Venti tesi su Siria e Isis, tra terrorismo e imperialismo

di Alessandro Pascale | da lacittafutura.it

Pubblichiamo come contributo alla comprensione della situazione in Medio Oriente

Alcune verità scomode per ricordare il ruolo delle potenze Occidentali (e non solo) nella creazione e nella strumentalizzazione dello Stato Islamico: gli interessi economici, militari e geostrategici di UE, Turchia, Francia, Usa e Arabia Saudita. L’Italia come al solito si pone al servizio di benefici altrui. 

1. Non si può capire la questione dell’ISIS se non collegandola all’interesse strategico che riveste la regione del Medio Oriente per il controllo e la gestione di uno dei bacini mondiali più importanti di riserve di petrolio e di gas naturale. In questo senso è miope qualsiasi analisi della questione che non rimetta al centro del discorso la questione dell’imperialismo occidentale nella regione.

2. L’ISIS non è che l’ultimo tassello di un processo iniziato almeno all’inizio degli anni ’80, quando cioè gli USA iniziarono a sostenere politicamente, militarmente e finanziariamente il fondamentalismo islamico per combattere i Sovietici in Afghanistan. Da allora fiumi di denaro e armi sono finiti per vie dirette o indirette nelle organizzazioni del “Fronte al-Nusra”, dell’“Emirato islamico dell’Iraq e del Levante” e dell’ISIS.

Nel febbraio 2014 Thierry Messain, presidente-fondatore del Rete Voltaire e della conferenza Axis for Peace, denunciava il fatto che in violazione delle risoluzioni 1267 e 1373 del Consiglio di sicurezza, il Congresso degli Stati Uniti avesse votato il finanziamento e l’armamento del Fronte al-Nusra e dell’Emirato islamico dell’Iraq e del Levante, due importanti organizzazioni di Al-Qa’ida e classificate come “terroriste” dalle Nazioni Unite, con una decisione valida fino al 30 settembre 2014. Nello stesso anno d’altronde Hillary Clinton ammetteva candidamente le responsabilità americane nella nascita dell’ISIS: “Abbiamo fallito nel voler creare una guerriglia anti Assad credibile. Era formata da islamisti, da secolaristi, da gente nel mezzo. Il fallimento di questo progetto ha portato all’orrore a cui stiamo assistendo oggi”. Secondo lo stesso Pentagono i “ribelli” siriani che Washington ha addestrato e controllato hanno ricevuto almeno fino all’estate 2015 una “compensazione” che va dai 250 ai 400 dollari al mese per agire come forze delegate americane in Medio Oriente. Reuters riporta che i livelli di pagamento sono stati confermati dal Pentagono e anche che il Segretario alla Difesa Ashton Carter e il Comandante della Marina Elissa Smith hanno ammesso separatamente il fatto che questi “nuovi” terroristi abbiano ricevuto uno stipendio. Il senatore repubblicano USA Paul Rand (candidato alle presidenziali del 2016) ha dichiarato nel maggio 2015: “Isis è sempre più forte perché i falchi nel nostro partito hanno fornito indiscriminatamente armi agli estremisti. Volevano far fuori Assad e bombardare la Siria. Sono stati loro a creare questa gente”. Si può ricordare, peraltro, che l’esponente repubblicano John McCain, ha ammesso candidamente di aver avuto svariati contatti e collegamenti diretti con l’ISIS (abbondano a riguardo le foto con Abu Bakr al Baghdadi datate 2013).

3. Per decenni gli USA e i loro alleati hanno continuato, seppur a fasi alterne, ad “usare” il terrorismo islamico per i loro scopi geopolitici. Se è impossibile (e probabilmente non credibile) dimostrare con prove certe che ogni attentato islamico contro l’Occidente sia stato attuato in collaborazione con la CIA è certo che attentati clamorosi come quello dell’11 settembre 2001 siano stati la scusa perfetta per giustificare l’invasione e occupazione (che prosegue tuttora) di due paesi del Medio Oriente (Iraq e Afghanistan) che non erano allineati con gli interessi degli USA.

4. Occorre altresì ricordare che finora il terrorismo islamico ha colpito con la maggiore durezza in due paesi (Libia e Siria) anch’essi non proni agli interessi dell’Occidente. La differenza nella tenuta di tali governi sta nel fatto che nel secondo caso è stato decisivo il risoluto sostegno militare e politico offerto da altre potenze di primo piano quali Russia e Cina.

5. La Siria non è un paese ricco di risorse energetiche, ma occupa una zona strategica per il passaggio di un gasdotto che, partendo dal Qatar, permetterebbe all’Europa di svincolarsi dalla dipendenza energetica russa. Essendo tale dipendenza il motivo che al momento pone un serio freno da parte degli stati europei (in particolare Germania e Francia) ad ogni rottura definitiva dei rapporti con Putin è evidente come sia interesse di tutti gli stati appartenenti alla NATO riuscire a pervenire a questo obiettivo strategico. La Siria dal canto suo propone un progetto alternativo che, giocando sull’asse Iraq-Iran, avrebbe l’ulteriore aggravante di tagliare fuori politicamente e finanziariamente enormi investimenti occidentali.

6. Gli USA, che potrebbero essere interessati solo marginalmente dalla questione, in realtà guardano in prospettiva, vedendo nel regime di Assad un ostacolo al proprio dominio geopolitico nella regione, rimanendo quest’ultimo il penultimo ostacolo (l’ultimo è l’Iran) al predominio assoluto a stelle e strisce. Per gli USA è quindi strategico eliminare Assad e ottenere un “governo amico” che ribalti la storica politica di amicizia russa del Paese e che, ponendo fine al “socialismo” arabo dell’ideologia Baath, liberi completamente il mercato siriano per gli investimenti esteri. Ciò spiega perché Obama non abbia alcun interesse ad accogliere l’appello russo di unirsi nella lotta contro l’ISIS, bensì insista ad affermare che l’unica maniera per risolvere il problema del terrorismo è attraverso un rinnovamento politico “democratico” del governo siriano.

7. Oltre che in ossequio agli interessi imperialistici l’obiettivo siriano si sposa bene sia con ragionamenti militari (eliminare la base navale russa sul Mediterraneo a Tartus), sia economici nell’ottica di indebolire i rivali russi e cinesi dando un segnale al resto del Terzo Mondo. Nel 2011 infatti la Cina è stato il principale partner commerciale della Siria, con esportazioni valutate in 2 miliardi e 400 milioni di dollari. La Russia invece, tra esportazione di armi e progetti agricoli o di infrastrutture, ha investito 19 miliardi e 400 milioni di dollari nel Paese, e non può certo permettere di vederseli cancellare, specie dopo le perdite causate dalle sanzioni internazionali in Iran (13 miliardi di dollari) e la cancellazione di contratti in Libia (4 miliardi e 500 milioni di dollari).

8. La Russia è inoltre perfettamente cosciente della necessità di bloccare a tutti i costi ogni ulteriore espansionismo della NATO verso Est, motivo per cui ha reagito alla “rivoluzione arancione” ucraina (la quale ha goduto del supporto duplice di forze nazifasciste e di fondamentalisti islamici) e alla “rivoluzione araba” siriana, leggendovi un’evidente regia orchestrata dalle forze occidentali. La governance russa è ben cosciente che anche il terrorismo islamico-ceceno (Daesh) non è svincolato dal terrorismo islamico mediorientale, per questo ha interesse politico a sradicarne con ogni mezzo le basi culturali e materiali che oggi costituiscono un’attrattiva per migliaia di disperati e analfabeti (i foreign fighters) che nel marasma della crisi e della cultura post-moderna e post-utopica sono in cerca di un’identità forte che dia senso alle proprie vite. Mosca e Pechino hanno assunto posizioni contrarie (con toni e modi diversi, più defilati i cinesi) sull’interventismo americano in Siria perché sanno benissimo che se lasceranno fare dovranno affrontare Daesh nel Caucaso, nella valle di Ferghana e nello Xinjiang.

9. Abbiamo già affermato come l’ISIS, assieme alle altre forze di opposizione politica e militare anti-Assad, sia stato scientemente irrobustito e foraggiato dai dollari americani (e non solo). In tale opera di finanziamento del terrorismo hanno avuto un ruolo in maniera più o meno diretta anche altri paesi quali la Francia e l’Arabia Saudita, oltre che svariati altri stati occidentali e mediorientali per i motivi più vari. Perfino il vice-presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha accusato pubblicamente (in un discorso tenuto all’Università di Harvard) i paesi alleati Usa nel Golfo (Turchia, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Qatar) di essere i finanziatori del gruppo che ha preso il posto di Al-Qaeda: “Hanno fatto piovere centinaia di milioni di dollari e decine di migliaia di tonnellate di armi nelle mani di chiunque fosse in grado di combattere contro Assad, peccato che chi ha ricevuto i rifornimenti erano… al Nusra, Al-Qaeda e gli elementi estremisti della Jihad provenienti da altre parti del mondo”.

10. La Francia nello specifico ha anch’essa molti interessi economici e finanziari in Siria, con cui peraltro ha legami storici, essendo la regione stata sotto mandato francese per 26 anni. Il ruolo francese va però visto anche in prospettiva come un tentativo di legittimare il proprio interventismo neocoloniale che si manifesta negli ultimi anni sempre più su larga scala sullo scenario africano. In tal senso gli attentati di Parigi consentono allo sciovinismo imperialista francese di legittimare le proprie operazioni di “esportazione della civiltà” secondo la classica logica coloniale di fine ‘800. Queste sono alcune delle ragioni per cui anche la Francia si è accodata negli anni alle forze anti-Assad, arrivando al punto di dichiarare pubblicamente (agosto 2014) per bocca di Hollande che aveva mandato armamenti ai ribelli siriani.

11. La Siria, assieme a Iran e Iraq, presenta una governance sciita, al quale si contrappone il resto dei paesi circostanti di fede sunnita (fede condivisa dall’ISIS). Si può dare un peso relativo alla questione religiosa, ma questo è un elemento da tenere in considerazione sia per comprendere la rottura dell’unità araba, sia per capire come certe élites politiche arabe possano redirigere il malcontento popolare diffuso sulla questione dell’odio religioso interno al mondo musulmano. In tal senso occorre ricordare che l’Arabia Saudita è intervenuta militarmente nello Yemen per frenare l’avanzata dei ribelli sciiti, e sicuramente prevale anche nella dinastia feudale saudita dei Saud la consapevolezza che può sopravvivere politicamente solo servendo gli Stati Uniti e combattendo i regimi laici, di cui la Repubblica Araba Siriana resta ormai la manifestazione più forte della regione.

12. L’Arabia Saudita, assieme ad altri paesi della penisola araba, da anni gioca un ruolo ambiguo nei rapporti con il fondamentalismo islamico. Il fatto che questo Stato sia uno dei più fedeli alleati di Washington può far pensare che gli USA siano governati da incapaci, oppure che ci siano rapporti di connivenza e convergenza strategica dato che il fondamentalismo islamico si è rivelato negli anni uno strumento utilissimo per attuare la politica del “Divide et Impera” nella regione, consentendo all’Occidente la giustificazione politica per il proprio interventismo.

13. È da notare d’altronde che finora, eccetto qualche proclama, Israele non abbia mai subito un solo attentato o attacco da parte dell’ISIS, nonostante la prossimità geografica allo scenario di guerra siriano. Da segnalare che le forze palestinesi, sia quelle più laiche (come il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina), sia quelle islamiche (come Hamas) hanno condannato le azioni di Parigi ricordando come il terrorismo il popolo palestinese lo viva ogni giorno con l’occupazione sionista di Israele.

14. Anche la Turchia ha tutto da guadagnare dall’azione dell’ISIS, il che spiega l’atteggiamento ambiguo e anzi assai sospetto nei confronti di tale organizzazione. Erdogan gioca anzitutto la carta dell’islamismo sul piano interno per ottenere consenso politico e ravvivare il nazionalismo imperialista turco attraverso un triplice scopo: approfittare del conflitto per sedare i curdi, da sempre spina nel fianco sul lato oriental-meridionale; giustificare un proprio interventismo, con conseguente annessionismo o controllo politico-militare, su parte della Siria, stato contiguo territorialmente che per di più costituisce con il suo laicismo un esempio scomodo; diventare uno snodo strategico fondamentale per il passaggio del gas verso l’Europa, consentendo al Paese una posizione di inedita forza in future trattative con l’Unione Europea.

15. I Curdi rappresentano uno dei protagonisti più difficili da controllare per chiunque. Essendo da decenni in lotta per la propria libertà e per questo repressi dai turchi, dagli iracheni e dai siriani, questo popolo rappresenta un attore scomodo per tutti con il suo esempio laico, progressista, democratico e femminista. Paradossalmente però ciò potrebbe fare il gioco degli USA, che da sempre hanno interesse a mantenere situazioni di conflitto e di instabilità nella regione per avere giustificazioni per il proprio interventismo militare. Non è un caso che gli statunitensi finanzino le forze più moderate (ossia reazionarie, anche se minoritarie) presenti in seno alla società curda. Prendere atto di questa verità non vuol dire che non si possa capire il carattere progressivo di continuare a sostenere in parallelo la difesa del governo Assad dall’assalto dell’imperialismo occidentale e nello stesso momento il sostegno alla causa del popolo curdo, auspicando che si trovi una comune intesa contro gli attori imperialisti e guerrafondai che in questa fase devastano la regione assieme all’ISIS.

16. La modalità con cui è stata presentata dai media occidentali la “guerra civile siriana” è assai prossima al modello delle “rivoluzioni arabe” e soprattutto a quella delle “rivoluzioni arancioni” che negli ultimi anni hanno portato al governo tanti amici della NATO in paesi strategici (l’ultimo dei quali l’Ucraina). Secondo Thierry Meyssan (presidente-fondatore del Rete Voltaire e della conferenza Axis for Peace) il Dipartimento di Stato americano ha creato fin dal 2002 il suo dipartimento MENA per organizzare le “primavere arabe”. È utile ricordare a riguardo la testimonianza di Padre Frans van der Lugt (ucciso dai ribelli il 7 aprile 2014 ad Homs) su quanto sia accaduto in Siria in una lettera pubblicata nel 2012: «Fin dall’inizio, i movimenti di protesta non erano proprio pacifici. Fin dall’inizio ho potuto vedere dimostranti armati che marciavano insieme ai manifestanti, che hanno iniziato a sparare per primi alla polizia. Molto spesso la violenza delle forze di sicurezza è sta una reazione alla violenza brutale dei ribelli armati». Tutto ciò non è mai stato esposto però dai media occidentali, interessati a perpetuare la storia della responsabilità unica del “dittatore sanguinario” Assad.

17. Stante quanto detto finora, il governo Assad, il governo russo e i Curdi sono gli unici attori realmente impegnati con coerenza nella lotta al terrorismo islamico guidato dall’ISIS. Se ne conclude che in questa fase, in questo dato scenario, svolgano un ruolo progressivo che è bene sostenere. Tale ruolo progressivo non riguarda solo il popolo siriano martoriato dalle bombe e dai massacri, ma tutto il Medio Oriente, oltre che gli stessi lavoratori occidentali, che si trovano a dover fronteggiare esodi biblici di immigrati siriani che diventano poi concorrenti per posti di lavoro sempre più precari e malpagati, secondo un’altra classica logica dell’imperialismo. La demistificazione della propaganda imperialista occidentale e la necessità di dare supporto politico (tattico per quanto riguarda Assad e Putin, strategico per i Curdi) a certi attori internazionali non vuol dire che si ritengano i modelli socio-economici di tali Paesi o le loro figure dominanti dei punti di riferimento ideali per la propria società, ma soltanto che in mancanza di condizioni alternative costituiscano l’unica soluzione realisticamente data per porre un freno alla minaccia imperialistica (e quindi terroristica e guerrafondaia), oltre che la base di partenza per una possibile inversione di rotta verso esiti più progressivi. Questa è possibile solo partendo dalla constatazione che l’affermazione di un multipolarismo politico (che rispecchi quello economico dovuto alla crescita dei BRICS) a livello mondiale costituisce un elemento di progresso rispetto all’unipolarismo di marca statunitense che ha caratterizzato il pianeta dopo la caduta dell’URSS.

18. In tutto questo quadro l’Italia si conferma Paese servo dell’imperialismo USA, incapace di ottenere alcun vantaggio dalla questione. Nel 2012 il volume degli scambi tra Italia e Siria toccava i 2,3 miliardi di euro, con un aumento di 102,7 punti percentuali rispetto all’anno precedente, ma con l’allineamento alle sanzioni imposte dall’Unione Europea al regime di Damasco, il paese ha rinunciato di fatto al suo ruolo di principale partner economico europeo e di terzo partner mondiale dopo Cina e Arabia Saudita. Le importazioni italiane dalla Siria riguardavano principalmente il settore petrolifero (circa il 90 per cento del totale). Ai 55 mila barili di greggio giornalieri destinati all’Italia, andavano aggiunti prodotti bituminosi e altri derivati, raffinati da Eni, Italiana Energia e Servizi Spa e Saras. L’Italia esportava in Siria derivati della raffinazione del petrolio (circa il 42 per cento dell’export totale), attrezzature e apparecchiature elettriche e meccaniche, prodotti chimici e metallurgici. Tutto questo commercio è andato perso per allinearsi alla volontà degli USA, come è ben espresso dalle parole del ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, il quale accodandosi alla tiritera di Obama ha dichiarato dopo gli attentati di Parigi che dalla crisi siriana “che dura da ormai da cinque anni si esce con un processo politico che porti all’uscita di Bashar al Assad, senza però creare un vuoto che sarebbe riempito dal terrorismo”.

19. Da segnalare che l’Italia è stato il primo fornitore di armi della Siria e dei 27 milioni e 700 mila euro di armamenti venduti dai Paesi UE alla Siria dal 2001, ben 17 milioni erano forniture italiane, una percentuale irrisoria rispetto all’intero volume degli scambi e purtuttavia degna di nota vista la tipologia di merce. Più in generale ammonta a oltre 2,5 miliardi di euro il giro d’affari dell’esportazione di armi nei paesi islamici dall’Italia, pari al 40 per cento dell’intero export nel settore bellico quantificabile in 6.745 milioni di euro. Ogni 100 euro incassati dalle imprese italiane per la vendita e la fornitura di armamenti, circa 40 provengono dai Paesi battenti bandiera islamica. Tra le 26 aree individuate dalla nota scientifica dell’Istituto Demoskopika ben 11 figurano tra i primi 25 Paesi in cui è più forte l’impatto del terrorismo secondo il Global Terrorism Index 2014 dell’Institute for Economics and Peace (lep) dell’Università del Maryland.

20. Per quanto non si possa non addolorarsi per le innocenti vittime del popolo francese, non si può non condannare l’esasperante operazione mediatica messa in atto in questi giorni dalla propaganda occidentale, la quale più di tutte ha la responsabilità di creare un clima di terrore presso gli italiani su un pericolo senz’altro reale, ma che andrebbe inquadrato nelle giuste proporzioni. Basti questa provocazione: quante sono state quest’anno le vittime causate dal terrorismo dell’Isis nel nostro Paese? Di certo, però nel 2015 le morti bianche sui luoghi di lavoro sono state finora più di 600. Se i padroni ammazzano parecchie centinaia di volte in più rispetto ai terroristi perché non si dà uguale risalto alla questione? E perché il centinaio di morti di Parigi vale di più dei 200 russi sul Sinai o dei 24 mila esseri umani che muoiono ogni giorno di fame a causa delle politiche imperialiste nel mondo? Questi sono dati reali su cui occorrerebbe riflettere attentamente cercando di capire i meccanismi di manipolazione empatica tesi a favorire e legittimare ulteriori scorribande neocoloniali in Medio Oriente.