La Regina del deserto sanguina ancora

di Pierangela Zanzottera
da www.sibialiria.org

E così, alla fine, dopo lunghi giorni di attesa, è arrivata la notizia.

In molti la attendevano con timore ormai da giorni, da quando l’esercito siriano aveva ufficialmente annunciato di aver lasciato l’antica città di Palmyra portando in salvo quanti più civili aveva potuto (circa un terzo dei residenti).

Dopo giorni di appelli accorati alla salvaguardia dell’inestimabile patrimonio archeologico della città sia da parte dell’Unesco che dal direttore dei musei siriano, Mamoun Abdulkarim; dopo giorni di aspri combattimenti tra Daesh e l’esercito siriano, che inizialmente sembrava essere riuscito a respingere i terroristi, ma poi ha dovuto cedere di fronte all’avanzata di ben 70.000 armati (secondo quanto dichiarato da fonti locali sul campo); dopo i timori internazionali per il destino delle effigia greco-romane e quelli, purtroppo unicamente siriani, per i loro concittadini; dopo le immagini della bandiera nera di Daesh sull’ingresso della cittadella che domina le spettacolari rovine e la notizia del loro ingresso al Museo Nazionale (dove sono state distrutte solo copie in gesso di antiche statue e tutto quanto era prezioso è stato portato in salvo, fatta eccezione per dei sarcofagi, troppo pesanti per essere spostati); è di oggi la notizia più terribile.

In rete era stata ventilata da qualche giorno, ma le conferme ufficiali sono arrivate solo in mattinata: un nuovo orribile massacro è stato commesso da Daesh e il teatro della strage è proprio la città di Palmyra (Tadmor in arabo).

Almeno 400 sono le vittime, per lo più donne e bambini.

La rete televisiva di stato siriana ha aggiunto che decine di funzionari statali sono stati giustiziati per il loro sostegno al governo del presidente siriano Bashar al-Assad, tra loro anche il caposala dell’ospedale locale insieme a tutti i membri della sua famiglia.

L’agenzia ufficiale siriana Sana ha reso noto che Daesh ha impedito a migliaia di civili di lasciare la città e confiscato tutti i loro beni, imponendo agli abitanti la loro teoria oscurantista e retrograda.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri siriano, Wael al-Halaqi, in una dichiarazione ufficiale odierna ha condannato questo crimine barbaro, imputando ai Paesi che sostengono il terrorismo (su tutti Arabia Saudita, Qatar e Turchia) la responsabilità di questi crimini.

Da parte sua, la Moschea dell’Università di Al-Azhar, una delle istituzioni più autorevoli dell’Islam con sede al Cairo, ha dichiarato che “salvare l’antica città di Palmyra in Siria dalla distruzione dei jihadisti dello stato islamico dovrebbe essere una battaglia per l’intera umanità” e ha aggiunto: “Dobbiamo unire i nostri sforzi per proteggere uno dei siti archeologici più importanti del Medio Oriente dalla distruzione effettuata da Daesh”, invitando la “comunità internazionale ad adottare misure urgenti per prevenire che questa organizzazione terroristica distrugga e rada al suolo i monumenti culturali e archeologici di Palmyra”.

Il massacro rientrerebbe in quella che il gruppo chiama “regola del castigo”: civili, medici, infermieri, funzionari sono stati uccisi quattro giorni fa, subito dopo che Daesh aveva occupato la cittadina. I corpi barbaramente mutilati e i cadaveri senza vita lasciati lungo le strade. Almeno 250 di loro sono stati sgozzati.

Fin da subito (il 20 maggio scorso), Daesh aveva imposto un rigido coprifuoco sulla città, tagliato la rete elettrica e proceduto a passare casa per casa a fil di spada alla ricerca di “infedeli” e “traditori” (in pratica chiunque non segua gli assurdi dettami del gruppo), lanciando dai megafoni messaggi minatori contro i sostenitori del governo siriano.

Come già visto in precedenti conquiste simili, anche dopo l’occupazione di Palmyra Daesh ha iniziato i suoi assassinii di massa e ora si teme la distruzione dei monumenti antichi considerati dal gruppo prova del paganesimo e per le vite degli altri, residenti e militari, rimasti nelle loro mani.

In realtà questo massacro non si discosta dai tanti già commessi in Siria da Daesh, Jabhat al-Nusra o altri gruppi considerati come più o meno “moderati” dai media occidentali, quello che differisce è la risonanza immediata che ha avuto. Fin da quando Daesh stava iniziando ad avvicinanrsi a Palmyra i riflettori internazionali si sono accesi nuovamente sulla Siria (e pensare che nell’estate scorsa, proprio Daesh aveva commesso un altro massacro a Shaer, poco distante dal sito archeologico, ma allora nessuno ne aveva parlato) e, forse per la prima volta, la Reuters è stata pronta a riportare il massacro un attimo dopo che la televisione siriana lo aveva reso noto. Viene, dunque, da chiedersi il perché tutta questa attenzione improvvisa. Sarà disinteressata? Sarà dovuta unicamente all’ “eccezionale valore universale” (per citare l’UNESCO) di questa “oasi nel deserto siriano”? O forse ci sarà sotto qualcosa di più? Forse, come alcuni analisti hanno ipotizzato, il sacrificio di Palmyra e della sua popolazione potrebbe diventare il casus belli a lungo ricercato e innescare il tanto a lungo agognato intervento internazionale nel Paese con il beneplacito dell’opinione pubblica internazionale?