L’ONU divulga un rapporto sulle imprese collegate alle colonie israeliane e il loro impatto sui diritti dei palestinesi

Palestinian refugees 003di Moara Crivelente*

da https://cebrapaz.org.br

Traduzione di Mauro Gemma per Marx21.it

Dopo quattro anni di attesa, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ha pubblicato il 12 febbraio un rapporto sulle imprese collegate alle colonie israeliane nel territorio palestinese occupato, elencate in un database. La sua pubblicazione è un altro risultato raggiunto dai palestinesi e dalle organizzazioni di solidarietà nel loro instancabile lavoro nell’ambito delle organizzazioni internazionali che a queste forniscono il loro sostegno nella lotta per porre fine all’occupazione militare e alla colonizzazione israeliana


Il titolo del rapporto è preciso: “Database di tutte le iniziative commerciali coinvolte nelle attività dettagliate nel paragrafo 96 della Missione Internazionale Indipendente di Indagine sulle implicazioni delle colonie israeliane per i diritti politici, economici, sociali e culturali del popolo palestinese nell’intero territorio palestinese occupato, compresa Gerusalemme est”.

La divulgazione dell’elenco era stata richiesta nel marzo 2016 dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite con la risoluzione 31/36 – adottata con 32 voti a favore, nessuno contrario e 15 astensioni – a seguito della relazione del 2013 sulla missione investigativa internazionale. La risoluzione elencava 10 attività specifiche basate sul rapporto della missione.

Da allora, durante le sessioni del Consiglio dei Diritti Umani, i rappresentanti dell’organizzazione hanno anche spiegato che l’elenco non è stato ancora pubblicato per dare alle aziende la possibilità di spiegarsi o cambiare il loro comportamento. In una relazione preliminare del 2018, l’Alto Commissariato ha dichiarato di avere esaminato le informazioni disponibili al pubblico o ricevute da varie fonti, identificando oltre 300 società, di cui 206 sono state elencate per un esame più approfondito. La misura si basa sull’attuale dibattito sulla responsabilità commerciale delle imprese e del commercio internazionale in situazioni di occupazione e colonizzazione e violazioni dei diritti umani.

Il rapporto pubblicato individua 112 società ed entità commerciali coinvolte in una o più delle attività specificate dalla risoluzione 31/36 —94 delle quali sono registrate in Israele e 18 di esse in altri sei paesi. Le società internazionali includono piattaforme turistiche, grandi aziende tecnologiche e molte altre, comprese infrastrutture e imprese di costruzioni. Dopotutto, per costruire, mantenere e sviluppare più di 100 comunità – alcune già con status di città – con circa 600 mila abitanti e dispositivi per separare la popolazione palestinese, compresi i trasporti e le strade in esclusiva per i coloni, ma anche poli tecnologici e produttivi che caratterizzano la propaganda su Israele come un paese avanzato e moderno, è necessaria una grande diversità di fornitori.

Gli Stati Uniti e Israele hanno cercato di impedire la pubblicazione dell’elenco classificando gli sforzi come la dimostrazione di un presunto pregiudizio da parte dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani e definendo il database una “lista nera”.

È anche possibile che con l’annuncio del tanto decantato piano dell’amministrazione di Donald Trump per la creazione di un’entità politica priva di sovranità, spogliata e ghettizzata, ciò che chiamerebbero “Stato della Palestina”, che convaliderebbe unilateralmente e illegalmente l’annessione del territorio palestinese occupato da Israele, la divulgazione dell’elenco sia diventata inevitabile. Gli Stati Uniti e Israele sono praticamente isolati nel loro progetto, che ha il sostegno di governi servili come quello di Jair Bolsonaro, ma il rifiuto di alleati tradizionali come l’Unione Europea, per non parlare dell’ovvio e fondamentale rifiuto palestinese.

Il primo ministro Benjamin Netanyahu – che non è riuscito a formare un governo dalle ultime due elezioni e che è immerso in un caso di corruzione, sta già aspettando la terza, che si terrà il 2 marzo – ha accettato di “sospendere” l’espansione delle colonie nel territorio palestinese, come richiesto da Trump per l’attuazione del suo progetto.

Tuttavia, in una nota che accompagna la relazione, la pagina dell’Alto Commissariato afferma che il riferimento a entità commerciali “non è, né intende essere, un processo giudiziario o quasi giudiziario. Mentre le colonie sono considerate illegali ai sensi del diritto internazionale, questo rapporto non fornisce una caratterizzazione legale alle attività in questione, né al coinvolgimento delle aziende in esse. Eventuali passi avanti, continua la nota, “saranno la questione da affrontare da parte degli Stati membri del Consiglio dei Diritti Umani, che prenderanno in considerazione la relazione nella prossima sessione del Consiglio, a partire dal 24 febbraio”.

In conclusione, mentre la divulgazione del rapporto è un altro risultato ottenuto dalle autorità e dalle entità palestinesi e internazionali nella difesa dei diritti umani, così comela decisione della Corte Penale Internazionaledi aprire finalmente un’indagine sui crimini di guerra commessi nel territorio occupato dopo cinque anni di “esame preliminare” – ciò che queste vittorie forniscono sono strumenti per continuare la lotta per porre fine all’impunità per il regime israeliano e la fine dell’occupazione militare, dell’apartheid e della colonizzazione della Palestina.

*http://www.marx21.it/index.php/internazionale/medio-oriente-e-nord-africa/27091-continua-la-persecuzione-di-israele-contro-gli-attivisti-della-causa-palestinese