di Marco Pondrelli
Dal 30 novembre al 1° dicembre si è tenuto a Shenzhen in Cina il Forum ‘Chinese Modernization and High-quality Belt and Road Cooperartion’, al forum è stata invitata a portare un contributo anche Marx21. Dopo la cerimonia d’apertura il primo confronto è stato moderato da Guo Yezhou, vice Ministro degli Esteri. Il vice Ministro ha rimarcato l’importanza della Belt and Road Initiativ, sottolineando come la Cina continui a guardare al futuro pensando ad una comunità umana dai destini condivisi. Erano tante le delegazioni arrivate da molti paesi del mondo e in tutti gli interventi è stata rimarcata l’importanza di costruire un mondo multipolare.
Il luogo del Forum era anche simbolicamente importante, 40 anni fa Shenzhen era un villaggio di pescatori di circa 10.000 abitanti, oggi è una metropoli di 20 milioni d’abitanti. Lo sviluppo di questa città non è però stato incontrollato, l’esempio di Shenzhen è interessante perché ha saputo coniugare lo sviluppo con il rispetto dell’ambiente, accanto a grandi grattacieli si trovano ampi spazi verdi e tanti luoghi che mantengono vive le tradizioni locali. Allo stesso tempo la città è ancora in crescita, nascono nuove attività e nuovi posti di lavoro e la qualità della vita rimane alta, grazie a tante attività, sportive e culturale, che si possono esercitare nel tempo libero. Questo svilippo non è stato casuale ma attentamente pianificato dallo Stato e dal Partito, un simbolo della forza del socialismo con caratteristiche cinesi.
L’innovazione e le politiche culturali sono gli strumenti che consentono uno sviluppo i cui frutti possono essere ridistribuiti all’intera popolazione, questa realtà cancella l’idea diffusa in Occidente della Cina come fabbrica del mondo, impegnata a produrre magliette ma incapace di una produzione ad alto valore aggiunto. La presenza di colossi come Huawei (solo un esempio) dimostra che la Cina è all’avanguardia nello sviluppo delle nuove tecnologie, prova ne è che nel 2019 Pechino è diventato il primo Paese al mondo per la robotica, depositando il 43% dei brevetti.
Mentre in Italia ci siamo persi in discussioni ideologiche (e filo-atlantiche) sull’opportunità di utilizzare il 5G cinese, a Shenzhen e nel resto del Paese questa è già una realtà che trova applicazioni non solo nel campo delle comunicazione ma, solo per fare alcuni esempi, anche nei trasporti, nella sanità e nella tutela ambientale.
Di fronte a queste opportunità che la Cina offre al resto dell’umanità, dobbiamo prendere atto della scelta del Governo Meloni di ritirare la firma dal memorandum of understanding con il quale il nostro Paese aveva aderito alla via della seta. Questa scelta è figlia di una classe politica miope, che confonde il sostegno d’oltre atlantico con gli interessi del Paesi, il Ministro degli Esteri ha giustificato il ritiro della firma italiana con un’involontaria ironia, Tajani ha infatti affermato che l’Italia abbandona la via della seta ma vuole rilanciare il partenariato con la Cina.
La tesi del Governo (che non ha trovato molti critici all’opposizione) è che i risultati per l’Italia in questi anni sono stati deludenti. Chi ci governa dovrebbe però chiedersi di chi è la colpa di questi scarsi risultati? Della Cina? La risposta è che la colpa è dei governi che si sono avvicendati dopo la firma del memorandum. La nostra classe dirigente che ha idolatrato Marchionne, dovrebbe fare un giro per le strade cinesi è confrontare la presenza delle auto (ex)Fiat con quella di marche tedesche o di altri Stati. È solo un esempio delle possibilità che il nostro Paese avrebbe ma che è incapace di sfruttare per non dispiacere i propri capi a Washington.
Oltre alle motivazioni economiche molti politici e opinionisti sostengono che una collaborazione con Pechino avrebbe messo in crisi la nostra democrazia. In questo caso siamo nel campo della pura satira, non solo la Cina non ingerisce, a differenza di altri Paesi, nelle scelte delle altre nazioni ma, oltre a spiegarci una volta per tutto cosa sarebbe la democrazia italiana, i nostri leader dovrebbero capire che una democrazia non viene messa in pericolo dalla crescita economica semmai è il contrario, la recessione e la stagnazione restringono gli spazi democratici.
Non è casuale che la scelta italiana avvenga prima del vertice fra i vertici di Bruxelles e quelli cinesi, questo dimostra quanto l’Unione europea sia oramai diventata il 52° stato americano (dopo Porto Rico). Quando nacque l’Euro da più parti, a partire da Romano Prodi, si pensò che la Ue sarebbe potuta divenire un polo autonomo fra USA e Cina (o meglio Asia) e che la nuova moneta avrebbe potuto favorire la fine del dollaro come moneta di riserva mondiale. Purtroppo oggi vediamo che tutto ciò non è più possibile, se il conflitto ucraino viene usato per separare l’Europa dalla Russia (e per affossare la nostra economia), dall’altro siamo costretti a raffreddare i rapporti con la Cina. Mentre alcuni Stati, come ad esempio la Germania, hanno la forza di mantenere aperto un dialogo con Pechino, l’Italia si sta consumando nella fedeltà verso Washington. Come gli ultimi giapponesi nella giungla continuiamo combattere in difesa del mondo unipolare a guida americana che oramai sembra non convincere neanche più gli stessi Stati Uniti, segno dei limiti della politica italiana che da Togliatti, Nenni e Mattei è arrivata fino al penoso spettacolo odierno.
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