di Bassam Saleh*
Gravi reazioni degli Stati Uniti e di Israele
La Palestina è stata ammessa all’Unesco, come membro a pieno titolo nell’organizzazione internazionale con 107 voti favorevoli. 52 si sono astenuti, Italia compresa, e 14 hanno detto no, tra questi Usa, Germania e Israele. Si registra la spaccatura in seno ai paesi dell’Ue, con il voto favorevole di sette Paesi, oltre all’importantissimo voto della Francia, che non sembrava scontato qualche settimana fa.
Per i palestinesi è una giornata storica, un giorno da festeggiare, sul lungo cammino per l’indipendenza e la creazione di un Stato palestinese sui confini del 4 giugno 1967, come recita la richiesta presentata dal presidente palestinese Mahmuod Abbas il 23 settembre scorso al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il quale ne discuterà l’undici novembre prossimo. Guarda caso lo stesso giorno della scomparsa del leader e padre della patria palestinese Arafat.
Il riconoscimento dell’Unesco è anche una prima vittoria della politica della leadership palestinese, basata sulla lotta popolare non violenta, e sulla legalità internazionale, chiedendo l’attuazione delle numerosi risoluzione della stessa organizzazione delle Nazioni unite.
Incomprensibile, per i palestinesi, sono le reazioni dell’amministrazione americana di congelare il pagamento della sua quota pari il 20% del bilancio dell’Unesco, solo per il fatto che questi ha riconosciuto il diritto alla Palestina di essere membro effettivo di una delle organizzazione internazionale. Non di meno è stata la reazione del governo israeliano: il capo del governo Netenyahu ha dichiarato che “se i palestinesi continuano nelle politica unilaterale (?!) noi non staremo con le braccia incrociate”. Dello stesso tono il ministro degli esteri Liberman che ha chiesto di rompere i rapporti con l’Anp in risposta alle campagne internazionali palestinesi, come quella del riconoscimento, o il boicottaggio “Bds” contro Israele. Eppure ancora il governo israeliano ha deciso un piano di costruzione di più di tremila nuove unità abitative nelle colonie.
Mohammed Baraka deputato alla Knesset per il fronte democratico per la pace e l’uguaglianza, considera la decisione dell’Unesco uno spartiacque tra chi appartiene alla famiglia dei popoli dell’umanità, che sono la stragrande maggioranza, e quelli che sono fuori dalla storia e dell’umanità. Ed ha attaccato duramente i discorsi di Netenyaho e Liberman davanti alla knesset, in quanto sono discorsi che incitano alla guerra e non alla pace. Ed ha proseguito dicendo che “non è strana la posizione del capo del governo che presume di accettare la soluzione di due Stati ma rifiuta la nascita dello Stato palestinese, e dice che vuole la pace ma rafforza la preparazione dell’esercito, e nuove minacce ai palestinesi, agli Stati arabi e alla primavera araba, all’Iran”, e tutto questo – conclude – con il pieno appoggio della Casa Bianca”. Infine Mohammed Baraka ha presentato a nome dei tre gruppi arabi della knesset una richiesta di sfiducia al governo.
Nabeel Shaath, del comitato centrale di Fata, ha espresso ringraziamenti a tutti i Paesi che hanno votato a favore della Palestina all’Unesco, ed ha aggiunto che questo è un messaggio al Consiglio di Sicurezza: la maggioranza dei Paesi del mondo vuole una soluzione politica e giusta a questo conflitto.
Secondo Hanan Ashrawi, I palestinesi, coscienti che questa ammissione all’Unesco è solo il primo passo verso il riconoscimento della Palestina come Stato effettivo dell’Onu, considerano questa vittoria “un trionfo dello spirito umano di fronte alle intimidazioni “.
Un riconoscimento, infine, che darà ai palestinesi il diritto e l’autorevolezza di proteggere diversi siti, città e villaggi, come patrimonio dell’umanità, città come Gerusalemme, Hebron, Sabastia, Nablus – sono solo nome indicativi – per salvare un Paese da una occupazione, quella israeliana, che ha devastato e saccheggiato una parte del patrimonio dell’umanità. Dicevamo che è un primo passo; si spera che non sia l’ultimo, sul cammino per attuare le risoluzioni dell’Onu, e garantire il i diritti del popolo palestinese e dei suoi profughi dispersi nei cinque continenti.
*Giornalista palestinese, corrispondente di Al-Nahar news
(5 novembre 2011)