di Marinella Correggia | da www.sibialiria.org
Rimane un foglietto sul quale mi aveva scritto nome e email, con una grafia di sbieco. Era il 10 maggio e Yara Abbas, giovane giornalista della tivù siriana Al Ikbhariya, aveva partecipato a Damasco alla conferenza stampa finale della delegazione internazionale in appoggio al movimento siriano Mussalaha (riconciliazione). I giornalisti erano pochi, tutti siriani e poi la venezuelana Telesur, nessun media occidentale o arabo presente a Damasco aveva ritenuto di doversi scomodare per ascoltare Mairead Maguire, irlandese premio Nobel per la pace, che guidava la delegazione della quale facevo parte anche io.
Ma non avrei notato Yara – che non avevo mai visto prima – se non fosse stato per una sua domanda, forse era retorica o forse un po’ provocatoria. Aveva alzato la mano e aveva chiesto: “Arrivano diverse delegazioni internazionali, qui. Ma mi pare che al ritorno nei vostri paesi, a livello di informazione sulla Siria non cambi nulla. Come mai secondo voi?”. Imbarazzante. Come quando i medici di Baghdad, nel lungo affamante embargo fra le due guerre all’Iraq (500mila morti fece quell’embargo), dopo aver mostrato lo stato degli ospedali alle delegazioni in visita osservavano: “Abbiamo incontrato diversi gruppi dall’estero, ma siamo sempre qui, niente è cambiato”.