La guerra cambia il mondo

Editoriale di marx21.it

di Francesco Maringiò

In un precedente editoriale di marx21.it abbiamo fatto riferimento al pensiero strategico cinese espresso da Qiao Liang e Wang Xiangsui ed all’uso della guerra come strumento per arrestare gli investimenti di capitali in una data regione e dirottarli verso i mercati americani. Uno dei saggi più famosi del generale Qiao è stato recentemente pubblicato in Italia su iniziativa di Fabio Mini, generale di corpo d’armata e commentatore di questioni strategiche e militari, che proprio ieri ha affidato alle colonne del Fatto Quotidiano un importante contributo dal titolo eloquente: “Biden e la dittatura del dollaro”. Quanto emerge da questo articolo, così come da quelli che dall’inizio del conflitto vengono pubblicati su questo sito, aiuta ad inquadrare in una prospettiva storica la battaglia effettiva tra Ucraina e Russia, che ci parla delle doglie di un mondo nuovo che sta lottando per venire alla luce.

Partiamo da un punto: nel breve periodo gli Usa stanno conseguendo una vittoria significativa da tutta questa situazione. I capitali in fuga dall’Ucraina (e soprattutto dalla Russia) vengono attratti dagli asset rifugio statunitensi ed i paesi Nato si sono impegnati ad acquistare GNL statunitense via nave (nonostante non potranno costruire una sufficiente capacità portuale prima del 2024) ed armi da inviare all’Ucraina prodotti dall’apparato militare ed industriale americano. Il costo dell’energia e quello dei generi alimentari continuano a crescere in modo esponenziale e questo spingerà un’inflazione molto sostenuta che rafforzerà ulteriormente il dollaro rispetto all’euro. Da questa prospettiva, quindi, gli Stati Uniti stanno conseguendo il risultato geopolitico di separare il continente europeo, scavando un solco tra l’Ue e la Russia e stanno incassando un successo economico perché consolidano la propria posizione, soprattutto a scapito dell’Euro. La domanda pertanto da porsi è: cosa accadrà nel lungo periodo? Le mosse ispirate dai falchi dell’Amministrazione americana conseguiranno anche una vittoria strategica?

Mettiamo in fila alcune date analizzate dall’articolo del generale Mini, corroborandole con altre informazioni.

1944: a Bretton Woods vengono poste le basi per un sistema giuridico capace di regolare e controllare la politica monetaria internazionale, fissando il Dollaro e l’oro come riserve globali.

1971: il presidente Nixon approva una legge che sospende l’obbligo per la Federal Reserve di convertire dollari in oro al rapporto fissato a Bretton Woods. È la fine del gold standard, ma il Dollaro resta la moneta di riferimento degli scambi internazionali.

1974: dopo un primo esperimento con la sola Arabia Saudita, tutte le nazioni OPEC accettano di negoziare le proprie forniture di petrolio esclusivamente in dollari, in cambio di protezione militare da parte degli Usa. Questo evento porta gli Usa a raggiungere una posizione di vantaggio sull’intero sistema finanziario ed economico globale: ogni paese che desidera acquistare petrolio è costretto prima a cambiare la propria valuta nazionale in dollari. Ma soprattutto, gli Usa si auto-assegnano il potere di infliggere sanzioni in tutto il mondo sulla base del “diritto” di giurisdizione su ogni commercio denominato in dollari.

All’inizio degli anni 2000 alcuni paesi produttori cercano di mettere in discussione questo principio: Fabio Mini ricorda il tentativo di Saddam Hussein e di Mu’ammar Gheddafi di farsi pagare in Euro (e non più in dollari) il proprio petrolio e della fine che hanno fatto. Potremmo aggiungere altri casi come il Venezuela e l’Iran.

2008: iniziano le prime sanzioni alla Russia volute dagli Stati Uniti, che si rafforzeranno progressivamente nel 2014 e nel 2022.

2012: attenzione a questa data, perché a partire dal 2012 il portafoglio cinese (pubblico e privato) negli strumenti finanziari (azioni ed obbligazioni) americani comincia progressivamente a calare dopo un periodo di costante crescita. Il messaggio del 2008 è stato recepito forte a chiaro a Pechino: nessuno è al riparo dalle rappresaglie finanziarie, che possono colpirti molto prima e molto più velocemente di quelle militari. Guardiamo i dati: nel 2012 la quota cinese (relativa ai detentori stranieri) del debito pubblico Usa era il 12%, nel 2021 era scesa al 5,6%.

Siamo giunti a febbraio 2022. Due giorni dopo l’inizio delle operazioni militari da parte dei russi gli Stati Uniti hanno ordinato il sequestro delle riserve sovrane in valuta estera (Euro, Dollaro, US Treasury) appartenenti alla Banca Centrale russa e detenute nelle banche Occidentali. Ma c’è di più: è stata depositata una proposta dei senatori americani di bloccare le riserve d’oro della Russia, che ammonterebbero a 132 miliardi di dollari e la cifra è destinata a salire perché stanno continuando a comprare oro (1). Ma i lingotti sono depositati fisicamente nei forzieri a Mosca, per cui non possono essere sottratti. La proposta è pertanto quella di creare delle sanzioni secondarie: se la Russia userà le sue riserve auree per transazioni commerciali (mettiamo il caso: per acquistare macchinari dall’Italia) ad essere sanzionata sarà l’entità ricevente. A tutto questo, si è aggiunta la scelta di espellere sette banche russe dal sistema SWIFT.

La Russia non è stata a guardare: da un lato ha chiesto il pagamento del gas in rubli per i paesi considerati ostili e dall’altro ha lavorato per la firma dell’accordo tra la Cina e l’Unione economica eurasiatica per progettare un sistema monetario e finanziario indipendente. È il suono delle campane del processo di de-dollarizzazione.

Siamo a nostri giorni. Se le sanzioni e le pressioni finanziarie e militari riusciranno ad imprimere alla guerra un corso inaspettato per la Russia, capace addirittura di agevolare un regime change a Mosca, allora gli Usa alla vittoria di breve periodo ne assommeranno anche una di lungo periodo. Ma se le cose dovessero andare diversamente (come pare di scorgere oltre la nube fumogena dei media mainstream italiani) allora quella che si apre sarà una fase di profondi e radicali cambiamenti, che porteranno alla fine dell’egemonia del dollaro. Tale processo sarà il leviatano per la nascita di un mondo globale veramente multipolare.

È questa la vera battaglia che si sta giocando sul teatro ucraino, non altro. E se attorno all’alleanza tra Russia e Cina si coagulerà un sistema di relazioni di stati sovrani che non useranno più il dollaro per gli scambi nazionali, facendo anche affidamento sulle loro riserve auree e gli immensi giacimenti di materie prime russe, allora la transizione ad un mondo de-dollarizzato sarà molto più rapida di quanto immaginiamo e gli Usa conseguiranno una sconfitta strategica.

In tutta questa partita i paesi europei dell’UE hanno deciso di giocare una partita ancillare agli Usa, assecondando tutte le spinte più oltranziste, nonostante il teatro di battaglia sia proprio nel continente europeo. E Michael Hudson si interroga come ciò sia possibile, dato che in questo quadro l’Europa si trasformerà in una zona morta sul piano economico ed assomiglierà sempre più a Panama ed alla Liberia (2). Il rischio concreto c’è, ma è utile cogliere tutte le sfumature. Nelle ultime settime si è votato in 3 paesi europei: Serbia, Ungheria e Francia. Gli ultimi due appartenenti all’UE ed alla Nato. Non la Serbia, dove si sono avute manifestazioni popolari in solidarietà con la Russia e dove il governo, solo pochi giorni fa, ha acquistato sistemi d’arma cinesi. Ma a parte il peculiare paese balcanico, che non può certo dimenticare l’aggressione subita dalla Nato e dall’Ue ai suoi danni, anche dalle elezioni ungheresi e francesi esce un quadro non del tutto normalizzato. Il primo è un paese che si è sin da subito rifiutato di inviare armi all’Ucraina ed ha accettato la proposta russa di pagare il gas in rubli. Il secondo, che certamente è un paese interno al blocco atlantico, sta giocando però una partita che punta ad una autonomia strategica del continente europeo, per difendersi dal terremoto economico e finanziario che il perdurare della guerra porterà con sé.

È l’Italia il ventre molle di questo processo, con alla guida un governo espressione del cesarismo messo in campo dalle classi dirigenti (più europee che nazionali) e sulla linea più estrema di un bellicismo che non è solo anti-russo, ma profondamente anti-europeo e contrario agli interessi nazionali. È qui che la partita elettorale sarà nevralgica. Sarà bene che se ne accorgano coloro che ragionano di elezioni, dimenticando questi aspetti. Nelle prossime elezioni politiche non si sceglierà un partito o un programma, ma saremo chiamati a scegliere se appoggiamo questo sistema di guerra o se saremo in grado di porre le basi per un suo radicale rovesciamento.

Note