Intervista a Alexander Kateb, sulla fine della dominazione occidentale | “Pagina 12”
Traduzione a cura di Marx21.it
Dove sta il centro del mondo? A Parigi, a Washington, a Londra o a Brasilia e Pechino? Fino a pochi anni fa la risposta era inequivocabile: le tre capitali occidentali erano i nuclei del potere mondiale. Oggi non è più così. Il secolo XXI segna la fine della dominazione occidentale sul resto del mondo e apre una nuova fase storica che l’economista francese Alexander Kateb definisce come “la seconda globalizzazione dominata dai paesi del Sud”. Brasile e Cina hanno un ruolo centrale nella riconfigurazione economica e morale dei centri del potere. In un brillante saggio sul gruppo BRICS, composto da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, Alexander Kateb analizza il modo attraverso cui il centro di gravità si è spostato verso altre zone del mondo e mette l’accento sulla sconfitta del modello neoliberale e delle ideologie neocolonialiste con cui l’Occidente si è appropriato del pianeta. “E’ finita l’era in cui le grandi potenze occidentali potevano decidere da sole sull’avvenire del pianeta”.
La crisi finanziaria, il collasso della Zona Euro e l’intervento del BRICS per salvare l’Europa dimostrano la pertinenza dell’analisi dell’economista francese. Il suo libro, “Le nuove potenze mondiali, perché i BRICS cambiano il mondo”, fa risaltare la “vendetta” di quelli che prima erano considerati “i paria del mondo” nei confronti delle cosiddette democrazie esemplari che oggi soccombono per gli eccessi del sistema finanziario, la corruzione, il debito e il deficit. Professore all’Università di Scienze Politiche di Parigi, direttore dell’ufficio di consulenza e analisi “Competente Finance”, Kateb è uno dei primi studiosi dell’Occidente a osservare la profondità e la dimensione dei cambiamenti del mondo, di cui la stampa occidentale sembra non avere consapevolezza.
D. Il mondo è cambiato. Gli emergenti aiutano oggi le potenze occidentali. E come se il santo aiutasse il diavolo.
R. La crisi finanziaria del 2008 ha accelerato un movimento carsico che risale agli anni 80. Stiamo assistendo alla fine del modello economico dominato dagli Stati Uniti e dai paesi occidentali e all’apparizione di un mondo molto diverso, molto più aperto, con vari poli di potenza. E’ un mondo dove le nazioni non occidentali pesano sempre di più, e domani peseranno in forma sempre più determinante. La Cina sarà la prima potenza mondiale entro dieci anni e entro cinque supererà gli Stati Uniti nella parità di potere d’acquisto. C’è un cambiamento profondo anche per quanto riguarda le abitudini mentali e tutto ciò che abbiamo conosciuto negli ultimi due secoli. Io lo chiamo “la grande convergenza”. I paesi emergenti, che si sono industrializzati più tardi dell’Occidente, assorbono il ritardo e cercano di influenzare i grandi temi del governo mondiale, l’economia, le finanze, l’ambiente, la geopolitica e la sicurezza. Ciò si può spiegare molto bene attraverso la teoria economica: quando un paese si industrializza, tende a equipararsi agli altri paesi. Allora si ha una convergenza. Questa convergenza è stata bloccata per molti anni a causa di un sistema di dominazione politica quale è il colonialismo. Quando questi paesi hanno avuto i mezzi per risolvere i problemi interni, in parte grazie al fatto che lo Stato ha svolto un ruolo molto forte – tanto in Cina, in India, in Russia e in Brasile -, le dinamiche hanno cominciato a funzionare. La Cina è oggi la locomotiva di tutta l’economia mondiale.
D. Lei rileva qualcosa di molto forte quando dice che la situazione attuale pone termine a due secoli di dominazione occidentale.
R. Per due secoli, l’Occidente ha creduto di dominare il mondo. All’inizio è stata l’Inghilterra, il paese dove è nata la Rivoluzione Industriale; poi sono arrivati gli Stati Uniti, che hanno rimpiazzato la Gran Bretagna dopo la Prima e la Seconda Guerra Mondiale. Finalmente, oggi ci rendiamo conto che è stato solo un momento nella scala della storia. Ciò che è stato chiamato il momento dell’Occidente sta terminando grazie all’avanzata della Cina. Occorre ricordare che, fino al secolo XVIII, la Cina è stata la prima economia mondiale. Possiamo dire che stiamo assistendo a una svolta molto grande e anche, se collochiamo il fenomeno attuale sul piano di un’ampia estensione storica, il ritorno alla situazione di due secoli fa.
D. L’influenza e il peso dei paesi emergenti oltrepassa l’ambito economico. Lei osserva che tale influenza si estende a tutti i campi.
R. Certamente. Accade che l’economia rappresenta il pilastro: se non esiste un’economia poderosa, non è possibile sviluppare l’indipendenza e l’influenza. Ma il peso demografico e territoriale di questi paesi, il loro impatto sull’ambiente mondiale, sulle risorse naturali, li rende indispensabili nel gioco dell’economia mondiale, e offre loro la legittimità a operare in altri campi. Questi paesi proiettano la loro potenza tanto a livello regionale che mondiale. Si osservi la particolarità del Brasile: per due secoli, il Brasile ha vissuto ripiegato su sé stesso, ma a partire dagli anni 70 e, soprattutto con il ritorno della democrazia, il Brasile esprime la volontà di proporsi come modello di sviluppo del Sud.
D. Lei avanza un’idea innovativa quando scrive che stiamo entrando nella fase 2 della globalizzazione, una globalizzazione dominata dal Sud.
R. Questa globalizzazione 2 è diversa dalla prima perché i paesi del Sud non hanno la stessa storia dei paesi del Nord, non hanno vissuto gli stessi traumi. I paesi del Sud hanno appreso la lezione. Per questo oggi la sensibilità di questi paesi sulle questioni mondiali, l’ambiente, il commercio, insomma tutto quanto attenga ai temi strategici, li porta ad analizzare le cose in forma molto diversa. I paesi del Sud hanno un’altra sensibilità e con questa trasformano le regole del gioco. E’ quello che il Brasile ha voluto fare nel 2003 durante la Conferenza di Cancun sull’ambiente; è quello che sta facendo la Cina ora quando propone l’uscita dal dollaro e la creazione di una moneta unica internazionale. Sono segnali del fatto che questi paesi cercano di cambiare la natura profonda degli scambi mondiali. Si tratta di una visione che anela ad alleare gli interessi dello sviluppo con gli interessi commerciali. Si tratta di una logica molto diversa da quella che abbiamo constatato in tutti questi anni di neoliberalismo trionfante, emersa con il Washington Consensus. L’ultima manifestazione di questa visione neoliberale è stata l’Organizzazione Mondiale del Commercio. L’OMC ha liquidato ogni trattamento preferenziale per i paesi in via di sviluppo che sono entrati nell’organismo e hanno finito per cadere nella loro trappola.
D. Come si spiega allora l’aiuto che i paesi del BRICS stanno per fornire all’Europa?
R. I paesi del BRICS sono in una posizione di forza, anche sul piano simbolico: godono ora di una salute economica molto migliore degli Stati Uniti o dell’Europa. Sono questi paesi oggi ad impartire la lezione, mentre ancora pochi anni fa venivano considerati i paria dell’economia mondiale. Godono allora di una grande legittimità. Certamente, il gruppo BRICS è disposto ad aiutare l’Europa anche perché ciò aiuta il gruppo. Aiutando l’Europa, sostengono le loro economie. Non sono ancora sufficientemente forti per trascurare i paesi occidentali. I paesi del BRICS stanno preparando il loro posto nel nuovo ordine mondiale che si sta organizzando.
D. C’è una profonda ironia in tutto ciò. Con l’eccezione della Cina, i paesi del BRICS sono stati i più indebitati e ora sono quelli che appaiono come i salvatori di un sistema internazionale che prima li aveva asfissiati.
R. E’ così, c’è in questo la grande ironia della storia, e allo stesso tempo il riflesso del vizio che sta alla base del funzionamento dell’azione del Fondo Monetario Internazionale. La filosofia iniziale del FMI consisteva nell’aiutare i paesi a correggere la loro bilancia dei pagamenti e a recuperare la stabilità senza per questo sconvolgere la loro struttura economica. Ma, negli anni 80, il FMI è cambiato e si è trasformato nel grande gendarme che conosciamo, salvo che, ad esempio, per gli Stati Uniti, che hanno accumulato deficit senza che il Fondo muovesse un dito. Ma è stato grazie alla crisi che i paesi emergenti sono riusciti a prendere le distanze dal FMI e ad essere indipendenti, nello stesso momento in cui i paesi occidentali continuavano ad affondare. Il presidente argentino Néstor Kirchner ha compiuto un gesto molto forte quando ha cancellato il debito con il FMI. Nella stessa epoca, il presidente russo, Vladimir Putin, ha restituito in anticipo il denaro al Fondo e altri paesi emergenti hanno fatto la stessa cosa per liberarsi dalle tenaglie del FMI. La decisione di Kirchner è stata tanto più coraggiosa se teniamo conto del fatto che, per anni, il FMI ha avuto nelle mani l’Argentina e ciò stava conducendo il paese sempre più su una strada senza ritorno. La fuga in elicottero di Fernando de la Rua non è solo il simbolo della sconfitta di un paese, ma anche di un sistema di pensiero. Kirchner ha avuto l’audacia di segnare simbolicamente la rottura con la vecchia ideologia. Tutti i paesi che hanno preso le distanze dal FMI hanno conosciuto in seguito un solido periodo di crescita.
D. Kirchner in Argentina, Lula in Brasile… c’è stata una convergenza regionale storica.
R. Lula ha partecipato a tutte le lotte della sinistra brasiliana contro la dittatura, e quando è diventato presidente ha operato in maniera responsabile: non ha rotto con tutti gli accordi internazionali, ha rimborsato il debito con il FMI e allo stesso tempo ha conservato i benefici del periodo di stabilizzazione. Lula ha capito che se il Brasile voleva proiettarsi verso il futuro non doveva commettere gli errori del passato, ossia, la crisi del debito provocata dalla dittatura e tutta la dipendenza dal FMI che ne è seguita. Lula ha provato che si poteva conciliare sviluppo economico e democrazia.