Domenica il leader palestinese, promotore dello sciopero della fame di massa iniziato lo scorso 17 aprile, ha denunciato le condizioni “tremende” in cui è detenuto, ha invitato Fatah e Hamas alla riconciliazione nazionale e ha ammonito il presidente Abbas a non riprendere il processo di pace con Israele “basato sulle stesse vecchie regole”
“La lotta dei prigionieri palestinesi continuerà fino a che non saranno raggiunte tutte le legittime richieste”. A prometterlo è stato ieri il carismatico leader di Fatah Marwan Barghouthi, promotore dello sciopero della fame di massa dei detenuti palestinesi. Barghouthi – riferisce il suo avvocato Khader Shqeirat che ieri l’ha incontrato per la prima volta in carcere da quando ha iniziato la sua protesta lo scorso 17 aprile – avrebbe già perso 13 chili, ma sarebbe di “buon umore” nonostante le “tremende” condizioni in cui sarebbe detenuto: una cella d’isolamento prima dei requisiti basilari e infestata di insetti.
Shqeirat ha detto alla stampa che il suo assistito non si è mai potuto cambiare i vestiti e che sarebbe sottoposto a “forti rumori” per diverse ore al giorno che prova ad attutire con dei fazzoletti di carta nelle orecchie. Barghouthi avrebbe inoltre denunciato i blitz che le “unità d’oppressione” [le autorità carcerarie israeliane, Ips] starebbero compiendo all’interno della sua cella 4 volte al giorno, con perquisizioni che lo costringerebbero anche a spogliarsi mentre ha mani e piedi ammanettati.
Nonostante le condizioni di detenzione denunciate, il 58enne leader di Fatah – in prigione dal 2002 e condannato a cinque ergastoli da un tribunale israeliano di cui non ha mai riconosciuto la giurisdizione – ha confermato al suo avvocato la sua intenzione di “continuare la sua battaglia finché le richieste dei prigionieri non saranno esaudite”. In una lettera pubblicata ieri e, secondo fonti locali scritta di suo pugno, Barghouthi avrebbe poi esortato il popolo palestinese a mostrare solidarietà con i detenuti nel 69esimo anniversario della Nakba (Catastrofe in arabo) che ricorre oggi attraverso “atti di disobbedienza civile” a livello nazionale. Il noto prigioniero ha definito la Nakba – termine usato dai palestinesi per descrivere la fondazione dello stato d’Israele – una “pulizia etnica, il tentativo più terribile di sradicare un popolo avvenuto in questa epoca”.
Nella lettera, inoltre, ha invitato i due principali partiti palestinesi (Hamas e Fatah) a giungere ad una riconciliazione nazionale e ha ammonito l’Autorità palestinese guidata da Fatah a non riprendere il cosiddetto processo di pace con Tel Aviv “basato sulle stesse vecchie regole”. “I negoziati – si legge nel testo – sono inutili finché Israele non si impegnerà a porre fine all’occupazione, non la smetterà di costruire le colonie, non si ritirerà dalle aree occupate nel 1967, non riconoscerà il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione che comporterà la creazione di uno stato completamente indipendente nei confini del 1967 e la cui capitale sarà l’amata Gerusalemme, non ammetterà il ritorno dei rifugiati palestinesi e libererà tutti i prigionieri”.
Shqeirat ha poi riferito alla stampa che il suo assistito ha negato categoricamente l’autenticità del video rilasciato la scorsa settimana dalle autorità carcerarie israeliane in cui lo si vedrebbe mangiare nella sua cella. Un “falso”, ha detto al suo avvocato Barghouti, perché la cella del video, che ha un letto a castello, è molto “più carina e pulita” di quella “malmessa” di ora dove “c’è solo un letto singolo, una coperta puzzolente e non c’è neanche un cuscino”. Il video, afferma ancora il prigioniero, sarebbe un “ricatto”, “un’azione illegale” compiuta dal governo israeliano per scoraggiare i circa 1.300 prigionieri palestinesi a continuare lo sciopero della fame con cui stanno denunciando le condizioni di detenzione all’interno delle carceri israeliane e la pratica dell’amministrazione detentiva (arresto senza processo).
Nel fare riferimento al video, Barghouthi ha voluto però rispondere anche alle accuse di Tel Aviv secondo cui la protesta, più che per un fine nazionale, sarebbe mossa da un suo interesse personalistico: quello di legittimarsi come leader politico agli occhi del popolo palestinese. Accusa che il noto detenuto ha rigettato nuovamente ieri quando ha fatto sapere che rifiuterà di negoziare finché non saranno accolte le istanze dei prigionieri e di “essere pronto ad “aumentare la sua protesta smettendo di bere l’acqua”. “Non si può ritornare indietro, continueremo fino alla fine” ha fatto sapere tramite il suo legale.
Le parole di Shqeirat giungevano più o meno nelle stesse ore in cui i risultati delle municipali in Cisgiordania confermavano il diffuso malcontento popolare nei confronti del presidente Abbas e del suo partito (Fatah). Le elezioni di sabato, in cui Fatah ha corso in pratica senza rivali, hanno registrato un forte astensionismo: soltanto il 53% degli aventi diritto al voto si è infatti recato alle urne. Non solo: a Hebron, la città più grande della Cisgiordania e fortino degli islamisti di Hamas, Fatah ha ottenuto solo 7 seggi su 15. In molte altre località il partito non è poi riuscito neanche a formare una lista e pertanto i suoi candidati hanno dovuto competere come indipendenti. Non è migliore il quadro che emerge a Nablus dove la storica formazione politica palestinese ha sì guadagnato 11 seggi su 15, ma solo dopo aver formato un’alleanza con i candidati islamisti. Senza dimenticare poi che qui l’affluenza è stata del 21%. Vittorie più nette a Jenin e Gerico.
Ieri all’alba intanto, nel corso di alcuni blitz scattati in varie parti della Cisgiordania, le forze armate israeliane hanno arrestato 14 persone . Tra queste vi è anche lo scrittore e analista palestinese Ahmad Qatamish. Nel 2013 Qatamish era stato liberato dopo aver trascorso due anni e mezzo in detenzione amministrativa.
( Fonte: NenaNews )