Egitto: il vicolo cieco

di Angelo Alves* | da www.avante.ptTraduzione di Marx21.it

egypt-military-banner-234984908903489034*Angelo Alves fa parte della Commissione Politica del Partito Comunista Portoghese

Continuiamo la pubblicazione di materiali di analisi degli sviluppi della complessa e controversa situazione in Egitto e nel Medio Oriente, ospitando un contributo apparso in “Avante”, settimanale del Partito Comunista Portoghese .

Due anni e mezzo fa, una poderosa sollevazione popolare obbligò la Casa Bianca a lasciar cadere uno dei suoi più fedeli dittatori di servizio nella regione. Ma Washington ha fatto di tutto per non lasciar “cadere nella strada” il “suo” potere economico e militare in Egitto. I periodi che sono seguiti, della designazione della giunta militare che assicurasse la transizione “democratica”, della preparazione delle elezioni parlamentari del novembre 2011 e delle elezioni presidenziali di maggio e giugno 2012, hanno dimostrato come l’imperialismo, e in particolare l’imperialismo nordamericano, abbia agito sempre con due obiettivi: mantenere nelle “fedeli” elites militari il grosso del potere economico, politico e militare del paese e, allo stesso tempo, trovare le “soluzioni politiche” in grado di assicurare che il potere uscito dalla “transizione” non mettesse in causa l’edificio del potere imperialista nell’economia, nella politica e nell’esercito egiziani. E’ stato così che la Fratellanza Musulmana è arrivata al potere.

La realtà dirà quali sono le ragioni principali della sua violenta rimozione dal potere attraverso il golpe militare che ha strumentalizzato la giusta rivolta popolare contro la politica e la linea di “islamizzazione” della costituzione che i fratelli musulmani hanno cercato di attuare. Ma tra esse potrà figurare quella della “missione” della destra islamica di non servire tanto fedelmente la tattica dell’imperialismo.

E’ alla luce di questa realtà che si deve guardare ai più recenti avvenimenti: come il colpo di Stato militare inferto al precedente regime, l’annunciata liberazione di Mubarak, l’imprigionamento in massa di dirigenti politici, lo scioglimento con la forza delle manifestazioni, l’incitazione alla violenza, l’uccisione di 750 persone da parte dell’esercito, vale a dire il ritorno alla dittatura pura e dura.

Ma è importante anche tenere conto di due altri elementi fondamentali nella lettura della situazione. Il primo è che le masse popolari in movimento, e i movimenti che lottano per un’autentica rivoluzione in Egitto, hanno appreso molto in questi più di due anni e mezzo di lotta. Tale fattore sarà determinante per affermare se il falso dilemma che si vuole imporre all’Egitto – tra un regime religioso islamico e una muscolosa dittatura militare -, e che nulla ha a che vedere con i reali interessi di quel popolo, si farà strada.

Il secondo elemento è rappresentato dalla strategia dell’imperialismo di destabilizzazione della regione e di uso della forza militare, per, attraverso il falso dilemma prima riferito, di conservare ad ogni costo il proprio potere. Israele e gli USA, con l’appoggio dell’Unione Europea e il coinvolgimento delle dittature del Golfo (in particolare della dittatura saudita), stanno dietro varie situazioni esplosive nella regione. Sia in Siria, dove si alleano ai terroristi radicali islamici per tentare di deporre il legittimo governo siriano; sia in Libano dove, nelle parole del presidente libanese Suleiman, il recente attentato terrorista nei sobborghi sud di Beirut, “ha le impronte digitali del regime israeliano”; sia ancora in Palestina, dove il regime sionista, con l’appoggio degli USA, prosegue le provocazioni militari e la costruzione degli insediamenti coloniali, nello stesso momento in cui l’Autorità Palestinese viene spinta a negoziati che diverse organizzazioni palestinesi hanno già messo in discussione.

La dittatura saudita, relativamente all’Egitto, parla di appoggio alla lotta contro i terroristi, mentre in Siria fornisce armi ai terroristi islamici. Gli USA e l’UE sono coinvolti in una guerra di aggressione contro la Siria strumentalizzando il concetto di “democrazia”, la stessa “democrazia” che calpestano quando in pratica danno copertura al golpe dei militari egiziani e alla violenta repressione.

Ciò che pare prevalere in una visione generale della situazione, e che l’Egitto non fa che confermare, è il fatto che l’imperialismo vuole imporre la divisione e il caos nella regione per potere continuare a regnare. Contro tale strategia esiste solo un’arma possibile, l’unità dei lavoratori e dei popoli arabi intorno ai loro interessi nazionali e di classe. E’ questa l’unica via di uscita possibile dal vicolo cieco in cui si trova costretta la regione.