Rohani, nuovo presidente per la stessa politica: consolidare la Rivoluzione Islamica Antimperialista

di Fernando Esteche, da www.rebelion.org | Traduzione di Marx21.it
fonte originale www.noticiaspia.com.ar

rohani bandiera*Fernando Esteche è titolare di Relazioni Internazionali e Comunicazione all’Università Nazionale di La Plata, Argentina

Solamente coloro che guardano alla politica condizionati dalle logiche occidentali e nutriti dai commenti che prevalgono staranno aspettando svolte rispetto alla politica iraniana, sulla base dei recenti risultati elettorali.

La prima grande lezione che ci hanno offerto la Rivoluzione Islamica e il popolo iraniano è che nella Repubblica Islamica dell’Iran è molto difficile tentare qualsiasi manovra come quella che si cercò di attuare alcuni anni fa con pessimi risultati, nelle elezioni presidenziali del 2009, quando si era preteso di erodere e mettere in discussione il sistema politico persiano.

Le ultime elezioni, che avevano visto trionfare Mahmud Ahmadineyad furono la scusa con cui mercenari storici cercarono di sovvertire i risultati, metterli in discussione e provocare per un certo periodo una sorta di “ribellione” islamica del tipo di quelle che in chiave araba in seguito furono praticate nel Magreb. Molto simile alla manovra che oggi sta attuando Capriles Radonski in Venezuela.


Queste elezioni che hanno dato la presidenza a Hassan Rohani non solo hanno visto una partecipazione di massa (con circa l’ottanta per cento degli elettori che hanno votato), ma hanno offerto un quadro politico assolutamente omogeneo con le linee di fondo della politica iraniana.

La domanda a cui incautamente si affrettano a rispondere le agenzie internazionali con la loro tipica superficialità e “orientalismo” (Said) è “che cosa accadrà con l’arrivo del “riformista” Rohani?” E la risposta che si danno è che “verranno le riforme”.

E’ per questo che insistiamo sull’omogeneità rispetto alle linee strategiche della Rivoluzione Islamica. La prima cosa che dobbiamo rilevare è che il presidente eletto non solo è un religioso ma che è stato segretario personale del massimo leader della Rivoluzione, Seyyed Ali Khamenei. Che il presidente eletto Rohani in testa porta un turbante, tipico di uno sceicco sciita, semplicemente perché è uno sceicco sciita. Vale a dire, non solo è uno sciita ma uno sceicco, e collaboratore di Ali Khamenei. E non ha fondamento che qualcuno coltivi speranze che avvenga una “riconciliazione” con il nemico mortale della rivoluzione: gli Stati Uniti.

Qualsiasi modifica delle relazioni internazionali corrisponderà alle relazioni del potere e dalla capacità di manovra della Rivoluzione Islamica. Se qualcosa hanno imparato gli iraniani dagli anni ottanta ad oggi è che non possono minimamente fare affidamento sulla seduzione diplomatica imperiale e che gli Stati Uniti non risparmiano sangue per sabotare la Rivoluzione. Lo stesso Khamenei ha il corpo mutilato da un attentato dei primi tempi della Rivoluzione.

Le operazioni di costruzione del Grande Medio Oriente (come Clinton, Kerry e lo stesso Obama hanno definito le loro pretese sul vicino Oriente) trovano nella Repubblica Islamica dell’Iran un ostacolo insormontabile che, allo stato attuale delle operazioni nel Magreb, non possono pensare di superare a loro piacimento; Inoltre lo stallo e la sconfitta dell’operazione di destabilizzazione in Siria, obbligano gli Stati Uniti a riconoscere la presenza della potenza regionale in cui si è trasformato l’Iran, attraverso un asse comune con la Siria di Assad e la resistenza patriottica libanese.

L’accordo di cooperazione energetica del 2010 tra Iraq, Iran e Siria per la costruzione di un gasdotto (South Pars a Homs) che unirebbe il Golfo Persico al Mar Mediterraneo, rappresenta un’alternativa alle vie energetiche turche. La stessa cosa avviene con i recenti accordi concretizzati con il Pakistan e l’Afghanistan per la costruzione di condotti internazionali. Tutto ciò colloca la Repubblica Islamica dell’Iran in una posizione di forza che non può essere ignorata.

Dai tempi della predicazione dello sceicco Ruhollah Khomeyni (fondatore e leader della Rivoluzione Islamica), l’Iran ha ben chiari i suoi obiettivi e chi sono i suoi nemici. Non sono i presidenti a poter definire le politiche di relazione e che tipo di relazioni conservare con altri stati e altre potenze. Non conoscere il sistema politico iraniano è ciò che inibisce la possibilità di conoscere gli autentici nuclei di potere della Rivoluzione.

Chi ha definito come “riformista” il presidente eletto non può né deve coltivare in alcun modo l’idea che si sospenderanno le ricerche scientifiche e tecnologiche, né che si sospenderà la politica di sviluppo atomico, e molto meno la rivendicazione della sovranità palestinese e la caratterizzazione di Israele come stato usurpatore, terrorista e occupante. I diritti civili che reclamizzano i media occidentali come bandiera del presidente eletto non saranno di libertà sessuale rispetto all’omosessualità, né di promozione e legalizzazione dell’aborto né del consumo di alcol e stupefacenti.

La politica estera di cooperazione e promozione di nuclei di associazione militare e commerciale alternativi a quelli egemonizzati dall’imperialismo anglosassone, sia l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai che ha l’Iran come membro osservatore, che la stessa alleanza islamica e pure la crescente presenza che rafforza l’asse Sud-Sud nella Nostra America, non sono certo messe in discussione dalla nuova amministrazione eletta.

La stampa internazionale presenta i risultati delle elezioni persiane come la vittoria dell’unico candidato “riformista” di fronte al resto “estremista”. Ciò, da un lato, rappresenta la pretesa di ingabbiare e predeterminare i primi passi della politica estera di Rohani. Pretesa illusoria. Ma che ancora una volta mette a nudo la superficialità della lettura politica che viene fatta della buona salute della Rivoluzione, delle sue forze, delle sue certezze e del suo destino come punta di lancia antimperialista.

Non c’è possibilità di condizionare la politica estera fuori dalla volontà del popolo islamico sciita iraniano che si esprime negli orientamenti del leader Khamenei. Ne possibilità formali né possibilità reali. Se la posizione di forza dell’Iran richiede nuove forme di relazioni che non rinneghino i suoi principi rivoluzionari, allora queste nuove forme non arriveranno con il concorso di uno o l’altro riformista ma con la forza della storia e del presente.

In conclusione, così come Barack Obama non ha adottato una politica diversa da quella di Bush rispetto alla depredazione attraverso le guerre nel mondo, la stessa cosa avviene con l’Iran rispetto alla sua vocazione antimperialista.