intervista ad Angelo Del Boca a cura di Tommaso Di Francesco | su il Manifesto
«Il raìs è morto, ma il paese è stremato e distrutto da una guerra civile non ancora conclusa»
L’uccisione di Muammar Gheddafi è già un «giallo». «Grazie alla nostra offensiva», rassicura un portavoce del Cnt, e un altro precisa «era ferito alle gambe, non sparate ha gridato, è stato portato a Misurata e nel trasporto è morto», «Ferito alle gambe e colpo mortale alla testa» cambia versione un altro comandante degli insorti, «No, l’ho visto su un cellulare, era vivo al momento della cattura» testimonia Tony Birtley inviato di Al Jazeera. Poi la conferma della versione più credibile: sono stati i cacciabombardieri o gli elicotteri Nato che hanno colpito a più riprese il convoglio di decine di macchine che, con quella di Gheddafi, provava a forzare il blocco prima verso Bengasi poi verso Misurata. Un convoglio che ha continuato a combattere fino alla fine. Sulla morte del raìs abbiamo rivolto alcune domande allo storico del colonialismo Angelo Del Boca, biografo di Gheddafi.
Quale idea ti sei fatto degli avvenimenti che hanno portato alla morte di Gheddafi?
Nella confusione totale un dato è certo: Gheddafi, uomo che veniva dal deserto e che per 42 anni ha retto un paese tribale come la Libia, è morto ed è morto ucciso. Ancora non sappiamo bene se a stroncare la sua vita sono stati gli insorti in combattimento oppure, com’è più credibile, uno degli undicimila attacchi aerei della Nato che hanno fatto la differenza. Noi propendiamo per questa più veritiera versione, perché il modo di combattere degli insorti è sempre stato molto impreciso, casuale e a volte addirittura ridicolo. E senza i raid della Nato gli insorti non avrebbero prevalso. Se sono stati gli aerei o gli elicotteri dell’Alleanza atlantica a conquistare questa vittoria che dovrebbe mettere fine ad una guerra che doveva durare «poche settimane» ed è invece durata otto mesi, dobbiamo dire che la Nato ha fatto una brutta figura. Sperperando il denaro del contribuente occidentale che dovrebbe essere prezioso dentro il baratro della crisi finanziaria. Quando si faranno i calcoli precisi si scoprirà che sono state gettate sulla Libia, «per proteggere i civili», dalle 40 alle 50.000 bombe ovviamente intelligenti, che oltre a stragi silenziose hanno provocato la devastazione del territorio anche per il futuro.
C’è un giornalista libico, Mahmoud al-Farjani che ha raccolto la testimonianza dei miliziani del Cnt che avrebbero trovato il corpo, e che dicono che «ha combattuto fino alla fine, aveva segni di ferite alle gambe e al busto»…
L’ho detto fin dal primo giorno di guerra. Gheddafi non era l’uomo che poteva prediligere la fuga né un compromesso. Poteva soltanto morire con un’arma in mano. Da questo punto di vista, ha fatto la morte che voleva. E le modalità della sua uccisione rischiano anche di trasformarlo in un mito, anche perché non ci sono molti altri esempi in giro.
L’uccisione in combattimento di Gheddafi facilita la pacificazione della Libia?
Assolutamente no. Perché la Libia è distrutta, è un paese tutto da ricostruire, con gli arsenali di armi abbandonati e rivenduti al miglior offerente. Parlare di normalizzazione della Libia è a dir poco un termine impreciso. E tutto quello che era stato fatto per bloccare la deriva dell’integralismo islamico è andato in fumo. Mi sembra che se ne sia accorta perfino la signora Clinton perché ora vuole inviare soldati per cercare tutte queste armi sparite. Altro che pacificazione, sono troppi gli odi e le vendette che sono state accese. È stata una vera guerra civile, perché non erano poche migliaia di persone quelle schierate con Gheddafi ma centinaia di migliaia. E non è ancora finita, l’odio seminato dalla presenza neocolonialista dell’Occidente provocherà ancora scontri e vittime. Proprio nel ricordo del giovane ufficiale che nel ’69 fece una rivoluzione senza spare sangue.
Ora vediamo gli spari di gioia degli insorti e il titolo televisivo è che tutti i libici festeggiano…
Chi festeggia davvero, visto che la violenza repressiva di Gheddafi per gran parte si è riversata nel tempo contro rivolte interne spesso collegate a interessi occidentali ma soprattutto, e per conto dell’Occidente, contro gli integralisti islamici (vedi il massacro di Abu Salim del 1996). Mentre restano incerti, a partire da Lockerbie, le stragi terroristiche che alla fine la leadership di Gheddafi si era accollate proprio quando emergevano ben altre responsabilità. Per Lockerbie, per esempio e lo sanno tutti, quelle dell’Iran per ritorsione all’abbattimento di un aereo civile iraniano ad opera della Marina militare Usa.
I leader occidentali tirano un sospiro di sollievo…
Nel centenario dell’occupazione coloniale della Libia, La Russa e Frattini – ricordiamoci che il nostro ministro degli esteri indicava in Gheddafi «l’esempio da seguire per tutta l’Africa» – sono entusiasti, doppia esultanza per Sarkozy che nello stesso giorno diventa padre ed eroe, e per Hillary Clinton che forse più di Obama si è spesa per questa guerra. Alla fine Ronald Reagan, che più volte provò ad assassinare il Colonnello libico, ha avuto ragione…