Siria: ribellione nel segno dell’estremismo islamico

di Diego Bertozzi

newsdalmondo bannerSi colora sempre più di nero l’azione dei ribelli siriani. Il “nero” del radicalismo jihadista. A sottolinearlo è un reportage pubblicato dal New York Times, lo scorso 29 luglio1, nel quale viene riportato come gli ultimi mesi “hanno visto l’emergere di organizzazioni militanti siriane più grandi, più organizzate e meglio armate che spingono per un programma basato sul Jihad. Anche gruppi della resistenza meno religiosi stanno adottando pronunciati richiami all’islam per attrarre più finanziamenti”.

All’interno del variegato e sempre più diviso fronte della ribellione è in atto un cambiamento dei rapporti di forza che vede aumentare il peso del radicalismo islamico a scapito di forze più laiche – almeno inizialmente – come quelle rappresentate dall’Esercito Libero Siriano e del Consiglio di Transizione Siriano, quest’ultimo in precedenza riconosciuto come rappresentante legittimo del popolo siriano dal gruppo di Stati riuniti nel fronte – autonominato – degli “Amici della Siria”.

Sempre secondo il reportage la crescente forza radicalismo islamico – con la presenza di combattenti stranieri più o meno legati ad ambienti definibili come qaedisti – ha alla base più motivi economici che ideali: l’afflusso di cospicui finanziamenti da Arabia Saudita e Qatar ha provenienza religiosa e si dirige verso i gruppi Salafiti che possono disporre così di più armi e denaro. Facile capire come questa disponibilità aumenti la loro capacità attrattiva anche nei confronti di gruppi laici o moderati. Bandiere nere, assalti con tanto di Corano e rifiuto di caratterizzarsi come forze nazionali siriane, che caratterizzano anche la battaglia in corso ad Aleppo, sono segnali sempre più chiari di nuovi indirizzi di quella che chiamiamo rivoluzione siriana.

All’interno della guerra civile siriana è quindi in atto un’altra guerra che rischia di essere altrettanto cruenta, quella per l’egemonia sul composito fronte della ribellione. La decisione di Washinton di limitare il sostegno ai combattenti alle sole apparecchiature di comunicazione, per evitare che armi sofisticate finiscano in mano ai radicali islamici, sembra quindi rivelarsi controproducente: le forze laiche rischiano l’isolamento proprio per la scarsità dei mezzi militari a loro disposizione.

E a questo si aggiunge un rischio ancora maggiore: la destabilizzazione generale della Siria con un prolungamento della guerra civile fra bande armate anche nel caso di un collasso del governo di Assad. Il caso libico – dove il controllo di Tripoli sull’intero territorio è ancora una meta lontana – rischia quindi replicarsi in un’area ben più delicata dal punto di vista degli equilibri geopolitici.

Diego Bertozzi