di AC | solidarite-internationale-pcf.over-blog.net
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
L’intervento della NATO nel 2011 ha devastato la Libia, ora abbandonata a un governo impotente alla testa di un apparato statale corrotto, in una società controllata da bande criminali, gruppi terroristici islamici e mercenari tribali.
L’informazione diffusa in Francia via Mediapart, era già nota in Gran Bretagna da diverse settimane attraverso EU-observer. Si tratta di un rapporto del 18 aprile, non pubblicato dal Servizio europeo per l’azione esterna [SEAE, il corpo diplomatico dell’Unione europea che coadiuva la responsabile degli Affari esteri dell’UE, ndt], che illustra la strategia europea nel caos libico.
La EUBAM – nome della missione dell’Unione europea [missione europea di assistenza alle frontiere, ndt] – è incaricata di formare 16.000 “guardie di frontiera” libiche, ufficialmente sotto la direzione del Ministero della Difesa ma in realtà soggette alle varie influenze che agiscono sul terreno, sia mafiose che politiche.
Guardie di frontiera libiche: paramilitari impotenti o infiltrate dalle milizie?
Tuttavia, secondo il rapporto della UE, solo due dei quattordici posti di frontiera sono sicuri al momento (Egitto e Tunisia), i restanti sono nelle mani delle diverse milizie – tribali, islamiste o tuareg – in particolare a sud e a ovest, al confine con Algeria, Niger e Ciad.
Secondo il governo algerino, le guardie di frontiera sono infiltrate dalle milizie. Possibilità molto probabile visto che per una buona metà, il corpo delle guardie di frontiera si compone di veterani dei gruppi terroristici (“Katiba”) che hanno deposto Gheddafi nel 2011.
EUBAM è composta da 110 “esperti”, ufficialmente provenienti dai servizi di dogana e polizia… ma secondo il rapporto può contare anche su “esperti militari” capaci di fornire una “formazione da specialisti”.
Il numero effettivo di esperti militari è incerto, ma alti ufficiali, come il generale italiano Luigi Scollo, presente in loco fin da settembre, sono incaricati di addestrare le forze paramilitari libiche.
Sono inoltre stati realizzati dei collegamenti con l’intelligence libica “felice di poter collaborare alla missione EUBAM”, secondo il rapporto.
La Libia sotto protettorato: la formazione dell’esercito e della polizia da parte della NATO
Ognuno dei paesi imperialisti a capo dell’intervento del 2011 e della spartizione (petrolifera) del paese, prende parte nella formazione delle truppe paramilitari libiche.
Così l’Italia occupa un ruolo privilegiato in ragione del suo passato coloniale e degli interessi petroliferi dell’ENI, sborsando non meno di 250 milioni di euro in due anni, prendendo in carico, in particolare, il controllo del traffico di frontiera – droga, armi ed emigranti.
L’ex potenza coloniale formerà 60 guardie di frontiera al Centro per le Unità di polizia di Vicenza, 65 soldati alla Scuola di Fanteria di Cesano, 280 agenti militari e 150 poliziotti civili a Tripoli. Fornirà sette navi pattuglia e 20 veicoli blindati leggeri “Puma”.
La Francia a sua volta assumerà la formazione del personale dell’Aeronautica Militare (30 piloti saranno formati a Salon), della Marina (20 ufficiali di marina saranno addestrati a Tolone) e 75 guardie di frontiera addestrate nella protezione delle personalità.
Infine, la Gran Bretagna privilegia l’inquadramento delle forze di sicurezza, per dotarla di un peso decisivo sulle istituzioni, con dei “consiglieri strategici” al Ministero degli Interni e una “Squadra di assistenza della Difesa” presso il Ministero della Difesa.
Secondo quanto dice il rapporto, il protettorato sulla Libia si estende agli Stati Uniti che dovrebbero assumersi la responsabilità della formazione diretta di un numero di soldati libici tra le 5 e 8.000 unità oltre a finanziare fino a 20 milioni di euro la “riforma della giustizia, della sicurezza e del controllo delle frontiere”.
Infine, anche le dittature islamiche, che supervisionano il processo di trasformazione del Nord d’Africa e del Medio Oriente in regimi filo-imperialisti, sono coinvolte nel progetto: la Turchia addestrerà 800 agenti di polizia e gli Emirati Arabi Uniti 250 ufficiali dell’esercito.
Controllare le frontiere (1): la Libia nella “Fortezza Europa”
Di quali missioni saranno incaricate queste forze di polizia, militari e paramilitari libiche?
In primo luogo, il controllo delle frontiere. Questa è la missione ufficiale, quella su cui pone grande enfasi l’articolo di Mediapart. Frontiere terrestri di 4.000 km, quelle con Algeria, Ciad, Niger e Sudan, e marittime per 2.000 km di fronte all’Europa.
Questo è stato il tema della “Conferenza di Parigi” nel mese di febbraio che ha coinvolto quindici paesi, su iniziativa di Laurent Fabius, da cui è scaturito il programma EUBAM.
Il primo obiettivo è ancorato al progetto “Fortezza Europa”, volto a limitare la migrazione proveniente dall’Africa nera, in transito attraverso la Libia verso il sud d’Europa.
Era il ruolo che avevano assegnato i leader europei a Muammar Gheddafi, prima del 2011, e che lui aveva giocato per esercitare una forma di pressione sulle potenze dell’UE, tra cui Italia e Francia.
In questo senso, il progetto EUBAM si inscrive in FRONTEX per la “gestione integrata delle frontiere esterne”, integrando ormai i paesi dell’Africa del sud e volta a filtrare l’immigrazione africana attraverso il coordinamento delle azioni delle guardie di frontiera.
In questo contesto, l’Unione europea rafforzerà la sorveglianza delle frontiere marittime. Nel mese di dicembre, sarà introdotto Eurosur, un nuovo dispositivo di sorveglianza marittima che coinvolge 18 stati membri dell’Unione europea in cooperazione con i paesi del nord d’Africa.
Controllare le frontiere (2): la “strategia del caos”?
Un’altra possibile ragione per spiegare la necessità di un maggior controllo sulle frontiere terrestri è la risposta all’emergenza dei traffici di ogni genere, in particolare di armi, e soprattutto di furti di petrolio e gas, che minacciano l’esistenza stessa dello stato libico.
Le potenze occidentali, pragmaticamente, non avevano escluso a priori la divisione del paese in due o tre parti. Attualmente, la Libia va frammentandosi in una miriade di micro-stati feudali, trasformando il paese in uno “stato fallito”, instabile in termini di sicurezza.
Di fronte a questa disintegrazione, gli interessi dei grandi gruppi occidentali sembrano contraddittori, poiché se nel caos e nella distruzione vi trovano grandi affari, necessitano di un minimo di stabilità, imposto dal “protettorato” o dalla privatizzazione della sicurezza.
Armamenti, infrastrutture, acqua: i profitti francesi a rischio a causa dell’insicurezza nel paese
Da un lato, le industrie francesi e italiane di armamenti desiderano rivendere armi in Libia. Così, la Francia ha firmato un contratto lo scorso anno di 20 milioni di euro per il riarmo di due navi da guerra libiche e lo sminamento dei porti, in attesa della vendita di quattro ricognitori.
I grandi monopoli francesi partecipano anche alla ricostruzione dopo aver favorito la distruzione del paese: il gruppo Vinci si è aggiudicato la ricostruzione dell’aeroporto di Tripoli, Bolloré il porto di Misurata e Alcatel la rete di telecomunicazioni del paese.
Anche per il recupero delle riserve libiche di acqua fossile e la loro distribuzione sono in lizza le grandi società francesi Veolia e Suez, in un paese dove l’acqua è una risorsa critica.
Petrolio libico: gli interessi della Total, mettere in sicurezza i campi d’estrazione
Infine, l’oro nero suscita ogni brama, in un paese che è stato il secondo più grande produttore di petrolio del continente prima della guerra. Ricordiamo che il Consiglio Nazionale di Transizione, CNT, aveva promesso il 35% del petrolio a Total, scatenando le rivalità dell’italiana ENI, leader prima della guerra.
Gli investimenti di Total in Libia sono ingenti: 130 milioni dollari nel 2013 per il solo sfruttamento del gas. Lo scorso ottobre, Total ha annunciato – insieme alla spagnola Repsol e l’austriaca OMV – la scoperta di una nuova riserva di petrolio nel sud del paese.
Tuttavia, è qui sta la contraddizione fondamentale della situazione in Libia, le multinazionali francesi e straniere hanno bisogno di uno stato sufficientemente debole per assicurarsi i contratti e sfruttare le rivalità interne, ma nel contempo necessitano di una certa sicurezza, in primo luogo per le infrastrutture petrolifere.
L’articolo di Mediapart pone poca enfasi su questo aspetto cruciale, preferendo sottolineare altri aspetti. La Libia produce attualmente 250.000 barili al giorno, contro il milione e mezzo prima della guerra, con una frode transfrontaliera massiccia.
I gruppi occidentali ne risultano danneggiati, poiché sono denari in meno che entrano nelle casse dello stato per finanziare i contratti di armi, senza contare il clima di insicurezza che nuoce all’opera di ricostruzione.
Tuttavia, questo clima di insicurezza crea un importante spazio di profitto: lo sviluppo delle società di sicurezza private, a cui la missione EUROBAM consacra il 25% del suo bilancio per garantire la sicurezza del proprio personale.
Attualmente, infuria la lotta tra le società britanniche (Global Skills, Control Risks, G4S, Hart, Aegis, Blue Hackle) e francesi (Arcos, Geos, Amarante, Gallice) per la conquista del succoso mercato libico, soprattutto quello inerente alla protezione delle infrastrutture petrolifere.
Distruggere per ricostruire, alimentare il caos per far pagare a caro prezzo la sicurezza: tutto diviene fonte di profitto per il capitalismo, in una spirale irta di pericoli per l’umanità.