Immigrazione, un genocidio capitalista

fiori mediterraneodi Manuela Palermi* per Marx21.it

Italia, 5 maggio. I media informano di immigrati che stanno per sbarcare sulle nostre coste: 370 a Pozzallo, 483 a Palermo, 250 a Crotone, 194 a Catania… ci sono ragazzi, donne, alcuni sono morti. Muoiono in migliaia, tutti gli anni, nel tentativo di raggiungere l’Europa. Fuggono dalla povertà e dal saccheggio a cui è sottoposta l’Africa. Non è vero che cercano il “sogno europeo”. Semplicemente fuggono da quell’incubo che è diventata la loro terra. E fanno la stessa strada, lo stesso percorso delle immense ricchezze che vengono rapinate al loro paese. Perché la Ue gli africani non li vuole, ma le loro ricchezze sì, quelle le vuole.

Il 19 aprile, 900 persone sono morte nel Mediterraneo. Tre giorni prima c’era stata un’altra tragedia. E prima ancora altre ed altre. Di chi è la responsabilità? Chi sono i colpevoli?

I media puntano il dito contro i trafficanti, perfetti come capri espiatori. Ma le morti atroci sono la conseguenza diretta dell’invasione della Libia nel 2011.  Un intervento militare al servizio del capitale internazionale, effettuato dalla Nato con il supporto  di mercenari fatti entrare in Libia dai servizi segreti europei e statunitensi. Un’invasione che ebbe la complicità totale dell’apparato mediatico.

I mercenari venivano chiamati “ribelli”, combattevano contro la dittatura di Gheddafi, l’Occidente non poteva stare a guardare. Era necessario un intervento “umanitario” per aiutarli, per sostenerli, per portare la democrazia in Libia. Si giustificò così il genocidio del popolo libico.

Durante il governo di Gheddafi, la Libia era uno dei paesi dell’Africa con il più alto livello di vita. Moltissimi africani, provenienti da altre regioni, emigrarono e si stabilirono lì. Oggi ci sono anche loro tra quei disperati che affollano i barconi della morte.

La Libia è un oggetto del desiderio dei capitali internazionali per molte ragioni. Possiede uno dei migliori petroli del mondo con un potenziale produttivo stimato in più di 3 milioni di barili al giorno. Nel 2009 Gheddafi voleva nazionalizzarlo. Non ci riuscì per la resistenza di molti oppositori interni che, più tardi, si misero alla testa dei “ribelli”. Ed al servizio degli interessi capitalistici.

Nel sottosuolo libico c’è un’immensa riserva idrica stimata in 35mila chilometri cubi di acqua, che fa parte della maggiore riserva fossile di acqua al mondo. Negli anni 80 in Libia fu costruito “Il grande fiume artificiale”, un progetto di altissima ingegneria per l’approvvigionamento di acqua. Ne avrebbe usufruito la Libia, ma anche l’Egitto, il Sudan, il Ciad. Un progetto per sollevare le condizioni di una regione afflitta dalla mancanza di acqua. Un progetto che avrebbe evitato a quei paesi di ricorrere ai quattrini del FMI. Ma un ostacolo insopportabile per l’occidente che aspira al monopolio globale  delle risorse idriche ed alimentari. La Nato bombardò ripetutamente le fabbriche dove venivano costruiti i grandi tubi in cui scorreva l’acqua, bombardò ripetutamente alcune zone del grande fiume lasciando tutto il nord della Libia senza acqua per giorni…   Alla Libia furono inoltre confiscati 200mila milioni di dollari di riserve internazionali. Furono bombardati e rasi al suolo l’infrastruttura acquifera e viaria, le scuole e gli ospedali. La Libia ne uscì distrutta.

La UE e gli USA plaudirono al governo dei mercenari. Fu decretata la legge della Sharia, atrocemente crudele verso le donne. Sorsero gruppi terroristici paramilitari in vari paesi della regione.

Anche da qui, da queste vicende, viene lo Stato Islamico. La Libia fu torturata dai “bombardamenti umanitari”. Quella guerra fu un’operazione neocolonialista per appropriarsi delle sue immense risorse petrolifere ed acquifere.

Il capitalismo è il vero responsabile della tragedia di oggi. I grandi capitalisti che fanno profitti sul sudore degli altri e sul saccheggio del pianeta. Sono loro i criminali.

85 multimiliardari posseggono una ricchezza pari a quella di 3.570 milioni di uomini e donne che sopravvivono sfruttati in condizioni infernali, che arrivano a vendere i propri organi, che lavorano sepolti vivi nelle fabbriche, che debbono prostituirsi fin dall’infanzia. O che affrontano esodi terribili che finiscono nella morte per annegamento.

Sono migliaia gli uomini, le donne, i bambini che il mare si è inghiottito. Un mare che separa l’Africa dall’Europa, testimone silenzioso di un genocidio capitalista.

*Presidente Comitato Centrale PCdI