di Rachel Esplin Odell
da https://www.realclearworld.com
traduzione di Marco Pondrelli per Marx21.it
Dopo aver inizialmente accusato il presidente Trump di non essere stato sufficientemente duro con la Cina per la gestione della pandemia, la campagna di Biden-Harris ha recentemente cambiato rotta, annunciando che avrebbe perseguito relazioni più costruttive con la Cina nel campo della salute pubblica e delle relazioni commerciali. La piattaforma del partito adottata alla Convenzione Nazionale Democratica ha anche esplicitamente sconfessato una “nuova guerra fredda” con la Cina.
Questi sviluppi, per quanto positivi, mascherano una spiacevole realtà: nel campo della competizione militare con la Cina, un’amministrazione Biden sosterrebbe probabilmente la stessa linea dell’attuale strategia statunitense nella regione. In un momento di crescente tensione su Taiwan e sul Mar Cinese Meridionale, tale prospettiva è di cattivo auspicio per la pace e la stabilità in Asia.
Durante la campagna presidenziale, Biden ha in gran parte evitato di discutere di Taiwan o del Mar Cinese Meridionale. Non ci sono riferimenti a nessuno di questi due argomenti sul sito web della sua campagna elettorale, né il sito web contiene alcun dibattito sulla concorrenza militare con la Cina, anche se i riferimenti alla concorrenza economica con la Cina abbondano. Allo stesso modo, Biden non ha fatto alcun riferimento a Taiwan o al Mar Cinese Meridionale in un articolo pubblicato su Foreign Affairs a gennaio in cui ha delineato la sua visione di politica estera.
La piattaforma del Partito Democratico 2020, tuttavia, fa una breve menzione di questi temi. Pur rilevando che “la sfida della Cina non è principalmente militare”, insiste sul fatto che i Democratici “dissuaderanno e risponderanno alle aggressioni”. Indica l’impegno a difendere la “libertà di navigazione” e a “resistere alle intimidazioni dei militari cinesi nel Mar Cinese Meridionale”, riaffermando al contempo la legge sulle relazioni con Taiwan e una risoluzione pacifica delle questioni tra le due sponde dello Stretto “coerente con i desideri e i migliori interessi del popolo di Taiwan”. Questo linguaggio riecheggia le parole d’ordine dei discorsi dell’establishment sulla politica estera americana di entrambi i partiti.
Ancora più rivelatori gli atteggiamenti dei principali consulenti della campagna di Biden sulla politica di difesa e sulla strategia nei confronti della Cina, essi suggeriscono una fissazione sulla deterrenza per via dell’esclusione del suo complemento essenziale, la rassicurazione. Ad esempio, Michèle Flournoy, considerata una probabile candidata per un posto di segretario della difesa in un’amministrazione Biden, ha scritto un articolo su Foreign Affairs a giugno in cui ha incolpato l’erosione della deterrenza americana contro la Cina per l’aumento delle tensioni nello Stretto di Taiwan e nel Mar Cinese Meridionale. Ha espresso costernazione per il fatto che gli Stati Uniti non abbiano dispiegato più truppe di terra in Asia e ha chiesto all’esercito statunitense di acquisire la capacità di “affondare tutte le navi militari, i sottomarini e le navi mercantili cinesi nel Mar Cinese Meridionale entro 72 ore”.
In modo simile, Ely Ratner, co-presidente del gruppo di lavoro sulla politica dell’Asia orientale della campagna di Biden ed ex vice-consulente per la sicurezza nazionale di Biden quando era vicepresidente, ha sostenuto una serie di attività volte a dissuadere la Cina, tra cui l’inizio di esercitazioni militari bilaterali con Taiwan. Tali attività altererebbero la natura della posizione di lunga data dell’America negli affari dello Stretto, indebolendo la duplice deterrenza e l’ambiguità strategica che lo stesso Biden una volta difendeva con forza.
Una futura amministrazione Biden effettuerebbe probabilmente alcuni aggiustamenti prudenti intorno ai margini che potrebbero avere un effetto stabilizzante. Potrebbe riprendere un regolare dialogo strategico con Pechino, una mossa raccomandata da Flournoy, come mezzo per comunicare chiaramente le proprie intenzioni. L’interruzione di tali collegamenti di comunicazione da parte dell’amministrazione Trump ha sollevato il rischio di pericolosi errori di calcolo da parte di Washington e Pechino. Il ripristino di tale dialogo migliorerebbe la capacità di entrambe le parti di gestire le crisi che potrebbero emergere.
Tuttavia è improbabile che l’amministrazione Biden modifichi radicalmente la strategia degli Stati Uniti in Asia in modo da ridurre la probabilità che tali crisi emergano. Sotto il Presidente Biden, gli Stati Uniti probabilmente continuerebbero a lottare per il primato militare in tutto il Pacifico occidentale, con uno scarso riconoscimento di come le attività militari statunitensi stiano causando un dilemma di sicurezza con Pechino e ciascuna delle due parti perseguirà misure deterrenti che aumentano il rischio di conflitti.
La realtà è che la minaccia militare che la Cina rappresenta per gli interessi statunitensi è di natura limitata. La Cina si preoccupa di costruire la sua forza militare per aumentare la sua influenza nelle dispute di sovranità su Taiwan e su isole e scogliere in gran parte disabitate nei mari della Cina orientale e meridionale. Ma non sta costruendo una forza progettata per l’espansione territoriale in Asia al di là di queste controversie, tanto meno per proiettare il potere contro la gli Stati Uniti.
In quei potenziali punti di scontro con Taiwan e le isole contese, Washington dovrebbe perseguire una strategia volta non solo a scoraggiare la Cina, ma anche a gestire il problema della sicurezza assieme a Pechino. Invece, l’aumento del ritmo delle operazioni militari statunitensi, insieme ai segnali politici di forte sostegno agli avversari cinesi, stanno portando Pechino ad espandere le proprie operazioni militari in risposta.
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