Come cambia il mondo. Editoriale

di Marco Pondrelli

Il cosiddetto medioriente rimane una delle zone più ‘calde’ del mondo, segnata non solo dall’eterna lotta del popolo palestinese per il diritto a un proprio Stato ma anche dalla guerra in Yemen, da quella (mai finita) in Siria, dalle tensioni in Libano e da altri piccoli e grandi conflitti.

Il recente accordo fra Iran e Arabia Saudita avvenuto grazie all’opera di mediazione cinese è quindi un segnale molto importante che può contribuire alla costruzione della pace. Generalmente si presenta questa regione e il mondo arabo come divisi dallo scontro fra sunniti e sciiti. È una considerazione giusta solo se si considera questa come una divisione politica e non religiosa o addirittura tribale.

L’Iran dall’avvio della guerra infinita degli Stati Uniti ha rafforzato la propria posizione nell’area, si è rafforzata in questi anni quella che comunemente è definita la mezzaluna sciita composta oltre che dall’Iran, dall’Iraq, dalla Siria e dal Libano. Per cogliere la valenza politica della contrapposizione fra sciiti e sunniti è interessante evidenziare il ruolo che in Libano a Hezbollah, che ha assunto un ruolo nazionale e non si limita a rappresentare gli sciiti libanesi.

L’Arabia Saudita guida il campo sunnita. Non è un mistero che questo Paese (come scritto nelle mail della Clinton pubblicate da Wikileaks) abbia finanziato i terroristi dell’isis in Siria, dopo averlo fatto anche in Caucaso in funzione antirussa. L’attacco alla Siria era diretto a indebolire l’Iran, così come la guerra in Yemen vede confrontarsi indirettamente i due paesi.

In questo quadro di scontro Israele ha individuato l’Iran come principale nemico. La paura di Tel Aviv è che l’Iran riesca a svolgere un ruolo egemone nell’area, per impedire questo rafforza i suoi nemici creando quello che potremmo definire uno ‘stallo guerreggiato’ che, nelle idee di Israele, garantisce lo status quo.

Gli accordi di Abramo erano il tentativo, in parte riuscito, di incunearsi nel campo avversario aprendo un’interlocuzione con alcuni stati sunniti isolando l’Iran ed emarginando la lotta del popolo palestinese. L’obiettivo finale era quello di un trattato con i sauditi. Il recente accordo fa saltare i progetti di Israele ma anche degli Stati Uniti, che condividono le preoccupazioni verso il ruolo iraniano. Il rapporto dell’Iran con Russia e Cina era già guardato con preoccupazione da Brzezinski che vedeva in esso un pericoloso asse anti-statunitense.

Premettiamo che sostenere il ruolo diplomatico della Cina non vuole dire difendere regimi, come quello saudita, che non riconoscono i diritti fondamentali alla propria popolazione partendo dalle donne per arrivare alla condanna dell’omosessualità (ci domandiamo come mai una certa sinistra sempre prodiga di manifestazioni sotto l’ambasciata russa non abbia mai trovato il tempo di protestare contro quella saudita). Noi siamo convinti che costruire un contesto internazionale di pace possa contribuire al progresso sociale e democratico interno ai singoli paesi.

L’Iran sta da tempo saldando il proprio rapporto con Russia e Cina a partire dalla cooperazione interna allo SCO. Dall’altra parte anche i sauditi hanno aperto un canale di collaborazione con la Cina. L’uomo forte di Riyad, bin Salam, ha lanciato la sua Vision 2030 che vuole ridurre la dipendenza del suo Paese dal petrolio, alla privatizzazione di una quota di Aramco, la compagnia nazionale degli idrocarburi, dovrebbe accompagnarsi lo sviluppo delle medie e piccolo imprese. A questo tentativo saudita si accompagna una minore presenza statunitense nella regione e una maggiore presenza cinese. Gli USA sono diventati un Paese esportatore di petrolio, quindi lo storico accordo petrolio in cambio di protezione militare entra in crisi, dall’altra parte la Cina continua a importarlo esportando manufatti, per i sauditi il rapporto con Pechino diventa quindi fondamentale per rafforzare l’economia.

Più in generale se gli Stati Uniti e Israele vedono nell’instabilità la soluzione migliore per questa regione, la Cina grazie alla propria forza economica e commerciale può contribuire invece alla costruzione della stabilità e della pace. Negli ultimi anni al disimpegno statunitense si è accompagnato l’aumento degli investimenti cinesi, non ultimo anche il sostegno dato alla lotta contro il covid trasformando gli Emirati Arabi in un hub dei vaccini cinesi.

Questo nuovo protagonismo cinese sarebbe stato inimmaginabile pochi anni fa, il peso economico (ma anche militare) cinese sta crescendo e quando ci si propone come mediatori bisogna poter mettere sul tavolo diplomatico non solo idee ma anche soldi ed affari. Il ravvio dei dialogo fra Iran e Arabia Saudita è un primo passo per stabilizzare l’area, se la strada intrapresa dovesse avere un seguito anche il problema palestinese potrebbe trovare una risposta. È questo un altro tassello del nuovo ordine multipolare che sta nascendo e sotto questa luce anche il lavoro diplomatico per risolvere il conflitto ucraino va considerato con attenzione.

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