di Fabio Massimo Parenti [1]
Intervento presentato al IV Forum «Cina e Ue. I nodi politici ed economici nell’orizzonte della “nuova via della seta” e di una “nuova mondializzazione”», Roma, 13 ottobre 2017.
Modelli a confronto per una scelta strategica
Nell’attuale contesto internazionale, i soggetti pubblici e privati di varie potenze statuali si trovano ancora una volta di fronte a scelte strategiche fondamentali, almeno nella misura in cui si assuma l’effettivo dispiegarsi di un processo di transizione da un mondo unipolare ad uno multipolare. Qui esaminiamo un caso emblematico: il significato e l’influenza della Belt and Road Initiative (BRI) nella ridefinizione dei rapporti tra Europa ed Asia e quindi l’urgenza europea di decidere se e come ricollocarsi nella geopolitica mondiale. L’Europa, il Mediterraneo e l’Italia possono decidere di preservare la propria posizione geopolitica, rimanendo sotto prevalente influenza US-Nato, oppure guardare ed agire a favore di un’integrazione eurasiatica. Con focus sulla Cina.
Più precisamente, da una parte vi è ciò che conosciamo fin troppo bene, ovvero un modello politico centrato su finanza speculativa (al cuore della crisi economico-sociale che continuiamo a vivere) e sul militarismo (politiche economiche ed estere condizionate dall’interventismo statunitense) che presuppone una semi-autonomia dell’Europa, in quanto fortemente subordinata alle strategie di dominio statunitensi. Da un’altra parte, invece, emerge con chiarezza un modello di cooperazione commerciale, finanziaria e politica volto all’interconnessione, all’innovazione e, in ultima analisi, a creare condizioni materiali di sviluppo diffuso e di mutuo vantaggio. In altre parole: da un lato l’idea di conservare le istituzioni e i relativi rapporti di forza risalenti alla fine della seconda guerra mondiale, ovvero un ordine mondiale caratterizzato da “cambi di regime” e militarizzazione spinta del mondo; dall’altro la possibilità di percorrere una strada di riforma costante, caratterizzata da attività finanziarie al servizio dell’economia reale e da un ordine geopolitico multipolare e potenzialmente più pacifico… Si tratta di una scelta strategica tra la via delle armi e la via della seta, parafrasando il titolo di un recente dibattito livornese.
In questo breve intervento cercherò di delineare la genealogia e le ragioni della BRI (perché?) e alcuni elementi che la caratterizzano (cos’è), per concludere infine con alcuni punti di sintesi su problemi e vantaggi inerenti a questa iniziativa.
La concretezza della BRI sta nelle sue origini
Le strategie cinesi degli ultimi 20 anni hanno creato le condizioni affinché la BRI fosse un progetto realistico ed appetibile. Mi riferisco alla go west e go abroad strategy, quasi simultanee, complementari, ma differenti… La prima si è dispiegata dalla fine degli anni Novanta a oggi, favorendo lo sviluppo della Cina interna e quindi la interconnessione nazionale e coi paesi vicini, mentre la seconda, dal 2000 a oggi, ha garantito il sostegno agli investimenti cinesi all’estero, operati dai campioni nazionali privati e da quelli statali. La BRI è dunque una conseguenza dei successi ottenuti negli anni passati e molti investimenti, che oggi potremmo definire legati alla BRI, sono in realtà avvenuti prima del suo lancio ufficiale nel 2013 (si pensi alla ferrovia Chongqing-Duisburg o al Pireo).
In queste prime considerazioni emerge una differenza culturale e politica sostanziale con la più recente tradizione europea: l’Europa lancia idee (fiscali, ambientali, bancarie, anticorruzione, di difesa ecc.) che risultano spesso inibite dal malgoverno, dalla subordinazione agli Usa, oppure dalla scarsa fattibilità, mentre al contrario le iniziative cinesi nascono sempre dallo studio e dalla conoscenza della realtà, coerentemente con la migliore tradizione marxiana. Con la BRI il presidente Xi Jinping prosegue dunque ciò che hanno preparato altre generazioni, promuovendo continuità nel cambiamento ed innovazione.
L’attrattività della BRI sta nei vantaggi reciproci, economico-politici
Contestualmente al più recente sviluppo cinese ed alle sue relazioni con l’Europa, giova ricordare che negli ultimi 15 anni i commerci e gli investimenti sono cresciuti costantemente in entrambe le direzioni, soprattutto dagli anni della crisi. Parliamo di macchinari, trasporti, alimenti e materie prime, principali prodotti dell’interscambio Cina-UE (quasi raddoppiato in sei anni, raggiungendo 550 miliardi di dollari). La Cina è così divenuta il secondo partner commerciale europeo, mentre l’UE è il primo partner cinese.
Benché l’Europa si trovi in una condizione di deficit commerciale con la Cina, è anche vero che ha registrato importanti surplus sia nei servizi che nello stock degli investimenti. Guardando a più anni, si può inoltre notare che anche l’export complessivo europeo sta aumentando costantemente e c’è una tendenza al riequilibrio nelle rispettive bilance dei pagamenti.
Se ci soffermiamo sull’implementazione della BRI, è evidente che vi sono ancora enormi potenzialità per gli investimenti cinesi in Europa – e viceversa – divenuti sempre più articolati geograficamente e differenziati settorialmente (infrastrutture, turismo, calcio, telefonia ecc.). Ne abbiamo di vari tipi: specializzati (ad esempio, Huawei e Lenovo) e diversificati (come Fosun o Wanda), in attività di ricerca e sviluppo e nell’organizzazione di forum accademici, scientifici e culturali. C’è anche complementarietà tra i piani nazionali cinesi ed europei per la connettività ed i trasporti, come emerge ad esempio dal raffronto BRI-TENT.
Dal punto di vista cinese, gli investimenti in Europa sono volti in generale alla ricerca di know how e all’apprendimento di nuove esperienze gestionali. La Cina si muove per macro-aree e singoli paesi, come dimostra il piano di cooperazione regionale Central Eastern Europe 16+1, avviato dal governo cinese sin dal 2012, oppure la crescente attenzione strategica versoilMediterraneo. Nel primo caso prevalgono greenfieldinvestments, ovvero in nuove attività produttive (filiali, nuovi impianti ecc.), mentre nel secondo caso uno degli obiettivi principali è quello di acquisire asset strategici, alla luce delle politiche di privatizzazione portate avanti negli ultimi anni e della crisi creditizia. Tramite queste operazioni, la Cina tenta di esercitare anche una maggiore influenza politica su una serie di questioni che considera cruciali (si pensi al Tibet o al MES).
Cos’è la BRI? Come si presenta?
Asia-Europa-Africa sono i tre continenti interessati dalla BRI. L’ambizioso progetto cinese è composto da sei corridoi terrestri ed uno marittimo e mira a favorire una maggiore integrazione euroasiatica – e solo in parte africana – coinvolgendo circa 65 paesi, ovvero il 70% della popolazione mondiale. I progetti sono numerosissimi e riguardano strade, porti, ponti, ferrovie ecc. Pensiamo al nuovo impianto termoelettrico in SriLlanka, al porto di Gwadar, all’autostrada che collega la regione del Xinjiang al Pakistan, ai collegamenti con il Kazakistan e al suo hub strategico di Khorgos. Per non parlare delle connessioni con varie città europee (Duisburg, Hamburg, Varsavia, Lodz, Madrid, Parigi, Praga, Lione, ecc.).
Di fronte a questo quadro è importante porsi alcune domande: come è possibile guidare e realizzare questa iniziativa di portata mondiale? Chi e come gestisce i complessi investimenti previsti o già effettuati? Secondo tradizione, le autorità cinesi hanno ben pensato di sviluppare dapprima gli strumenti a sostegno dei nuovi piani di investimento, dando vita ad un’architettura istituzionale multilaterale che va articolandosi e consolidandosi nel tempo. Vi sono ad esempio alcune banche statali, fondi ed istituzioni di investimento che lavorano sinergicamente: il Silk Road Fund (SRF) è legato alla PBoC, la Export-Import Bank of China (EBC) e la China Development Bank (CDB) hanno sviluppato degli schemi di credito agevolato per la BRI e, insieme alla European Investment Bank (EIB), sono alcune delle istituzioni finanziarie dietro all’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), a cui hanno aderito quasi tutti gli stati europei. Dette banche interagiranno con altre istituzioni finanziarie, come la New Development Bank dei BRICS, ma anche la World Bank.
Nell’ambito della BRI gli investimenti cinesi in Eurasia hanno già superato quota 50 miliardi ed hanno contribuito a creare 56 zone di sviluppo economico in 20 paesi, di cui 14 nel Sudest asiatico; complessivamente nel 2016 le compagnie cinesi si sono aggiudicate 126 miliardi di contratti in 61 paesi (+36% su base annua).
E’ importante infine ricordare la firma nel 2015 del memorandum EU-China sulla BRI, per sviluppare sinergie tra diversi piani di investimento, come quelle tra SRF e EFSI. La Cina ha anche accettato di contribuire al piano di investimenti europei di 315 miliardi [2].
Ovviamente più si sviluppa la BRI e maggiore sarà la necessità di sicurezza, ovvero di sistemi di controllo che proteggano le nuove interconnessioni (al riguardo già si vedono sviluppi in Algeria – Cherchel – Dijbouti, Srilanka e Pakistan).
I problemi principali
– Geopolitici: i rapporti controversi con l’India rispetto al ruolo del Pakistan; le guerre in Afghanistan e Medioriente e le pressioni esercitate in questi contesti dal sistema US-Nato. Tuttavia, i corridoi evitano almeno in parte le aree più calde.
– Strategici: i piani di singoli stati o imprese non trovano spesso riscontro nella strategia dell’UE, pertanto il nostro potere negoziale risulta penalizzato dalle debolezze strategiche europee rispetto alla BRI.
– Procedurali: cominciano a emergere conflitti tra operazioni cinesi e impianto regolamentare europeo sugli investimenti (bandi di gara aperti; standard ambientali e condizioni di lavoro). Emblematico al momento è stato il blocco della ferrovia Belgrado-Budapest.
In conclusione è possibile asserire che un maggiore coinvolgimento nella BRI consentirebbe di:
– Integrare le insufficienti risorse al livello europeo con quelle cinesi
– Aumentare le esportazioni verso l’Asia
– Favorire lo sviluppo delle regioni più arretrate
– Garantire delle relazioni di mutuo beneficio e quindi favorevoli a rapporti pacifici
-Offrire una complessa, ma promettente, alternativa alla guerra….
Alcuni riferimenti per approfondire
C.M. Brugier, “The EU’s trade strategy towards China: lessons for an effective turn”, in Asia Europe Journal, (2017)15: 199-212.
EU China Trade – figures http://ec.europa.eu/trade/policy/countries-and-regions/countries/china/
NDRC (National Development and Reform Commission), Ministry of Foreign Affairs, and Ministry of Commerce of the People’s Republic of China, with State Council authorization, Vision and actions on jointly building Belt and Road, March 2015.
Xi Jinping Speech, The Belt and Road Forum for International Cooperation, Maggio 2017.
Xieshu Wang, Joel Ruet, Xavier Richet. “One Belt One Road and the reconfiguration of China-EU relations”, ISPI REPORT CHINA 2017”, Belt and Road: A game changer, chapter 2, 2017.
ICE http://mefite.ice.it/CENWeb/ICE/News/ICENews.aspx?cod=88843&Paese=720&idPaese=720
Note
1 Ph.D, professore associato di Geografia (ASN) e docente internazionale all’Italian International Institute Lorenzo de’ Medici. Insegna Global Financial Markets, China’s Development and Global Shift, Globalization and Social Change e War and Media. Ha insegnato anche a Città del Messico, Monterrey e Beijing, ove continua a tenere collaborazioni accademiche. Tra i suoi libri, Il socialismo prospero: saggi sulla via cinese, Milano 2017; Geofinanza e geopolitica, Milano 2016; Mutamento del sistema-mondo: per una geografia dell’ascesa cinese, Roma 2009; Gli spazi della globalizzazione, Reggio Emilia 2004.
2 Nel 2016 la Cina è inoltre diventata un membro della EBRD e la EIB ha aperto un ufficio a Beijing.
La nuova via della seta come proposta strategica di un mondo multipolare
di Fabio Massimo Parenti[1]
Intervento presentato al IV Forum «Cina e Ue. I nodi politici ed economici nell’orizzonte della “nuova via della seta” e di una “nuova mondializzazione”», Roma, 13 ottobre 2017.
Modelli a confronto per una scelta strategica
Nell’attuale contesto internazionale, i soggetti pubblici e privati di varie potenze statuali si trovano ancora una volta di fronte a scelte strategiche fondamentali, almeno nella misura in cui si assuma l’effettivo dispiegarsi di un processo di transizione da un mondo unipolare ad uno multipolare. Qui esaminiamo un caso emblematico: il significato e l’influenza della Belt and Road Initiative (BRI) nella ridefinizione dei rapporti tra Europa ed Asia e quindi l’urgenza europea di decidere se e come ricollocarsi nella geopolitica mondiale. L’Europa, il Mediterraneo e l’Italia possono decidere di preservare la propria posizione geopolitica, rimanendo sotto prevalente influenza US-Nato, oppure guardare ed agire a favore di un’integrazione eurasiatica. Con focus sulla Cina. Più precisamente, da una parte vi è ciò che conosciamo fin troppo bene, ovvero un modello politico centrato su finanza speculativa (al cuore della crisi economico-sociale che continuiamo a vivere) e sul militarismo (politiche economiche ed estere condizionate dall’interventismo statunitense) che presuppone una semi-autonomia dell’Europa, in quanto fortemente subordinata alle strategie di dominio statunitensi. Da un’altra parte, invece, emerge con chiarezza un modello di cooperazione commerciale, finanziaria e politica volto all’interconnessione, all’innovazione e, in ultima analisi, a creare condizioni materiali di sviluppo diffuso e di mutuo vantaggio. In altre parole: da un lato l’idea di conservare le istituzioni e i relativi rapporti di forza risalenti alla fine della seconda guerra mondiale, ovvero un ordine mondiale caratterizzato da “cambi di regime” e militarizzazione spinta del mondo; dall’altro la possibilità di percorrere una strada di riforma costante, caratterizzata da attività finanziarie al servizio dell’economia reale e da un ordine geopolitico multipolare e potenzialmente più pacifico… Si tratta di una scelta strategica tra la via delle armi e la via della seta, parafrasando il titolo di un recente dibattito livornese.
In questo breve intervento cercherò di delineare la genealogia e le ragioni della BRI (perché?) e alcuni elementi che la caratterizzano (cos’è), per concludere infine con alcuni punti di sintesi su problemi e vantaggi inerenti a questa iniziativa.
La concretezza della BRI sta nelle sue origini
Le strategie cinesi degli ultimi 20 anni hanno creato le condizioni affinché la BRI fosse un progetto realistico ed appetibile. Mi riferisco alla go west e go abroad strategy, quasi simultanee, complementari, ma differenti… La prima si è dispiegata dalla fine degli anni Novanta a oggi, favorendo lo sviluppo della Cina interna e quindi la interconnessione nazionale e coi paesi vicini, mentre la seconda, dal 2000 a oggi, ha garantito il sostegno agli investimenti cinesi all’estero, operati dai campioni nazionali privati e da quelli statali. La BRI è dunque una conseguenza dei successi ottenuti negli anni passati e molti investimenti, che oggi potremmo definire legati alla BRI, sono in realtà avvenuti prima del suo lancio ufficiale nel 2013 (si pensi alla ferrovia Chongqing-Duisburg o al Pireo).
In queste prime considerazioni emerge una differenza culturale e politica sostanziale con la più recente tradizione europea: l’Europa lancia idee (fiscali, ambientali, bancarie, anticorruzione, di difesa ecc.) che risultano spesso inibite dal malgoverno, dalla subordinazione agli Usa, oppure dalla scarsa fattibilità, mentre al contrario le iniziative cinesi nascono sempre dallo studio e dalla conoscenza della realtà, coerentemente con la migliore tradizione marxiana. Con la BRI il presidente Xi Jinping prosegue dunque ciò che hanno preparato altre generazioni, promuovendo continuità nel cambiamento ed innovazione.
L’attrattività della BRI sta nei vantaggi reciproci, economico-politici
Contestualmente al più recente sviluppo cinese ed alle sue relazioni con l’Europa, giova ricordare che negli ultimi 15 anni i commerci e gli investimenti sono cresciuti costantemente in entrambe le direzioni, soprattutto dagli anni della crisi. Parliamo di macchinari, trasporti, alimenti e materie prime, principali prodotti dell’interscambio Cina-UE (quasi raddoppiato in sei anni, raggiungendo 550 miliardi di dollari). La Cina è così divenuta il secondo partner commerciale europeo, mentre l’UE è il primo partner cinese.
Benché l’Europa si trovi in una condizione di deficit commerciale con la Cina, è anche vero che ha registrato importanti surplus sia nei servizi che nello stock degli investimenti. Guardando a più anni, si può inoltre notare che anche l’export complessivo europeo sta aumentando costantemente e c’è una tendenza al riequilibrio nelle rispettive bilance dei pagamenti.
Se ci soffermiamo sull’implementazione della BRI, è evidente che vi sono ancora enormi potenzialità per gli investimenti cinesi in Europa – e viceversa – divenuti sempre più articolati geograficamente e differenziati settorialmente (infrastrutture, turismo, calcio, telefonia ecc.). Ne abbiamo di vari tipi: specializzati (ad esempio, Huawei e Lenovo) e diversificati (come Fosun o Wanda), in attività di ricerca e sviluppo e nell’organizzazione di forum accademici, scientifici e culturali. C’è anche complementarietà tra i piani nazionali cinesi ed europei per la connettività ed i trasporti, come emerge ad esempio dal raffronto BRI-TENT.
Dal punto di vista cinese, gli investimenti in Europa sono volti in generale alla ricerca di know how e all’apprendimento di nuove esperienze gestionali. La Cina si muove per macro-aree e singoli paesi, come dimostra il piano di cooperazione regionale Central Eastern Europe 16+1, avviato dal governo cinese sin dal 2012, oppure la crescente attenzione strategica verso il Mediterraneo. Nel primo caso prevalgono green field investments, ovvero in nuove attività produttive (filiali, nuovi impianti ecc.), mentre nel secondo caso uno degli obiettivi principali è quello di acquisire asset strategici, alla luce delle politiche di privatizzazione portate avanti negli ultimi anni e della crisi creditizia. Tramite queste operazioni, la Cina tenta di esercitare anche una maggiore influenza politica su una serie di questioni che considera cruciali (si pensi al Tibet o al MES).
Cos’è la BRI? Come si presenta?
Asia-Europa-Africa sono i tre continenti interessati dalla BRI. L’ambizioso progetto cinese è composto da sei corridoi terrestri ed uno marittimo e mira a favorire una maggiore integrazione euroasiatica – e solo in parte africana – coinvolgendo circa 65 paesi, ovvero il 70% della popolazione mondiale. I progetti sono numerosissimi e riguardano strade, porti, ponti, ferrovie ecc. Pensiamo al nuovo impianto termoelettrico in SriLlanka, al porto di Gwadar, all’autostrada che collega la regione del Xinjiang al Pakistan, ai collegamenti con il Kazakistan e al suo hub strategico di Khorgos. Per non parlare delle connessioni con varie città europee (Duisburg, Hamburg, Varsavia, Lodz, Madrid, Parigi, Praga, Lione, ecc.).
Di fronte a questo quadro è importante porsi alcune domande: come è possibile guidare e realizzare questa iniziativa di portata mondiale? Chi e come gestisce i complessi investimenti previsti o già effettuati? Secondo tradizione, le autorità cinesi hanno ben pensato di sviluppare dapprima gli strumenti a sostegno dei nuovi piani di investimento, dando vita ad un’architettura istituzionale multilaterale che va articolandosi e consolidandosi nel tempo. Vi sono ad esempio alcune banche statali, fondi ed istituzioni di investimento che lavorano sinergicamente: il Silk Road Fund (SRF) è legato alla PBoC, la Export-Import Bank of China (EBC) e la China Development Bank (CDB) hanno sviluppato degli schemi di credito agevolato per la BRI e, insieme alla European Investment Bank (EIB), sono alcune delle istituzioni finanziarie dietro all’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), a cui hanno aderito quasi tutti gli stati europei. Dette banche interagiranno con altre istituzioni finanziarie, come la New Development Bank dei BRICS, ma anche la World Bank.
Nell’ambito della BRI gli investimenti cinesi in Eurasia hanno già superato quota 50 miliardi ed hanno contribuito a creare 56 zone di sviluppo economico in 20 paesi, di cui 14 nel Sudest asiatico; complessivamente nel 2016 le compagnie cinesi si sono aggiudicate 126 miliardi di contratti in 61 paesi (+36% su base annua).
E’ importante infine ricordare la firma nel 2015 del memorandum EU-China sulla BRI, per sviluppare sinergie tra diversi piani di investimento, come quelle tra SRF e EFSI. La Cina ha anche accettato di contribuire al piano di investimenti europei di 315 miliardi[2].
Ovviamente più si sviluppa la BRI e maggiore sarà la necessità di sicurezza, ovvero di sistemi di controllo che proteggano le nuove interconnessioni (al riguardo già si vedono sviluppi in Algeria – Cherchel – Dijbouti, Srilanka e Pakistan).
I problemi principali
· Geopolitici: i rapporti controversi con l’India rispetto al ruolo del Pakistan; le guerre in Afghanistan e Medioriente e le pressioni esercitate in questi contesti dal s
· istema US-Nato. Tuttavia, i corridoi evitano almeno in parte le aree più calde.
· Strategici: i piani di singoli stati o imprese non trovano spesso riscontro nella strategia dell’UE, pertanto il nostro potere negoziale risulta penalizzato dalle debolezze strategiche europee rispetto alla BRI.
· Procedurali: cominciano a emergere conflitti tra operazioni cinesi e impianto regolamentare europeo sugli investimenti (bandi di gara aperti; standard ambientali e condizioni di lavoro). Emblematico al momento è stato il blocco della ferrovia Belgrado-Budapest.
In conclusione è possibile asserire che un maggiore coinvolgimento nella BRI consentirebbe di:
· Integrare le insufficienti risorse al livello europeo con quelle cinesi
· Aumentare le esportazioni verso l’Asia
· Favorire lo sviluppo delle regioni più arretrate
· Garantire delle relazioni di mutuo beneficio e quindi favorevoli a rapporti pacifici
· Offrire una complessa, ma promettente, alternativa alla guerra….
Alcuni riferimenti per approfondire
· C.M. Brugier, “The EU’s trade strategy towards China: lessons for an effective turn”, in Asia Europe Journal, (2017)15: 199-212.
· EU China Trade – figures
http://ec.europa.eu/trade/policy/countries-and-regions/countries/china/
· NDRC (National Development and Reform Commission), Ministry of Foreign Affairs, and Ministry of Commerce of the People’s Republic of China, with State Council authorization, Vision and actions on jointly building Belt and Road, March 2015.
· Xi Jinping Speech, The Belt and Road Forum for International Cooperation, Maggio 2017.
· Xieshu Wang, Joel Ruet, Xavier Richet. “One Belt One Road and the reconfiguration of China-EU relations”, ISPI REPORT CHINA 2017”, Belt and Road: A game changer, chapter 2, 2017.
· ICE http://mefite.ice.it/CENWeb/ICE/News/ICENews.aspx?cod=88843&Paese=720&idPaese=720
[1] Ph.D, professore associato di Geografia (ASN) e docente internazionale all’Italian International Institute Lorenzo de’ Medici. Insegna Global Financial Markets, China’s Development and Global Shift, Globalization and Social Change e War and Media. Ha insegnato anche a Città del Messico, Monterrey e Beijing, ove continua a tenere collaborazioni accademiche. Tra i suoi libri, Il socialismo prospero: saggi sulla via cinese, Milano 2017; Geofinanza e geopolitica, Milano 2016; Mutamento del sistema-mondo: per una geografia dell’ascesa cinese, Roma 2009; Gli spazi della globalizzazione, Reggio Emilia 2004.
[2] Nel 2016 la Cina è inoltre diventata un membro della EBRD e la EIB ha aperto un ufficio a Beijing.