Perché Israele si unisce alla “NATO araba” del Pentagono

iran petroliodi Jonathan Cook

da https://www.middleeasteye.net

traduzione di Marco Pondrelli per Marx21.it

L’inclusione di Israele nel Centcom danneggerà ulteriormente la causa palestinese, creerà un cuneo tra gli stati arabi e aumenterà il fuoco sull’Iran

Senza la solita fanfara associata a una decisione così importante, il mese scorso il Pentagono ha annunciato una grande riorganizzazione per portare Israele – per la prima volta – all’interno del suo comando militare in Medio Oriente accanto agli stati arabi.

Fino ad ora Israele apparteneva al comando europeo dell’esercito americano, o Eucom, e non a quello mediorientale, noto come Central Command, o Centcom. La decisione si è disfatta della tradizionale saggezza secondo cui l’inclusione di Israele nel Centcom avrebbe aumentato l’attrito tra gli Stati Uniti e gli stati arabi, rendendo questi ultimi più riluttanti a condividere informazioni o cooperare con il Pentagono.

Queste preoccupazioni erano particolarmente sentite quando gli Stati Uniti avevano un gran numero di truppe in Iraq e Afghanistan. Già nel 2010, David Petraeus, allora comandante del Centcom, espresse il timore che una cooperazione militare troppo aperta con Israele potesse avere un prezzo troppo alto alle forze USA di stanza nella regione.

Ma l’obiettivo di lunga data di Israele è stato quello di costringere il Pentagono a ristrutturare Centcom, a Washington negli ultimi mesi dell’amministrazione Trump da parte dei gruppi pro-Israele era montata la pressione. La decisione assomiglia molto a un “regalo d’addio” a Israele da parte del presidente Donald Trump.

Normalizzazione militare

Il trasferimento formale di Israele nel Centcom non ha ancora avuto luogo, ma la mossa è stata cementata la scorsa settimana con la prima visita in Israele del generale Kenneth McKenzie, l’attuale capo di Centcom da quando Joe Biden è entrato alla Casa Bianca. Insieme al capo di stato maggiore militare di Israele, Aviv Kohavi, McKenzie ha piantato un albero – ufficialmente per segnare la festa ebraica di Tu Bishvat – ma per rappresentare simbolicamente una nuova era nella partnership strategica.

Benny Gantz ministro della difesa israeliano venerdì, dopo un incontro con il generale statunitense, ha rilasciato una dichiarazione in cui elogiava la riorganizzazione del Pentagono, dicendo che avrebbe “offerto a Israele l’opportunità di approfondire la cooperazione con nuovi partner regionali e ampliare gli orizzonti operativi”.

La decisione di portare Israele all’interno del comando militare statunitense in Medio Oriente è vista – dal punto di vista di Washington – come il culmine degli sforzi per spingere gli stati arabi alla “normalizzazione” pubblica con Israele.

La normalizzazione militare può ora essere aggiunta alla normalizzazione politica, diplomatica ed economica che è formalmente iniziata lo scorso settembre quando due stati del Golfo, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein, hanno firmato i cosiddetti accordi di Abraham con Israele. Anche il Marocco e il Sudan hanno annunciato i loro accordi di pace con Israele e altri stati arabi probabilmente seguiranno l’esempio una volta che la polvere si sarà posata con la prossima amministrazione Biden.

Dalla firma degli accordi di Abraham gli Emirati Arabi Uniti hanno stretto forti legami commerciali con Israele e hanno contribuito a stabilire il Fondo Abraham, progettato per finanziare le infrastrutture di occupazione che Israele ha utilizzato per privare i palestinesi della sovranità. Quando i voli per Dubai sono stati lanciati a novembre, i turisti israeliani si sono riversati negli Emirati Arabi per approfittare delle nuove relazioni amichevoli e sfuggire alle restrizioni del blocco in patria.

Infatti è ampiamente riportato che tali visite sono diventate uno dei modi principali con cui Israele ha importato nuove varianti di Covid-19. La settimana scorsa, Israele ha effettivamente chiuso i suoi confini – tranne che al generale McKenzie – per tenere sotto controllo il virus.

Fiducia crescente

A prima vista il desiderio di Israele di entrare nel Centcom – una sorta di Nato mediorientale che copre diversi stati arabi con cui Israele ha ancora relazioni ostili – sembra controintuitivo. Ma in realtà Israele otterrà grandi guadagni strategici.

Allineerà gli interessi di sicurezza degli Stati Uniti nella regione ancora più strettamente con quelli di Israele, a spese dei suoi vicini arabi. Aiuterà i continui sforzi di Israele per schiacciare le ambizioni nazionali dei palestinesi, con la cooperazione esplicita o implicita di molti stati arabi. Accentuerà le tensioni politiche all’interno del blocco degli stati arabi, indebolendolo ulteriormente. E aiuterà a costruire la pressione sugli stati arabi recalcitranti per unirsi al più ampio consenso contro l’unico nemico regionale significativo di Israele: l’Iran.

È significativo che la preoccupazione di lunga data di Washington sulla presenza di Israele nel Centcom, che danneggia le relazioni degli USA con gli stati arabi, sia apparentemente evaporata.

Una volta, gli Stati Uniti erano attenti a prendere le distanze da Israele ogni volta che il Pentagono rimaneva profondamente impantanato nella regione, che fosse la guerra del Golfo del 1990 o l’invasione e l’occupazione dell’Iraq nel 2003. Quei calcoli non sembrano più rilevanti.

La mossa dimostra una crescente fiducia degli Stati Uniti che gli stati arabi – almeno quelli che contano per Washington – sono imperturbabili sull’essere visti fare un accordo militare con Israele, oltre all’impegno politico ed economico. Sottolinea il fatto che gli stati del Golfo ricchi di petrolio, insieme a Israele, sono ora i motori principali della politica estera degli Stati Uniti nella regione e suggerisce che il più importante, l’Arabia Saudita, sta aspettando il momento giusto per firmare il proprio accordo con Israele.

Uscire dall’ombra

Israele, si prevede, continuerà a condurre esercitazioni militari in Europa con i paesi della Nato, ma sarà presto in grado di costruire simili relazioni dirette con gli eserciti arabi, in particolare quelli che si stanno rapidamente espandendo e professionalizzando nel Golfo utilizzando la sua ricchezza petrolifera.

È probabile che gli ufficiali israeliani usciranno presto dall’ombra e addestreranno e consiglieranno pubblicamente gli eserciti degli Emirati Arabi Uniti e sauditi come parte dei ruoli congiunti nel Centcom. La particolare esperienza di Israele, che attinge a decenni di sorveglianza, controllo e oppressione dei palestinesi, sarà molto ricercata negli stati del Golfo che temono il dissenso interno o le rivolte.

Come ha notato lo studioso israeliano Jeff Halper, Israele ha dimostrato quanto sia efficace nel tradurre i suoi legami militari e di sicurezza con gli eserciti e le forze di polizia di tutto il mondo in sostegno diplomatico negli organismi internazionali.

Il Medio Oriente non sarà probabilmente diverso. Una volta che Israele sarà diventato il perno di eserciti più professionalizzati nella regione, ci si può aspettare che quegli stati che dipendono dal suo aiuto abbandonino ulteriormente la causa palestinese.

Dividere e governare a livello regionale

Un altro dividendo per Israele sarà complicare le relazioni di Washington con la regione araba.

Non solo Centcom gestisce importanti basi nel Golfo, specialmente in Bahrain e Qatar, ma conduce la proclamata “guerra al terrorismo”, con operazioni palesi o nascoste in diversi stati arabi, tra cui Iraq e Siria.

Sarà più difficile per gli Stati Uniti districarsi dalle operazioni apertamente belligeranti di Israele, compresi gli attacchi aerei, in entrambi i paesi, che sono condotti in flagrante violazione del diritto internazionale. Le tensioni tra gli Stati Uniti e Baghdad si sono intensificate in passato per gli attacchi aerei israeliani in Iraq, con minacce di limitare l’accesso degli Stati Uniti allo spazio aereo iracheno.

Con Israele all’interno del Centcom, gli Stati Uniti e i suoi Stati arabi più favoriti saranno probabilmente anche più direttamente coinvolti nelle principali operazioni militari di Israele contro i palestinesi, come le ripetute “guerre” su Gaza.

Questo porrà una sfida significativa alle istituzioni cooperative della regione come la Lega Araba. È quasi certo che creerà un cuneo ancora più profondo tra gli stati arabi pro-Washington e quelli accusati di essere dalla parte sbagliata della “guerra al terrorismo”.

Il risultato potrebbe essere una politica regionale divide et impera coltivata da Israele, che rispecchia le divisioni decennali che Israele ha generato nella leadership palestinese, più pronunciate nella divisione tra Fatah e Hamas.

Fronte anti-Iran

Il più grande bonus per Israele sarà un’alleanza formale con gli stati arabi contro l’Iran e l’inserimento di stati più ambivalenti nell’orbita di Israele.

Questo sembra essere stato lo scopo della recente e ben pubblicizzata riconciliazione tra gli Emirati Arabi Uniti e i Sauditi da una parte e il Qatar dall’altra, raggiunta negli ultimi giorni dell’amministrazione Trump. Una delle cause principali del lungo blocco del Qatar è legata alla sua insistenza nel mantenere legami politici ed economici con Teheran.

L’obiettivo di Israele è di forzare la mano dell’amministrazione Biden nel continuare la bellicosa politica anti-Iran di Trump, che includeva sanzioni aggressive, omicidi e lo strappo dell’accordo nucleare del 2015 con Teheran firmato da Barack Obama. Quell’accordo aveva dato accesso agli ispettori in Iran per assicurarsi che non sviluppasse una bomba nucleare che avrebbe potuto neutralizzare il peso strategico che Israele ottiene dal suo arsenale nucleare.

Una volta che Israele diventi il perno di eserciti più professionalizzati nella regione, ci si può aspettare che gli stati che dipendono dal suo aiuto abbandonino ulteriormente la causa palestinese.

All’interno del Centcom Israele potrà lavorare più strettamente con gli alleati del Golfo per sabotare qualsiasi sforzo all’interno di Washington per far rivivere l’accordo nucleare con Teheran. Questo punto è stato sottolineato la settimana scorsa quando una conferenza di sicurezza online, ospitata dall’università di Tel Aviv ha visto la partecipazione di due ministri del Golfo.

Alla conferenza, Kochavi il capo di stato maggiore militare di Israele, ha emesso un rimprovero pubblico senza precedenti a Biden sulle recenti dichiarazioni con cui esprimeva il desiderio di far rivivere l’accordo nucleare. Kochavi ha definito l’accordo “cattivo e sbagliato dal punto di vista strategico e operativo”, ha affermato che l’Iran lancerebbe missili nucleari contro Israele una volta che li avesse e ha dichiarato che un attacco solitario da parte di Israele “deve essere sul tavolo”.

Il ministro degli esteri del Bahrein, Abdullatif al-Zayani, ha osservato che Israele e gli stati del Golfo avrebbero una migliore possibilità di prevenire qualsiasi conciliazione degli Stati Uniti verso l’Iran se parlassero con una “voce unificata”. Ha aggiunto: “Una posizione regionale comune su queste questioni eserciterà una maggiore influenza sugli Stati Uniti”.

Questo punto di vista è stato ripreso da Anwar Gargash, il ministro degli affari esteri degli Emirati Arabi Uniti.

Lo spauracchio del Medio Oriente

Segno di come l’amministrazione Biden sia timorosa di assumere un’ampia alleanza mediorientale contro l’Iran, è la scelta del nuovo presidente come segretario di stato di Antony Blinken che ha detto il mese scorso che era “di vitale importanza” consultarsi con Israele e gli stati del Golfo prima di rientrare nell’accordo.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, desideroso di sostenere le sue fortune elettorali e deviare l’attenzione dal suo incombente processo per corruzione, ha tutti gli incentivi per aprire questo spiraglio.

Assicurare che l’Iran rimanga lo spauracchio numero uno del Medio Oriente – il centro dell’ostilità occidentale – è nell’interesse comune di un Israele che non ha alcuna intenzione di porre fine alla sua decennale ostruzione alla statualità palestinese e degli stati del Golfo che non hanno alcuna intenzione di porre fine alle loro violazioni dei diritti umani e alla promozione della discordia islamica.

Mike Pompeo, il segretario di stato uscente di Trump, ha piantato una mina il mese scorso progettata per servire gli interessi israeliani e sauditi, sottolineando il fatto che un certo numero di leader di al-Qaeda hanno trovato rifugio in Iran. Ciò riecheggiava l’affermazione dell’amministrazione Bush – del tutto fantasiosa – di legami tra al-Qaeda e Saddam Hussein come pretesto, insieme a inesistenti armi di distruzione di massa, per l’invasione e l’occupazione dell’Iraq nel 2003.

Con l’arrivo di Israele nel Centcom le pressioni per una ripetizione di quel catastrofico errore possono solo crescere e, con esso, le prospettive di una nuova conflagrazione in Medio Oriente.

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Jonathan Cook, un giornalista britannico residente a Nazareth dal 2001, è l’autore di tre libri sul conflitto israelo-palestinese. Vincitore del premio speciale Martha Gellhorn per il giornalismo.