I Parte. Le due Turchie, tra laicismo e “rivoluzione”

Turkey flagRiceviamo e volentieri pubblichiamo

di Maria Morigi

Nei giorni scorsi Ankara ha taciuto sulle voci presso la stampa araba e israeliana di un malore del presidente Erdoğan, e noi non diamo eccessivo peso a quanto accade in Turchia, mondo incomprensibile per l’Occidente quasi quanto la Cina, se non fosse più vicina e centrale in orbita Nato.

Nel 2010, ad esempio, ho potuto assistere in diretta all’orgia di europeismo governativo affinché la Turchia fosse ammessa al salotto buono dell’Europa: alle missioni archeologiche straniere venne imbandito un concerto ufficiale dal teatro di Hierapolis, le musiche andavano da Mozart a Bizet, da Beethoven a Ravel, da List a Verdi. Tutta l’Europa che conta. Niente di turco-ottomano che pur ha una tradizione di pieno rispetto. 

Poco dopo, come da copione ispirato alle primavere floreali, ci siamo agitati per Gezi Park e per gli arresti di dissidenti; siamo rimasti a bocca aperta di fronte alla strategia approssimativa dell’auto-golpe (2016) in mondo-visione, auto-inflitto dal Sultano al suo paese (e preceduto nella storia della Repubblica di Turchia da ben altri 3 colpi di stato chiamati ottimisticamente “rivoluzioni”: 1960, 1971, 1980). Siamo anche del tutto increduli di fronte alle irrevocabili posizioni assunte da Erdoğan a proposito di Kurdistan, Siria, Israele. E infine, solo se ce lo dice il Papa, ricordiamo il “cosiddetto” – sözde – “genocidio” armeno (che però è discusso se genocidio fu, anticipando tutti quelli del ‘900 e quando ancora il concetto e la definizione di genocidio non esistevano)… tutto mentre i TG turchi continuano a trasmettere incidenti di confine e arringano alla riscossa turca contro quei ricconi degli Armeni che credono di essere l’Israele del Caucaso…

Ed ecco, a metà luglio 2019, la notizia della prossima acquisizione da parte turca del sistema missilistico russo, l’S-400, di difesa anti-aerea. Un’operazione all’insegna della spregiudicatezza politica. “Mai prima d’ora un paese membro della Nato aveva comprato armi da paesi non facenti parte dell’Alleanza atlantica… è sempre stato sottinteso che mai si sarebbero dovute acquistare armi da Cina e Russia, nemici storici della Nato”, dice il generale Carlo Jean, esperto di strategia militare e di geopolitica. La notizia non ha avuto rilevanza sui giornali italiani, mentre ne ha avuta molta sui giornali tedeschi. In realtà la fonte di interesse consiste nel fatto che la Turchia è stata estromessa dal programma F-35 dal Pentagono (secondo Spiegel [1]) o meglio ancora che Erdogan si sta abilmente sfilando dagli accordi con la Nato: Putin infatti ha già promesso di vendere alla Turchia il nuovo gioiello russo, a dir loro paragonabile all’ F35 [2]. Così il sistema dei giochi USA-NATO si vede sparigliare i conti, e sembra che non sia possibile alcuna “fedeltà” di appartenenze concordate: ogni volta tutto da rifare per i cervelloni della geopolitica!

Ormai tutto conferma che a niente era servito sostenere, al tempo della sua nascita nell’agosto del 2001, il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Adalet ve Kalkınma Partisi – AKP), tanto gradito in Occidente per il mix di “democrazia islamica”, conservatorismo sociale e nazionale, liberalismo economico, economia di mercato, populismo, neo-ottomanesimo… Come un abbaglio l’ AKP fu visto da noi come il trionfo delle forze democratiche che avrebbero senz’altro sopito ogni pulsione “sultanista”. Tuttavia ormai molti si sono accorti che negli ultimi anni sta ‘lievitando’ il suo carattere ideologico islamista-sunnita, condizionando politica e sistema educativo: ora Erdoğan brandisce il Corano in manifestazioni pubbliche ed elettorali, spesso inizia i suoi discorsi con citazioni coraniche, e recentemente ha annunciato di voler riconvertire a Moschea la Cattedrale Santa Sofia (ora Museo), sede del Patriarcato di Costantinopoli e simbolo di cristianità fino al 1453.

In realtà di Turchie ne esistono DUE. Da una parte c’è la Turchia culturalmente europea, composta dalla borghesia urbana e dai giovani studenti con il loro fermento politico e sociale. Dall’altra parte c’è la Turchia dei conservatori islamici del Partito AKP del presidente Erdoğan. Agli occhi delle masse turche l’AKP è diventato la forza che ha lottato e lotta contro “l’ancien régime” , è il movimento rivoluzionario vittorioso.

Infatti, questi conservatori islamici (privi –almeno!- di ogni aspirazione jihadista) si dichiarano fautori di una specie singolare di “lotta di classe” che dopo la vittoria elettorale del 2002, ha strappato i bambini dalla fame e dalla miseria. Quasi come da “miracolo cinese”, conferma Hurichan Islamoglu dell’Università del Bosforo: “In tredici anni Erdoğan ha rivoluzionato il Paese. Ha creato una nuova classe media di ex contadini urbanizzati che lo adora. Il nostro reddito pro-capite medio è passato con lui da 2 mila dollari annuali a 11 mila”. Erdoğan si è accaparrato dunque il consenso con straordinaria rapidità, facendo leva sul boom economico della Turchia che ha avvantaggiato i figli delle famiglie più povere, più religiose e più conservatrici. Nel contempo ha accelerato la conversione del paese al liberismo e il suo inserimento nel mondo globalizzato, senza trascurare clero islamico e credenti, anzi incassandone la riconoscenza duratura. Nei confronti dell’Europa la politica di Erdoğan è stata alterna, contrassegnata da polemiche relative alla minoranza curda e al Partito PKK , terrorista per la Turchia (vedi arresto di Abdullah Öcalan nel 1999) e al non-riconoscimento da parte turca del “genocidio” armeno in seguito alle prese di posizione di vari stati europei, in primis la Francia per cui chi nega il genocidio armeno è perseguibile per legge (ottobre 2006 voto dell’Assemblea nazionale). Attualmente qualche passo avanti si è fatto, ad esempio con la recente apertura degli archivi 1915-1923 sulla questione armena, voluta da Erdoğan pochi mesi fa. Ma sostanzialmente, sembra di capire, l’ingresso in Europa non interessa più. Ci sono altri attori in gioco, altre scacchiere da tenere sotto controllo e altre carte da giocare.

Per cui, senza far finta di credere che la Turchia sia uno stato democratico e soprattutto laico, come volle Atatürk, vediamo nella seconda parte quali sono gli ordini e le comunità che svolgono un ruolo politico e sociale prioritario nella società turca.

NOTE

[1] https://www.spiegel.de/politik/ausland/usa-werfen-tuerkei-aus-programm-fuer-f-35-kampfjets-a-1277837.html
[2] https://www.heise.de/tp/features/Nach-F-35-Lieferstopp-Strafe-Russen-bieten-Tuerkei-Kampfflugzeuge-an-4474112.html