Libia, l’aurora che non arriva

di Ren Yaqiu, “Quotidiano del Popolo” | Traduzione di Diego Angelo Bertozzi per Marx21.it

Libia 290x435A poco più di un anno di distanza dall’aggressione militare Nato alla Libia, vi presentiamo un articolo di Ren Yaqiu pubblicato il 19 marzo sul Quotidiano del Popolo [1]
La Libia che viene descritta nell’articolo è solo un’ombra di un Paese sovrano e unito. Messo economicamente in ginocchio e ancora sfregiato dai pesanti bombardamenti, è ora preda del separatismo e delle lotte tra bande armate. L’operazione bellica della “coalizione dei volenterosi” a guida statunitense – una operazione Nato sotto il discutibile ombrello Onu della risoluzione 1973 – si è rivelata come una applicazione da manuale di una strategia volta a cancellare l’integrità e l’indipendenza sostanziali di un Paese e a generare una cronica instabilità per meglio controllarlo e sfruttarne le risorse [2]. Questo articolo non va letto solo come utile reportage sulla Libia di oggi, ma anche alla luce di quanto accade in Siria e alla martellante campagna mediatica volta a giustificare l’ennesima esportazione di democrazia. L’autore fonda, infatti, sulla drammatica situazione di Tripoli il rifiuto cinese di ogni ulteriore intervento armato occidentale negli affari interni di un Paese sovrano. Una posizione che il governo di Pechino ha ribadito più volte e che ha accompagnato, in parallelo al veto in sede Onu, con una azione diplomatica volta alla riconciliazione in Siria tra governo e forze dell’opposizione legale e nazionale [3]. Siamo, quindi, in piena continuità con l’aperta critica alla nuova forma di “interventismo umanitario” occidentale espressa dalla Cina popolare all’indomani dell’intervento armato in Libia.


Questo 19 marzo è il primo anniversario del lancio degli attacchi aerei occidentali contro la Libia, un Paese dell’Africa del Nord. Il 19 marzo 2011, i Paesi occidentali, con alla testa la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, hanno iniziato contro le forze armate del leader libico Gheddafi una operazione militare multinazionale sotto l’egida dell’Onu con l’obiettivo di mettere in opera la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza. I nomi in codice sono “Opération Harmattan” per la Francia, “Ellamy” per la Gran Bretagna e “Odyssey Dawn” per gli Stati Uniti, “Mobile” per il Canada e “Unified Protector” per la Nato. In quel giorno l’incrociatore US Barry, che si trovava nel Mediterraneo al largo della Libia, lanciò contro questa centodieci missili da crociera Tomahawk. Quanto alla Francia, i suoi caccia lanciarono quattro attacchi conto i carri armati dell’esercito libico distruggendoli completamente. Così, gli incidenti e i disordini scoppiati in Libia divennero un mese dopo una guerra multinazionale, dominata dalla Francia, dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti, la cui forza militare complessiva aiutò l’opposizione libica a rovesciare il regime del colonnello Gheddafi.

E’ chiaro che la Francia ha giocato un ruolo di primo piano nella vicenda. Quando gli americani hanno rallentato i loro bombardamenti sul paese, è stata lei a farsi avanti e sono stati i Mirage e gli elicotteri delle forze terrestri francesi che li hanno rimpiazzati continuando ad attaccare e bombardare i cosiddetti “obiettivi militari”, causando parecchie vittime tra l’esercito libico e ugualmente tra la popolazione civile innocente. Durante lo sviluppo di questa guerra, gli elicotteri francesi hanno avuto seicento obiettivi, la più parte dei quali erano carri armati e rifornimenti. La Francia è stato il primo Paese a riconoscere il Consiglio nazionale di transizione dell’opposizione libica e, sempre lei, nel momento critico ha inviato e fornito alla forze antigovernative libiche le armi pesanti e leggere di cui avevano urgente bisogno. Poi, prima ancora della fine della guerra, il presidente francese Sarkozy, accompagnato dal primo ministro britannico Cameron, il 15 settembre 2011 si era precipitosamente recato in Libia per una visita ufficiale. Sono così stati rispettivamente il primo Capo di Stato e il primo Capo di Governo a rendere visita al Paese dopo la presa del potere da parte delle forze armate dell’opposizione. Per questo possiamo dire che la Francia ha compiuto un’impresa e realizzato una operazione sorprendente quanto al rovesciamento del governo in Libia e alla fine del potere di Gheddafi.
 

Tuttavia, oggi quando l’avvenimento è ormai alle spalle da un anno, è vero che i Paesi occidentali, con alla testa Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, hanno portato l’ “aurora” in Libia?
 

Misurata, una città della Libia a 200 km a est di Tripoli, è la terza città per grandezza del Paese. Dei violenti e ravvicinati scontri si erano sviluppati tra le due parti antagoniste e, secondo recenti reportage dei media internazionali, oggi stesso incamminandosi nella arteria principale – viale Tripoli – si possono vedere numerosi edifici e costruzioni distrutti dai bombardamenti che non sono stati né riparati né ricostruiti fino ad oggi, mentre ovunque non ci sono che macerie e detriti che nessuno si sogna di levare e pulire. In realtà, tutto il Paese somiglia a questo viale che non ha recuperato il suo aspetto abituale, perché la sua popolazione, ancora intontita, intorpidita e paralizzata, non si sogna neppure di fare sforzi per sbarazzarsi dello stato di rovina e della degradazione, perché non ha alcuna idea di ciò che sarà il suo avvenire. Essa constata che il rovesciamento di Gheddafi e la fine del vecchio regime non le hanno portato miglioramenti e la Libia non è unificata e non è neppure più potente di prima. Al contrario, si è sparpagliata e dispersa come la sabbia, la sua situazione interna si presenta, agitata, preda di disordini, tesa, instabile e incerta, la sua economia è in declino, la decadenza e il deperimento, i conflitti tra clan e fazioni si moltiplicano e il Paese è sospinto sempre più nel frazionismo, nel tribalismo, nel clanismo e nel separatismo.
 

È da poco che parecchi capi tribali e capi di milizie dell’est della Libia hanno dichiarato l’autonomia di questa regione nominata Cirenaica, la quale disporrà in modo indipendente di un suo parlamento, di una sua polizia e di un suo tribunale, e hanno lanciato un appello affinché la Libia riscopra il suo regime federale. In questo il Consiglio nazionale di transizione ha reagito immediatamente dichiarando il suo rifiuto formale di riconoscere l’autonomia dell’est della Libia e indicato che questa costituisce il segnale della divisione e della separazione dal Paese. In realtà, la proclamazione di una entità autonoma nell’Est libico richiama crudelmente la realtà sociale di una Libia patriarcale e tribale, mentre questo genere di strutture sociali non lascia alcuno spazio alla scelta politica individuale e fa del voto di una persona l’espressione della scelta di un clan e non della propria. Non dobbiamo fare altro che citare come esempio la capitale Tripoli che è sotto il controllo di diverse milizie che si controllano reciprocamente e che hanno frequenti scontri. Una di queste milizie, posta sotto il comando di Abdel Hakim Beller Hagee, uno dei responsabili della Commissione militare di Tripoli, conta più di un migliaio di effettivi e occupa attualmente una caserma della città. Un’altra milizia, sotto il controllo di Abdullah, si mostra ostile verso quella di Abdel Hakim Beller Hagee. Miliziani armati originari di Zintan occupano l’aeroporto internazionale, mentre i loro confratelli di Misurata si sono installati nella periferia est della capitale. Fuori da queste milizie, elementi armati berberi si mostrano ovunque in città. Fino ad oggi lo Stato libico, vale a dire il Consiglio nazionale di transizione, non è ancora riuscito a stabilire una forza armata nazionale, unita ed efficiente, costituita dall’esercito e dalla polizia. Quanto alle organizzazioni della milizia sparpagliate in tutto il paese, queste rifiutano di consegnare le armi e di procedere alla loro riorganizzazione.
 

In tutto questo pasticcio, alcuni partigiani del regime caduto di Gheddafi cercano delle occasioni e tentano con ogni mezzo di prendere una rivincita, di ritornare alla carica e di giocarsi la propria parte. È per tutto questo che sono molti coloro che temono che la Libia possa diventare una seconda Somalia spingendosi sempre più nella situazione caotica in cui il Paese è immerso, nella divisione e nella disgregazione, mentre la società è immersa nei disordini e nelle agitazioni.
 

Per quanto riguarda la Libia in quanto secondo paese produttore di petrolio dell’Africa, il suo reddito proviene principalmente dalle esportazioni di petrolio. Tuttavia l’OPEC ha recentemente fatto presente che per il momento la produzione petrolifera libica conta solamente un milione di barili al giorno, livello di gran lunga inferiore a quello precedente la guerra con un milione e seicentomila barili al giorno, ed è la ragione per la quale le finanze libiche incontrano oggi parecchie difficoltà. Ad aggravare la situazione sono le recenti voci secondo le quali l’Est, che è ricco di risorse petrolifere ed è il principale produttore del paese, domanda autonomia perché “non vuole più che le ricche risorse petrolifere locali siano divise e godute da elementi stranieri”. Nel caso in cui alle voci seguissero i fatti, sarebbe un colpo duro per il governo tagliando le sue risorse di reddito e non ci sarebbe né ricostruzione né ripresa economica. L’anno scorso, quando le forze armate del Consiglio nazionale di transizione sono riuscite a conquistare e a occupare Tripoli, quest’ultimo ha trovato nella cassaforte della Banca centrale una somma di 23 miliardi di dollari. È stato deciso che questa somma enorme, che faceva parte del budget che Gheddafi non era riuscito a spendere, fosse utilizzata dal nuovo governo per rispondere alle sue “spese correnti” di solo sei mesi. Come fare quando sarà tutto speso? Questo rappresenta un serio e grave problema in previsione, perché non si deve dimenticare che il Paese incontra gravi difficoltà, soprattutto per quanto riguarda la creazione di posti di lavoro, e che il tasso di disoccupazione raggiungeva già il 30% prima della guerra. Ora che questa è finita, la ricostruzione è all’ordine del giorno e mille cose devono essere rimesse in sesto, compiti estremamente difficile di compiere. Come risolvere e quali misure prendere per i problemi di disoccupazione, e in particolare per quello dei giovani senza lavoro? Il nuovo governo deve fare fronte a gravi e serie sfide e devo mostrare la sua capacità di regolare e superare tutte le difficoltà che gli si presentano di fronte.
 

Ciò che è più preoccupante e più inquietante sono gli effetti delle agitazioni e dei disordini in Libia sui paesi del Maghreb e su tutta la regione dell’Africa occidentale. Secondo i reportage pubblicati dalla stampa internazionale, una grande quantità di armi è stata indirizzata verso i paesi vicini, mentre numerosi elementi armati si sono infiltrati in questi, così da accentuare l’insolenza e l’arroganza dei terroristi e delle forze separatiste di questi Paesi.
 

All’epoca della dominazione di Gheddafi, l’esercito libico aveva acquistato e immagazzinato una grande quantità di armi leggere e pesanti, così come di materiali e equipaggiamenti militari. In realtà una quantità che va oltre le necessità reali. Ora, questo stock di armi così come i depositi di munizioni sono caduti in mano delle milizie e delle forze locali e il contrabbando d’armi decolla. […]
 

Malgrado tutto questo, alcuni Paesi occidentali si lamentano che dopo la “Primavera araba” la situazione in Medio Oriente e in Africa del Nord non è ancora abbastanza disordinata e caotica come doveva essere e si scavano nel cervello per trovare mezzi per ingerirsi negli affari interni di altri Paesi, per incitare l’opposizione ad affrontare il potere in piazza e a rovesciarlo e per tentare di lanciare una guerra “per procura”. I disordini e gli incidenti, che si sviluppano attualmente in Siria, costituiscono un esempio tipico. Tra le forze armate dell’opposizione siriana si nota un gran numero di stranieri, tra cui francesi. Se si chiede loro la ragione della loro presenza nel paese, essi insistono sul carattere umanitario della loro missione. Allora perché vengono armati fino ai denti? Impossibile rispondere a questa domanda! Per questo diamo consiglio agli occidentali di vedere quanto succede attualmente in Libia, perché è il risultato della loro ingerenza negli affari interni di questo paese. Nel caso in cui persistessero nella loro “missione”, è assai probabile che la Siria divenga la seconda Libia. Ma alla luce del ruolo molto più grande e più importante che essa gioca in Medio Oriente rispetto a quest’ultima, sarebbe possibile vedere l’insieme della regione precipitare nel disordine, nel caos e nell’incertezza, danneggiando non solamente gli interessi regionali, ma ugualmente gli interessi di questi stessi Paesi occidentali e pure quelli del mondo intero. Di conseguenza, è loro consigliato di astenersi dal procurare torti ad altri nuocendo a se stessi.

NOTE
 
1 “L’”Aurore” a-t-elle fait son apparition en Lybie?”, Ren Yaqiu, Quotidiano del popolo online, versione francese, 19 marzo 2012.

2 Nella Cirenaica, che recentemente ha proclamato la sua autonomia da Tripoli, si trovano i due terzi del petrolio libico come ricorda Manlio Dinucci nell’articolo “Libia un anno fa: memoria corta” pubblicato sul Manifesto e riproposto su Marx21.it

3 Si veda “Siria, le ragioni del veto cinesehttp://www.marx21.it/internazionale/pace-e-guerra/1092-siria-le-ragioni-del-veto-cinese.html