
di Francesco Maringiò
La Conferenza sulla Sicurezza di Monaco si conferma un osservatorio privilegiato degli equilibri mondiali, quest’anno caratterizzato da visioni del futuro particolarmente contrastanti. Il contesto è segnato dal conflitto ucraino e da un clima di tensione internazionale, con il forum che ha assunto una rilevanza che trascende le pure questioni di sicurezza.
L’evento ha attirato particolare attenzione anche per la recente telefonata tra Trump e Putin sulla questione ucraina. Con la partecipazione di numerosi ministri della difesa ed esponenti governativi di rilievo, il forum sembrava poter offrire l’opportunità per progressi diplomatici sulla crisi.
Tuttavia, già dal primo giorno, gli interventi – in particolare quelli di J.D. Vance, von der Leyen e Wang Yi – hanno evidenziato divergenze di visione estremamente profonde.
Partiamo subito da un punto. Il discorso del vice presidente americano è sembrato ai principali commentatori nostrani un attacco diretto e a testa bassa contro l’Europa, e di ripiegamento isolazionista dell’America trumpiana.
Personalmente la ritengo una interpretazione dei fatti poco convincente. Quando il vice presidente Usa ha esortato i paesi europei a concentrarsi principalmente sulle “minacce interne” lo ha fatto per una doppia ragione. La prima, fondamentale, è che l’Europa (quella occidentale dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, poi estesa con l’allargamento NATO) è parte della sfera di influenza americana, per cui per l’Amministrazione Trump concentrarsi sulle “questioni interne”, significa riscrivere anche i rapporti interni alla sua area di influenza. Operazione resa necessaria di fronte ai grandi cambiamenti mondiali che stanno ridisegnando gli equilibri internazionali e, conseguentemente, il ruolo degli Usa nel mondo.
In secondo luogo, l’intervento di J.D. Vance ha affrontato deliberatamente temi sensibili come libertà religiosa, migrazioni e valori democratici, che gli USA considerano fondamentali per la propria visione politica e sociale. L’obiettivo dichiarato è allineare la sfera politica europea ai valori centrali dell’amministrazione americana, in una manovra che rivela ambizioni ben più ampie di un semplice distacco. Lungi dall’essere un segnale di ripiegamento sui dossier domestici, il discorso si configura quindi come una vera e propria ipoteca sul futuro politico europeo, delineando una strategia di influenza più assertiva e diretta.
E qui vengono le note dolenti, perché la presidente della Commissione europea ha tenuto un discorso inquietante, nel corso del quale ha presentato un piano per massicci investimenti militari, sospensione dei vincoli di bilancio per le spese della difesa e una rinnovata partnership transatlantica. Una visione che prefigura come inevitabile un futuro di confronto e competizione militare nel quale lo spazio europeo diventa la frontiera esterna degli Usa nella sua proiezione di potenza, per realizzare la quale bisogna spingere la spesa militare oltre il 3% del PIL. Di più: c’è l’accettazione di un declino economico e politico europeo, che proprio la guerra ucraina ha innescato con la folle corsa agli armamenti, al sostegno militare e finanziario ed alla guerra del gas che ha avuto una sola vittima sacrificale sul piano internazionale: l’Unione Europea.
Ma è stata la terza voce, quella del ministro degli esteri cinesi Wang Yi, a offrire la vera sorpresa: una proposta di ordine mondiale multipolare basato sulla cooperazione e sullo sviluppo condiviso, che apre all’Europa una via d’uscita dall’apparente inevitabilità della corsa agli armamenti.
È in questo contesto che la proposta cinese emerge come potenzialmente rivoluzionaria. Innanzi tutto perché universalista, dato che parla al mondo nella sua interezza e non si focalizza solo sull’area euro atlantica. Il messaggio principale è che la Cina si propone come una forza costruttiva in un mondo in trasformazione, promuovendo un multipolarismo “equo e ordinato”. Wang Yi ha delineato un approccio fondato su un multilateralismo reale basato sull’uguaglianza tra nazioni, uno sviluppo economico condiviso che non lasci indietro nessuno, e il rispetto del diritto internazionale come base per risolvere le controversie.
Per l’Europa, il messaggio di Monaco è chiaro: esiste un’alternativa alla spirale della militarizzazione. La posta in gioco è alta. Mentre c’è chi spinge per un aumento delle spese militari che graverebbe pesantemente sulle economie nazionali già provate e chi delinea una proposta di un ordine mondiale multipolare, il solo che permetterebbe all’Europa di giocare un ruolo da protagonista in un sistema internazionale più equilibrato e prospero.
La scelta di Monaco potrebbe rivelarsi storica: proseguire sulla strada del riarmo o cogliere l’occasione per un nuovo corso nelle relazioni internazionali. Il futuro dell’Europa, e forse del mondo, passa da qui.
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