La caduta di Netanyahu: ovvero: “tutto deve cambiare perché nulla cambi”

israele soldatidi Vincenzo Brandi

La probabile prossima caduta del governo di Netanyahu, il più noto falco di destra della politica israeliana, indagato anche per corruzione, sarebbe di per sé un fatto positivo. Tuttavia le notizie che arrivano sulla coalizione eterogenea che dovrebbe formare il prossimo governo di Israele non sono per nulla confortanti. Per i prossimi due anni dovrebbe essere capo del governo Naftali Bennett, il capo del partito nazionalista, conservatore e religioso di ultradestra Yamina. Bennett è stato finora stretto collaboratore di Netanyahu, ed inoltre è un noto sostenitore della colonizzazione dei territori palestinesi occupati e contrario ad ogni concessione reale al popolo palestinese. Nella coalizione sono presenti anche l’altro partito di ultradestra “Casa Nostra” il cui capo, Avigdor Liebermann, è un altro noto falco antipalestinese. Il quadro è completato dal partito conservatore di centro guidato da Lapid che dovrebbe alternarsi tra due anni con Bennett. Farebbero parte del governo anche i Laburisti che si sono spostati sempre più a destra dimenticando le storiche aperture al dialogo con i Palestinesi attuate da un loro storico esponente, l’ex generale Rabin (che per questo fu assassinato da un fanatico integralista ebraico, forse con la complicità dei servizi segreti). Persino i Socialisti di sinistra del piccolo partito Meretz (un partito che si era sempre dichiarato contro l’occupazione dei territori palestinesi) entrerebbe nel governo, che sarebbe appoggiato dall’esterno anche da un partito arabo-israeliano conservatore (a quale scopo?).    

Non si può prevedere da una coalizione del genere nessun cambiamento sostanziale verso una politica di giustizia e di pace che coinvolga anche i Palestinesi. Vale a questo proposito la vecchia massima coniata da Tommasi di Lampedusa nel suo splendido romanzo “Il gattopardo” a proposito della caduta del regime borbonico: “tutto deve cambiare perché nulla cambi”. Il nuovo governo bloccherà le colonizzazioni? Interromperà la cacciata dei Palestinesi dalle loro case e terre? Sgombrerà i territori occupati rispettando le risoluzioni dell’ONU? Abbatterà il muro che stringe in una morsa la Cisgiordania? Interromperà l’assedio di Gaza, dove manca tutto, anche l’acqua potabile? Riconoscerà il diritto dei profughi palestinesi di tornare alle proprie case come riconosciuto dalla Risoluzione 194/48 dell’ONU? Restituirà ai Palestinesi la parte araba di Gerusalemme annessa ad Israele illegalmente con la forza? Permetterà la nascita quanto meno di un mini-stato palestinese con Gerusalemme Est come capitale? Basterebbe che fossero attuate solo alcune di queste cose per poter parlare di svolta. Purtroppo anche l’opinione pubblica israeliana si è spostata sempre più a destra. Sono passati i tempi in cui decine di migliaia di pacifisti israeliani scendevano in piazza a manifestare sotto la direzione di capi carismatici come Yuri Avnery. Sono rimasti solo piccoli gruppi pacifisti come Betselem, come il gruppo che si oppone allo sgombero delle case o quello dei Refusnik, cioè i giovani che rifiutano il servizio militare. Lo storico democratico dell’Università di Haifa, Ilan Pappe, autore del noto libro in cui si denuncia “La pulizia etnica della Palestina” ad opera dei governi israeliani, è stato costretto ad andare ad insegnare in Inghilterra. Gli appassionati appelli e le intelligenti analisi del noto editorialista democratico del giornale di centro-sinistra “Haaretz” Gideon Levy appaiono come una voce nel deserto. Spero sinceramente di sbagliarmi, ma penso che la lotta dei palestinesi per difendere i loro diritti sarà ancora lunga ed un eventuale accordo ancora lontano.