di Sergio Ricaldone | da Gramsci Oggi
È passato solo un anno ma sembra che tutti si siano scordati delle motivazioni vere delle rivolte che hanno sconvolto Egitto e Tunisia :la fame e la miseria da terzo mondo di intere popolazioni, la corruzione e la provocatoria ostentazione di ricchezza del potere politico, le spietate e sanguinose repressioni di ogni forma di protesta sociale e politica,l’onnipotenza e l’impunità assoluta degli apparati militari e polizieschi. La stessa Libia, anche se con motivazioni diverse e con esiti ben più disastrosi, sta rientrando in questo calcolato regno del silenzio. A poco più di un anno di distanza dall’inizio delle cosiddette “primavere arabe” si può trarre un primo bilancio e verificare fino a che punto quelle rivolte per il pane, declinate da molti illusionisti come rivoluzioni democratiche colorate di arancione, e incautamente presentate dai media di destra e di sinistra come destinate unicamente alla cacciata dei tiranni (con linciaggio incluso), abbiano risposto alle aspettative popolari. Curioso notare come la fame e i bisogni di massa più elementari espressi dalle rivolte dai disperati senza lavoro e senza terra siano stati invece assorbiti e disciolti nel solito carnet di “diritti umani”, formato esportazione e poi svaniti nel nulla.
Pare che ora anche i media che più si sono spesi a sostegno delle “primavere” di Tunisi, Tripoli e il Cairo avanzino qualche dubbio. Leggiamo su Repubblica A&F del 26 marzo 2012 che “in Libia, Egitto e Tunisia siamo ancora all’anno zero”. Il giudizio è molto soft ma il suo significato e trasparente : i risultati di quelle “primavere” sono catastrofici.
In Egitto, scrive Repubblica, “troppo disastrose sono le condizioni dell’economia, e troppo forte – lo si è visto in occasione della nuova ondata di violenze dello scorso dicembre – è la pressione da parte di una popolazione di 81 milioni di persone, il 40% della quale vive con meno di 2 dollari al giorno”. Più o meno lo stesso discorso vale per la Tunisia.
Le conclusioni di queste due “primavere” le conosciamo. Il potere economico è ancora saldamente nelle mani delle vecchie oligarchie, la sua gestione politica è sempre affidata all’ esercito e polizia, le “libere elezioni” sono state vinte dai partiti islamici sostenuti e foraggiati dai petrodollari sauditi e dagli emirati, le nuove proteste soffocate con la forza. Un esito che sembra essere la versione aggiornata del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa.
Prende corpo a un anno di distanza l’altra faccia e il vero scopo delle “rivoluzioni arabe”. Normalizzata la sponda nordafricana, Washington, Parigi, Londra, insieme ai terroristi nucleari di Tel Aviv e con l’appoggio della complice Lega araba e della Turchia, tengono il mirino puntato e il dito sul grilletto contro gli ultimi nemici medio orientali. Il momento della resa dei conti con Siria e Iran sta arrivando.
A seguire quello che sta succedendo ora in Siria e il crescendo di accuse e di minacce contro il legittimo governo di Damasco sembra di rileggere il preambolo dell’intervento militare Nato contro la Libia. Il che fa supporre che per conoscere il seguito di questa quarta e incompiuta “primavera ” siriana basta riprendere il copione redatto dallo stato maggiore di Bruxelles per sistemare la Libia.
I “diritti umani” sono stati ristabiliti con i soliti metodi in quel di Tripoli : molte città libiche sono state ridotte ad un cumulo di macerie dai 30 mila ordigni esplosivi lanciati dai bombardieri Nato, non si è mai smesso di sparare, torturare e massacrare, la guerra per bande sta dilagando e il seccessionismo tribale sta frantumando un paese faticosamente tenuto insieme dal defunto colonnello:
Nei 215 giorni di bombardamento Nato le cifre esibite dalla grancassa mediatica sono state, come al solito, quelle inventate dagli specialisti del marketing di guerra, esperti nel costruire immani genocidi immaginari a carico del nemico (il modello è sempre Timisoara) per poter vendere come “intervento umanitario” le migliaia di vittime civili sepolte dai bombardieri sotto le macerie delle città libiche.
Dopo averci propinato numeri e misfatti compiuti dai sostenitori del vecchio rais, i pronipoti del pirata Morgan hanno iniziato il saccheggio ancor prima che fosse sparato il colpo alla tempia di Gheddafi.
I grandi petrolieri euroamericani rimasti dietro le quinte fino al giorno del barbaro linciaggio e della cosiddetta “vittoria” contro il “tiranno”, sono improvvisamente usciti allo scoperto per celebrare con cifre da capogiro l’entità del bottino ancora sepolto sotto le sabbie del Sahara libico : la sotto ci sono 43 miliardi di barili di greggio purissimo che attendono di essere estratti.
Se qualcuno avesse ancora dei dubbi su chi ha vinto e chi ha perso la guerra di Libia mediti su quanto è successo giovedì 20 ottobre 2011, poche ore dopo il linciaggio di Gheddafi, al terminale petrolifero di Es- Sider, nei pressi di Sirte : la prima nave carica di petrolio della joint-venture composta dalla libica (?) National Oil Co. e le americane Conoco, Marathon e Amerada, è salpata in pompa magna salutata dalle fanfare verso una destinazione accuratamente selezionata, negli Stati Uniti d’America. A seguire la Chevron, Occidental Petroleum e Exxon. In modo che non ci siano dubbi su chi ha comandato la spedizione della Nato che ha ricolonizzato la Libia.
Non sono molte le guerre ripagate con simili dividendi economici e politici. Non ultimo, quello di avere espulso dalla Libia il più temibile dei competitori, la Cina. Ma siamo sicuri che tutto si concluderà con una equa e tranquilla divisione del bottino ? Oppure sarà l’inizio di una litigiosa querelle simile a quella dei pirati della Tortuga quando arrivava il momento di spartirsi l’oro dei galeoni spagnoli ?
I pretendenti sono tanti, forse troppi. Si è fatto avanti anche il gigante delle strutture di estrazione e ricerca, la texana Halliburton.
Ma il colosso francese Total non sta a guardare e Sarkozy rivendica il preponderante lavoro di killeraggio svolto dai Mirage sulle città costiere libiche.
La britannica BP esige che venga ripagato il lavoro fatto alla guida degli “insorti” dai commandos di sua maestà e, possibilmente rifarsi dei 20 miliardi di dollari richiesti da Washington a risarcimento dei danni provocati in Louisiana dall’ondata nera uscita dalla sua piattaforma nel Golfo del Messico.
E l’ENI ? Ce la farà a mantenere le posizioni di privilegio conquistate ai tempi di Gheddafi ? I commenti sussurrati dai suoi amministratori ci dicono che al di là dei sorrisi e delle strette di mano con il neo quisling di Tripoli, Jalil, si dubita che l’Eni possa spuntarla contro le pressioni visibili e invisibili delle Company di predoni a stelle e strisce sbarcate che ora occupano militarmente i terminali petroliferi.
Svanita l’euforia dei giorni di guerra i capi delle bande mercenarie teleguidate dalla Nato si sono insediate a Tripoli. Ma il tallone di Achille dei bellicosi vincitori è appunto questo : sono troppi. Tra gli “insorti”, ricolonizzati e guidati da un riciclato quisling (cresciuto nello staff del precedente “tiranno”) , c’è di tutto e di più : tribù in competizione armata, camaleonti del vecchio regime, infiltrati di Al Qaeda, emissari dei Fratelli Mussulmani e chissà cos’altro. Ognuno cerca protettori e briciole del banchetto. Chi a Parigi, chi a Londra, ma soprattutto a Washington. Pare però che i nuovi quisling non siano in grado di offrire le garanzie richieste dai nuovi colonizzatori che invece vogliono le spalle coperte e pensano perciò a una forza armata mercenaria fornita dal Quatar, nuova micro potenza mercenaria, diretta e controllata dalla Nato.
Credo che ben presto anche il popolo libico si accorgerà quanto sia salato il prezzo da pagare ai bellicosi e rapaci capi tribù insediati a Tripoli. E siccome la loro vittoria si è compiuta anche lì in nome di Allah, le nuove leggi, anziché ispirarsi alle avanzate letture sociali del Libro Verde di Gheddafi, saranno quelle della sharia in versione saudita i cui precetti coranici, ispirati dai petrodollari, faranno piazza pulita delle conquiste sociali che hanno garantito al popolo libico il più elevato livello di vita di tutta l’Africa.
La libertà e la democrazia esportata a Tripoli rischia di essere molto peggio dei regimi teocratici che stanno spuntando in Tunisia e in Egitto dopo il clamoroso fallimento delle “primavere arabe”.
Sono in molti, anche a sinistra ad avere ingenuamente (?) creduto ad un possibile sbocco positivo di quelle “primavere”. C’è persino chi si è spinto a condividere – sempre in nome dei “diritti umani” – le missioni dei bombardieri Nato sulla Libia.
Note:
Per chi volesse approfondire l’argomento segnaliamo alcune delle pregnanti analisi contenute in documenti e analisi dei Partiti comunisti nonchè commenti pubblicati “on line” da alcuni siti fuori dal coro dei supporter pro Nato.
“I comunisti egiziani non partecipano a un simulacro di elezioni che si propone di legittimare la giunta militare, gli islamisti e le forze controrivoluzionarie”.
www.marx21.it del 16/3/2012
“Libia, l’aurora che non arriva” di Ren Yaqiu, “Quotidiano del Popolo”
www.marx21.it del 26/3/2012
Partito algerino per la democrazia e il socialismo (PADS) Intervento alla conferenza internazionale dei PC di Atene
www.resistenze.org n° 399 del 16/3/2012
“Un anno dopo la rivolta filo imperialista. La Libia sprofonda nel caos” – Articolo di Avante del Partito comunista portoghese
www.marx21.it ripreso da www.resistenze.org n° 398 del 16/3/2012
Partito comunista libanese Intervento alla conferenza internazionale dei PC di Atene
www.resistenze.org. n°394 del 30/1/2012
Partito comunista siriano – Intervento alla conferenza internazionale dei PC di Atene
www.resistenze.org n°394 del 16/3/2012
“Orizzonti egiziani a stelle e strisce” di Samir Amin
su Il Manifesto del 16/6/11, ripreso da – www.lernesto.it del 26/6/2011
“L’esercito mercenario africano di Gheddafi : disinformazione Made in CIA” di Wayne Madison
www.comedonchischiotte.org del 13/4/2011, ripreso da www.lernesto.it
“Una guerra che divide” di Gianpaolo Calchi Novati
su Il Manifesto del 12/4/2011, ripreso da www.lernesto.it