partner ad est e a sud. Lungi dall’essere isolata come taluni tentano di far credere, essa sviluppa soprattutto partenariati in Asia e singolarmente con la Cina, per motivi sia geopolitici che storici come rammenta Bruno Drweski nell’intervista che ci ha concesso. L’ostracismo e le sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti e l’Unione europea si presumeva che indebolissero la Russia. Questa speranza rischia di andare fortemente delusa…

Avete intitolato il vostro ultimo libro “La Russia è di sinistra o di destra?”, perché questo titolo e come rispondete a questa domanda?

Ho scelto questo perché credo che ci sia sempre grande confusione quando si parla della Russia. Ho constatato che persone che si dicono sia di sinistra sia di destra sono piuttosto favorevoli alla Russia e che altre persone che si dichiarano anch’esse sia di sinistra sia di destra le sono fermamente contrarie. Mi sono detto che occorreva porsi la questione di sapere come collocare la Russia attuale nel suo contesto.

Abbiamo a che fare con una nuova Russia in cui, in una certa misura, il peso del passato continua a farsi sentire, sia dalla parte dei nostalgici dello zarismo che dei nostalgici dell’Unione Sovietica, e tutto ciò influenza l’opinione che si ha della Russia attuale. Ora si tratta di un paese che è evoluto moltissimo e occorre dunque analizzarlo così com’è oggi, con il peso della sua storia.

Penso prima di tutto che la Russia d’oggi è un paese che ha un sistema capitalistico, poiché dal 1991 essa non è più un paese socialista, e occorre esserne coscienti. Bisogna in seguito ricordare che essa ha avuto negli anni 90 dirigenti che cercavano ad ogni costo di aderire al modo di vita occidentale, al blocco occidentale, ad essere alleati delle potenze occidentali ed in particolare degli Stati Uniti. Ora, si è verificato che non si è loro offerto molto più di un’anticamera e che allo stesso tempo il paese si è ritrovato n una situazione economica catastrofica dopo aver aperto le sue frontiere e i suoi capitali.

Tutto ciò ha prodotto una catastrofe che ha fatto prendere coscienza ai russi che il loro paese era minacciato in quanto tale. Ciò vale anche per quelli che rimpiangevano le decisioni che erano state prese al momento della caduta dell’Unione Sovietica, ma anche per molti di quelli che pensavano che, divenuta capitalista, la Russia si sarebbe trovata in una posizione molto più confortevole che in precedenza e che, di colpo, sono diventati molto più centrati sugli interessi del loro stesso paese. Questa presa di coscienza ha dato luogo alla formazione della borghesia nazionale che è al potere oggi in Russia, in parte almeno, e che conduce una politica che si potrebbe molto schematicamente comparare alla politica di De Gaulle negli anni 60 in Francia.

Trattandosi di relazioni internazionali, voi spiegate nel vostro libro che la Russia, senza dubbio scottata dall’atteggiamento degli occidentali, le ha molto diversificate e si è soprattutto riavvicinata alla Cina. Ora, ho avuto l’impressione leggendovi che consideriate che si tratti di un riavvicinamento senza troppo entusiasmo. In che senso esattamente?

Inizialmente, penso in effetti che si trattasse di un riavvicinamento senza entusiasmo, ma che le cose sono molto cambiate. In un primo tempo, questo riavvicinamento era probabilmente dovuto essenzialmente al fatto che la Russia si è riavvicinata alla Cina per trovare un contrappeso in seguito alle delusioni che essa aveva riscontrato nei confronti dei dirigenti occidentali. Ma con il tempo penso che le cose siano mutate nella misura in cui i cinesi si sono mostrati molto ricettivi, e non solo sul piano di un’analisi razionale dei rapporti di forza internazionali, ma perché essi hanno avuto l’intelligenza – uscita dalla propria storia – di capire quello che era un popolo umiliato e che, in un certo modo, essi hanno in fretta compreso che l’umiliazione subita dalla Russia dopo il 1991 era dello stesso ordine di quella che essi avevano subito per lunghi anni, dalla fine del XIX secolo fino almeno al 1949, e forse più tardi ancora.

Sono stati capaci di stabilire con la Russia relazioni che non sono solo basate sull’interesse ma che comportano una componente affettiva che ha potuto anche rafforzarsi in ragione del fatto che malgrado tutto la Cina ha anche fatto la sua rivoluzione ma non ha fatto gli stessi errori dell’ultima URSS. Per molti russi, i cinesi hanno avuto un atteggiamento ben più saggio in confronto ai loro propri interessi al momento della caduta del blocco dell’Est e del campo socialista di quello avuto dai dirigenti sovietici.

In rapporto all’atteggiamento dell’occidente riguardo alla Russia, si osserva attualmente un’incredibile isteria che supera anche quella che si era conosciuta durante la guerra fredda. Come spiegare ciò?

Penso che questo abbia meno a che vedere con la Russia che con l’occidente stesso. ben inteso, si mettono in risalto tutte le banalità negative riguardanti la Russia, sia facendo appello al ricordo dell’URSS demonizzato o anche della Russia più antica in quanto potenza. Ma il problema fondamentale è quello del blocco occidentale, del mondo occidentale, del capitalismo occidentale, dove la crisi non lascia altra via che quella di costruire il volto di un nemico. Niente di meglio fin da allora che ritrovare l’antico nemico, rivangare i vecchi schemi per tentare di ricreare la coesione di un occidente in procinto di disgregarsi. Poiché bisogna ricordare bene che nel 2003, quando gli Stati Uniti hanno attaccato l’Iraq, due potenze occidentali, la Germania e la Francia, si erano opposte a questa politica. Occorreva dunque rompere il riavvicinamento che stava per prodursi tra l’Europa e la Russia e anche di trovare un modo di rabberciare l’alleanza atlantica.

Come spiegare in questo contesto l’atteggiamento della Francia?

E’ certo che la Francia è estremamente delusa in rapporto alla sua storia recente, in merito anche alle sue posizioni sotto il presidente Chirac, che non era affatto un radicale estremo ma che ha saputo al momento della guerra contro l’Iraq prendere posizioni abbastanza coraggiose. Assistiamo in tutta evidenza ad un cambiamento totale che da parte mia spiego con la crisi del sistema, con la deindustrializzazione della Francia e con la disintegrazione dell’economia francese. Ci sono d’altronde sempre stati in Francia, dal 1945, agenti di influenza, oggettivi o soggettivi, degli Stati Uniti che avevano mantenuto un basso profilo durante il periodo gaullista e che poco a poco si sono ripresi. Penso che li si ha molto aiutati dopo il 2003, quando la Francia si è opposta alla guerra contro l’Iraq. Penso anche che gli Stati Uniti hanno lavorato a fondo per riprendere in mano la Francia e spingere le loro pedine con personaggi molto insipidi e sottomessi come Sarkozy o Hollande e, beninteso, molti altri.

Tenuto conto dell’atteggiamento attuale della NATO e degli Stati Uniti, pensate che esista attualmente un vero rischio di guerra? Alcuni dicono che di fronte ad una situazione economica catastrofica non c’è nulla di meglio che una buona guerra per far ripartire la macchina…

E’ sicuro. E’ chiaro che se non avessimo oggi l’arma atomica la guerra sarebbe già scoppiata. Evidentemente l’arma atomica rende un po’ più prudenti i guerrafondai, ma la questione è di sapere quali sono i limiti di questa prudenza. Si possono nutrire molte preoccupazioni poiché vi sono a Washington un certo numero di circoli che si immaginano anche di essere in grado di vincere una guerra nucleare, cosa evidentemente aberrante. Penso d’altronde che quello che caratterizza ogni impero in declino, ogni impero in crisi, è precisamente una sconnessione con la realtà. Una gran parte di quello che si definisce l’establishment negli Stati Uniti sembra sfortunatamente essere del tutto sconnesso dalla realtà del mondo contemporaneo.

Poiché parliamo degli Stati Uniti e per restare all’attualità, qual è a vostro avviso l’opzione migliore, o la “meno peggio” per la Russia nella scelta che si presenterà a novembre?

Avrei tendenza a dire che tale scelta è, in effetti, particolarmente difficile da fare, ma che in un certo modo, se osservo ciò che se ne dice in Russia, Trump a loro sembra un candidato meno peggio della Clinton poiché non è completamente legato all’establishment. Il suo discorso è certamente particolarmente strambo, ma egli è meno legato all’establishment guerrafondaio della Clinton. Ho l’impressione che molti paesi o persone molto critiche nei confronti degli Stati Uniti affermano che se Trump arrivasse al potere sarebbe abbastanza catastrofico, ma che una possibilità si può aprire a Washington, se la Clinton fosse veramente bloccata. Tuttavia, non accantonerei del tutto la carta Sanders. Ben inteso non sarà presidente, è chiaro, ma sembra nondimeno deciso a porre un certo numero di condizioni. Non so come potrà farlo, poiché non conosco bene le incognite della configurazione politica americana, ma penso che se egli continuerà la lotta potrà pesare in un modo o nell’altro.

Per terminare, vorrei sottolineare che la Russia ritorna ad essere una potenza importante. E che essa costituisce oggi assieme alla Cina una coppia solida, come si può constatare in tutte le crisi. Direi che i cinesi sono senz’altro più potenti anche se sono più discreti e che vi è dunque un gioco a due tra una Russia che si mette in mostra, cosa che soddisfa i cinesi, e una Cina che è molto più discreta ma che rafforza la sua moneta in concorrenza col dollaro. In compenso, gli altri alleati di questo asse, gli alleati del BRICS o dell’organizzazione di Shanghai, sembrano oggi molto più vacillanti, sia il Brasile, che il Sud Africa o la stessa India, in cui le cose non sono regolate. E si vede che l’impero contrattacca, su tutti i fronti, in Medio Oriente, in America Latina, in Africa e che la resistenza a quest’attacco sarà un test sulla solidità dell’alleanza russo-cinese.

di Bruno Drweski leggere anche http://www.investigaction.net/la-nouvelle-russie-est-elle-de-droite-ou-de-gauche-extrait/