di Marinella Correggia | da www.sibialiria.org
Con l’accoglienza genuflessa dell’emiro qatariota da parte di Monti e Napolitano a Roma, il 16 aprile 2012, l’Italia è entrata ufficialmente fra i paesi membri dell’harem di al-Thani. Egli può ben pagare i suoi protetti, avendo un saldo attivo di 60 miliardi di dollari derivanti dai petrodollari e dai gasdollari. In altri tempi a manifestare contro l’incontro ci sarebbero state molte persone e non 4 gatti peraltro bloccati gentilmente dalla polizia per aver esposto cartelli fuori dalla sontuosa villa dove si svolgeva il ricevimento. In altri paesi qualche giornalista indipendente avrebbe tirato una scarpa in conferenza stampa, all’emiro la cui tivù al-Jazeera fa da arma mediatica per le guerre della casa.
Il Qatar ha già comprato la Costa Smeralda dall’Aga Khan (e i grandi magazzini Harrod’s a Londra, e il 17% di Wolkswagen, il 10% della Porsche e il 2% di Louis Vuitton). Ed è in primo piano negli investimenti nella finanza globale. Dopo il crac Lehman, la Qatar InvestimentAutority, fatto impensabile fino a pochi anni fa, controlla oggi il 20 % della Borsa di Londra, il 6% del Crédit Suisse e un pezzo della Barclays. “Il nostro fondo sovrano sta cercando forme e modi per investire nel vostro paese” ha garantito dopo l’incontro con Mario Monti. Del resto l’emirato è fra i primi tre produttori mondiali di gas naturale e rifornisce l’Italia attraverso il rigassificatore di Rovigo. La quota in arrivo dal Golfo Persico è pari al 10% del fabbisogno italiano. In ballo, scrive Repubblica, “ci sarebbero anche alcune commesse militari per Finmeccanica, l’ ipotesi che gli Al Thani sostituiscano gli ondivaghi soci libici nell’ azionariato di Unicredit o di un ingresso in Telecom Italia media. Il boccone più grosso però sono i 70 miliardi di investimenti previsti per i mondiali di calcio Qatar 2022. Ci sono da costruire metropolitane, strade, porti e aeroporti e le aziende tricolori sperano in una piccola fetta di questa torta”.
L’emirato è ereditario. Comunque l’emiro attuale ha un po’ anticipato i tempi, realizzando nel 1995 un colpo di Stato contro il suo vecchio padre mentre questi era in cura all’estero.
Ci sono tante buone ragioni perché paesi e persone che hanno a cuore la giustizia climatica, l’equità sociale e la pace nel mondo cerchino il modo di boicottare questo piccolo emirato, che fino a poco tempo fa era solo un protettorato degli Usa in virtù di uno scambio osceno con l’Occidente. Adesso l’emirato è un attore importante sulla scena, anche se lo scambio osceno continua. I golfisti forniscono idrocarburi sicuri (l’Arabia Saudita in particolare è essenziale per tenere relativamente basso il prezzo del greggio, garantendo un’offerta su domanda; ecco perché l’Occidente non appoggerà mai alcun processo democratico nel Golfo), mentre Usa e alleati in cambio forniscono protezione militare (e nella fattispecie, staziona in Qatar la base aerea yankee di Al Udeid, mentre nel mare del Bahrein è domiciliatala Vflotta, sempre statunitense.
Fra i paradossi di questa monarchia assoluta c’è il presentarsi come paladina delle “primavere arabe” per la democrazia, con al-Jazeera a fare da megafono. L’emiro è stato in prima linea, con denaro e perfino uomini sul terreno, nell’attacco alla Libia, dove in nome della protezione dei civili ha contribuito ad ammazzarne molti a suon di bombe e a creare molti altri danni collaterali ormai ben noti. Adessola Qatar National Bank ha già acquisito il 49% della Libya’s Bank of Commerce.
L’”investimento” di Qatar, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita nelle cosiddette “primavere arabe” ha contribuito a farle virare in direzione consona, evitando l’ingresso delle rivolte nel Golfo e favorendo la vittoria elettorale dei Fratelli musulmani in Tunisia ed Egitto.La Siriaè ancora incerta ma l’emiro lavora. A sostenere l’opposizione armata e anche a sabotare ogni piano di pace; lunedì a Roma ha dichiarato che Kofi Annan ha solo il 3% di possibilità di riuscire; e anche che se si continua così i siriani cominceranno a fare la lotta armata contro il governo. Una lotta armata che da tempo è realtà.
Un altro paradosso nel ruolo da bue che sta giocando la piccola rana Qatar (speriamo in un esito simile alla favoletta di Fedro), c’è l’essersi aggiudicato perfino la diciottesima Conferenza dell’Onu sul clima, dopo il fallimento della sessione di Durban in Sudafrica nel dicembre 2011.
Eppure il Qatar sta alla protezione del clima come Dracula sta alla banca del sangue (http://www.ilmanifesto.it/attualita/terra-terra/manip2pz/4f0c83657a4b7/). Ha le emissioni pro capite di gas «di serra» più elevate al mondo: incredibili 53,4 tonnellate annue, secondo le statistiche ufficiali dell’Onu (http://unstats.un.org/unsd/environment/air_co2_emissions.htm); il 435% in più dal 1990.
l’incongruo ospite del vertice sul clima 2012 fa parte di quel gruppo di petromonarchie che sono state in prima linea in tutti i passaggi cruciali per rendere inefficace il pur limitatissimo Protocollo di Kyoto ed evitare qualunque allontanamento dall’economia degli idrocarburi: come sanno i negoziatori, a turno Kuwait, Arabia Saudita e gli altri, durante le lunghe ed estenuanti trattative di ogni conferenza, si inventavano qualche vizio procedurale per azzerare tutto.
Difficile è capire come movimenti e individui potrebbero boicottare il Qatar. Visto che investe, ovviamente, nella finanza e in imprese che producono beni di lusso. Insostenibili quanto l’emiro. Ma forse un modo si può trovare. Non ultima una maggiore indipendenza energetica dalle fonti fossili. Per i paesi non facenti parte del blocco atlantista-golfista, è più facile. Si chiama sganciamento. Embargo al Nord globale più petromonarchie.